Poiché sta per cominciare il terzo anno dall’invasione dell’Ucraina, una retrospettiva è appropriata. Una vicenda che segue in linea più o meno diretta la Rivoluzione Maidan dell'inizio del 2014 e che è degenerata nel tempo, diventando il più grande conflitto caldo in Europa dai giorni della Seconda Guerra Mondiale.

La prima narrazione: liberazione

Prima dell'invasione, del resto, si erano resi manifesti segnali allarmanti da parte della Russia. Nell'autunno del 2021 tutti gli osservatori più attenti avevano potuto verificare un “accumulo” militare vicino al confine ucraino, attivamente osservato anche dall'intelligence americana Con una mossa piuttosto sorprendente, gli Stati Uniti hanno reso pubblico il risultato delle loro osservazioni, evidenziando la elevata possibilità di un'invasione imminente. Nonostante la - scontata - smentita, la Russia ha proseguito nel suo accumulo. Qui emerse la prima narrazione sul conflitto: non ci sarebbe stata – notizie ufficiali e ufficiose alla mano - una grande guerra. In parte ciò è stato reso possibile anche da Volodymyr Zelenskyy, che aveva cercato di attenuare gli avvertimenti americani, probabilmente spinto dal desiderio di evitare il panico su scala nazionale, e i conseguenti effetti economici recessivi,e di non offrire ulteriori pretesti al dittatore russo per una escalation.

Il piano iniziale delle forze russe era di abbattere rapidamente il governo ucraino e sostituirlo con un proprio governo fantoccio. Ciò è supportato dal termine "operazione militare speciale” utilizzato da Vladimir Putin nei suoi discorsi televisivi (e nella propaganda tutta), a indicare qualcosa di simile alla soppressione della Primavera di Praga. Il primo elemento degno di nota, tuttavia, fu l’enorme sottovalutazione da parte sovietica della volontà di resistenza dello stato e della nazione ucraina. Durante la prima settimana dell'invasione, la narrazione sul rapido crollo del paese ucraino era diventata comunque argomento comune. Gli attacchi aerei rapidi, l'avanzamento veloce delle unità corazzate, i lanci di paracadutisti nei principali aeroporti, i combattimenti nei sobborghi di Kyiv e la preparazione di cocktail Molotov da parte dei comuni cittadini ucraini erano un segno del successo russo. Tuttavia, con l'eccellente comunicazione e leadership di Zelenskyy, l'Ucraina si è riorganizzata e ha respinto l'attacco.

 

Con il fallimento iniziale, le forze russe hanno cambiato tattica e hanno iniziato ad occupare le aree più esterne dell'Ucraina, con un maggior successo nel sud del Paese Tuttavia, il loro avanzamento è stato rallentato dalla resistenza di alcune roccaforti ucraine come Mariupol , rivelatasi difficile da conquistare. La guerra dell'informazione è diventata un'altra importante linea del fronte, e – a questo proposito - due punti meritano attenzione: in primo luogo, si implementa da parte della Russia un’aggressiva spinta dei discorsi sulla denazificazione e sulla smilitarizzazione dell'Ucraina, discorsi e argomenti che fanno parte di una narrazione più ampia secondo cui l'Ucraina non è mai stata uno stato indipendente ed è stata dirottata da una ostile élite anti-ucraina/anti-russa. Vi sarebbe pertanto la necessità di purificare e ripristinare una leadership adeguata. Quest'idea è supportata dalla prospettiva che la cultura e la nazione ucraina siano strettamente legate a quella russa (o non esistano nemmeno come cultura separata), e sarebbe dunque dovere e diritto naturale della Russia "liberare" gli ucraini da questa incursione straniera, per riportare l'Ucraina nella sua posizione naturale all’interno della sfera russa. Ciò è supportato da ulteriori ipotesi secondo cui la Russia ha una posizione naturale nella gerarchia internazionale, persa con il crollo dell'Unione Sovietica e ora in via di recupero. Inoltre, la Russia, come la più grande nazione slava (sia in termini di dimensioni che di prestigio), ha il diritto di rappresentare nell’arena internazionale (con qualsiasi mezzo necessario) quelli che considera “popoli affini”.

Sebbene una descrizione del genere possa sembrare assurda, la retorica e le azioni di Putin si allineano piuttosto bene. La dichiarazione di una Cecenia liberata dopo che la sua capitale fu rasa al suolo, l’attacco alla Georgia nel 2008 per evitare il cosiddetto "genocidio" degli Osseti e l’annessione della Crimea mediante un referendum illegale sono solo alcuni degli esempi più noti.

La seconda narrazione: l’eterna minaccia dell’Occidente

Queste azioni si collegano alla seconda narrazione che è stata continuamente avanzata, a tratti celebrata: l'intervento e la minaccia occidentali. Il presidente russo e l'apparato mediatico hanno minacciato e discusso l'uso di armi nucleari più volte contro vari stati occidentali, prima e dopo l'invasione. L'idea è minacciare le nazioni occidentali affinché rinuncino a qualunque forma di sostegno all’Ucraina, poiché l'obiettivo occidentale sarebbe quello di minare la Russia e farla collassare con questa guerra. Ciò fa parte di un'idea più ampia – direi storica - secondo cui la Russia starebbe combattendo non solo contro l'Ucraina, ma anche contro tutto l'Occidente. Sebbene l'aiuto occidentale all'Ucraina sia stato limitato fin dall'inizio e non siano state dispiegate forze NATO, se si accetta la tesi che l'Ucraina sia stata dirottata da potenze straniere, tutto inizia a avere più senso, agli occhi del cittadino di Mosca. La seconda narrativa aiuta anche a diffondere meglio l'idea che gli ucraini non stiano combattendo per la sopravvivenza e il desiderio di dettare il proprio destino, ma siano stati corrotti e ingannati, e il tutto andrebbe poi a rafforzare la necessità di una purificazione.
La Russia ha ulteriormente sostenuto questa idea organizzando referendum nelle aree conquistate (ora presunte ‘purificate’) e organizzando proteste a sostegno delle azioni russe. Ha anche esibito senza mezzi termini una minaccia nei confronti delle potenze occidentali, facendo intendere che l’eventuale restituzione forzata dei territori appena annessi risulterebbe equiparabile a un attacco diretto alla Russia, qualcosa su cui l'Occidente è stato – fin da subito - molto restio.

Due importanti avvertenze sono, a questo punto, rilevanti. In primo luogo, la leadership russa non crede pienamente alla seconda narrazione; se così non fosse, infatti, le varie linee rosse attraversate dall'Occidente avrebbero scatenato una reazione molto più diffusa e decisa. Anche oggi – benché ancora non sia argomento comune - la Russia non si è completamente impegnata nella guerra, evitando per esempio la mobilitazione a Mosca e San Pietroburgo. Perché il Cremlino non considera la guerra come una lotta per la sopravvivenza esistenziale (analogamente a quanto si verificò nel corso della Seconda Guerra Mondiale) ma come un mezzo per avanzare nella propria visione neo-imperialistica del mondo. Non che la guerra non sia presa molto sul serio, naturalmente, poiché una sconfitta potrebbe significare un cambio di regime. In secondo luogo, queste narrazioni sono plasmabili in base alle esigenze: si possono presentare i combattenti separatisti nelle regioni occupate come ucraini “di buon senso” o “ragionevoli, mentre la cultura ucraina viene attivamente distrutta bombardando teatri e musei, ripopolando le aree conquistate con migranti russi e rapendo i bambini ucraini. In sostanza, azioni e retorica, in guerra, non devono necessariamente coincidere.

Mentre l'avanzata russa rallentava notevolmente, abbiamo assistito a molte umilianti sconfitte, la più grande delle quali costrinse Putin a ritirare il convoglio militare lungo 40 km che aveva tentato di attaccare Kyiv. Questo si accompagnò a un notevole e cruciale cambio di direzione nella retorica bellica, con la nuova dichiarazione che l'obiettivo russo era stato solo quello di occupare l'intero Donbass, fin dall'inizio. Mentre i russi si ritiravano, l'Ucraina riuscì a riprendere le sue terre a nord.

Fonte: BBC - Institute for the Study of War

La terza, più pericolosa, narrativa: l’expertise sovietica

Qui iniziò a emergere una narrativa diversa e più pericolosa: l'incompetenza militare russa. Poiché l'Ucraina aveva avuto successo per tutto l'anno 2022 (sebbene con gravi perdite, specialmente a causa dell'artiglieria e nel Donbass), e quando divennero popolari i video che mostravano un comportamento militare russo a dir poco controverso, iniziarono a manifestarsi aspettative irrealistiche. Quest'idea, combinata con vari crimini di guerra e crimini contro l'umanità scoperti nei territori liberati, diede l'immagine di una brutale arroganza dell'esercito russo, incapace di imparare e adattarsi, addestrato al solo scopo di terrorizzare e colpire chi non poteva reagire, ma in fuga se messo di fronte a una forza equivalente. In questo periodo, inoltre, la Russia perse credibilità a livello nazionale e internazionale. A settembre Putin dichiarò la mobilitazione parziale e accelerò la fuga di centinaia di migliaia di russi dalla madrepatria. Negli stessi giorni, inoltre, la Russia si era mostrata incapace di assistere l’Armenia, suo alleato, nel conflitto che si era riacceso con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh, e che un anno dopo avrebbe portato alla conquista azera della regione e all’espulsione dell’intera comunità armena ivi residente. Il risultato fu quello di sottostimare i russi e porre aspettative troppo elevate sugli ucraini. Negli ultimi mesi del 2022 e all’inizio del 2023 le forze russe si impegnarono nella costruzione di una linea difensiva completa, con campi minati densamente affollati. Forse l'alto comando russo avrebbe voluto farlo anche prima, ma era stato ostacolato per ragioni politiche. La strategia, peraltro, si rivelò molto efficace nel fermare gli ucraini (durante l’inverno la Russia aveva anche attaccato l'infrastruttura energetica dell'Ucraina per impegnare più risorse e spezzare la volontà della popolazione, e probabilmente era anche presente un elemento di vendetta, poiché l'Ucraina aveva attaccato il ponte di Kerch e stava avanzando verso Kherson).

Mentre furiose battaglie continuavano nel Donbass (in particolare per Bakhmut), le discussioni sull'assistenza militare occidentale, in realtà, si trascinavano. I carri armati furono inviati, ma in quantità ridotta. Una storia simile si è svolta con altri equipaggiamenti, come i proiettili d'artiglieria, con date effettive di invio sempre dilazionate. Molti, tra gli osservatori internazionali, speravano nonostante tutto che nel 2023 l'Ucraina avrebbe lanciato un massiccio contrattacco durante quell'anno, respingendo decisamente i russi. In realtà, la Russia era riuscita a convincere l'Iran e successivamente la Corea del Nord a fornire loro attrezzature militari per compensare alcune delle principali perdite subite. Nonostante il calo di prestigio dovuto alle ragioni sopra citate, il sostegno iraniano e coreano permise alla Russia di potenziare in modo molto efficace il suo esercito. Le speranze di una guerra di manovra non si avverarono e nell’estate l'offensiva estiva si arenò per varie ragioni (sembra dovute all'ambizione eccessiva degli ucraini, alla loro sensibilità alla perdita di Bakhmut, alla mancanza di comprensione da parte dei pianificatori della NATO verso le esperienze ucraine e alla mancanza di un sostegno occidentale schiacciante). Ciò non significa che il supporto e l'assistenza occidentali fossero insignificanti: addestramenti di truppe e sistemi e armamenti occidentali hanno notevolmente aiutato gli ucraini. Sono gli stessi ucraini ad aver riferito che i veicoli da combattimento Bradley hanno contribuito a fermare gli avanzamenti russi molte volte, e i carri armati occidentali offrono una sopravvivenza dell'equipaggio molto migliore rispetto a quelli ucraini

Se non si perde, si può dire di aver vinto?

L'Ucraina è ancora in una fase di transizione alla dottrina e agli standard della NATO, e differenze di comunicazione e comprensione sono dunque da considerarsi naturali, senza contare la difficoltà di massimizzare l'uso dei nuovi equipaggiamenti secondo, appunto, la dottrina della NATO. Sembra tuttavia opportuno sottolineare che l'aiuto occidentale è stato più orientato a fare in modo che l’Ucraina non perdesse, più che a farle vincere il conflitto. E questo è un importante dato di analisi, in termini di strategia internazionale.

Con l'arresto dell'offensiva ucraina, l'atmosfera ha subito un notevole spostamento verso un tono molto più pessimista. Le proposte diplomatiche riguardanti accordi di pace sono diventate più evidenti, e gli aiuti occidentali hanno iniziato a rallentare. In particolare, gli aiuti provenienti dagli Stati Uniti sono stati coinvolti nella politica partitica dell’inizio di una difficile campagna elettorale presidenziale. La narrazione sulla incompetenza dell'esercito russo è stata – giudizio ex post – perlomeno fuorviata e fuorviante, poiché il fronte è rimasto in gran parte statico. Il conflitto tra Israele e Hamas ha, inoltre, deviato parte dell'attenzione e delle risorse dalla guerra, e in modo consistente spostato l’attenzione del pubblico e dei media. La precedente positività è stata sostituita da una crescente stanchezza e da un interesse in forte diminuzione al di fuori dell'Europa orientale, acuito il tutto dai vari scandali di corruzione, che hanno inesorabilmente danneggiato la causa ucraina.

La Russia ha percepito molto bene questa situazione; a differenza dell'anno precedente, Putin ha tenuto la sua consueta sessione di domande e risposte di fine anno, dichiarandosi aperto a negoziati per un cessate il fuoco con l'Occidente, a condizione di una maggiore apertura nei confronti delle sue richieste. Durante l'evento ha poi anche indicato che il suo quinto mandato presidenziale si concentrerà sull'educazione nazionalistica e militare, ad attestare – una volta di più - che la guerra è diventata in Russia un normale pane quotidiano, e che Putin è pronto a un conflitto prolungato, se necessario.

L’ultimo, ennesimo, cambiamento

Con l'inizio del 2024 un altro cambiamento di rilievo si è verificato in Europa. Dopo aver assistito all’impasse verificatasi a Washington, per le ragioni di cui sopra - i leader europei si sono mossi in modo più deciso: la Germania ha ribadito il suo sostegno all'Ucraina, insieme a vari altri stati europei. Anche Francia, Italia e Regno Unito hanno annunciato i loro pacchetti di sostegno. Diverse aziende private come Rheinmetall e BAE Systems stanno lavorando per aumentare la produzione di una moltitudine di armi di cui l'Ucraina (e l'Europa) hanno e avranno bisogno. L'UE stessa ha aggirarato l'opposizione ungherese al pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro. Con l'apertura delle trattative di adesione con l'Ucraina da parte del Consiglio europeo a metà dicembre, nonostante le proteste ungheresi, un simile esito è probabile. Infine, vari capi delle forze armate in tutta Europa hanno espresso timori di una futura invasione russa nel continente stesso. Sembra che l'Europa stia iniziando a rendersi conto della precarietà della situazione attuale, come faceva presagire la risoluzione del Parlamento europeo che nel 2022 aveva chiesto di designare la Russia quale stato terrorista.

 

Molti episodi restano ancora da chiarire, anche nelle loro implicazioni di politica internazionale: il Fantasma di Kyiv, la Transnistria, l'affondamento della nave ammiraglia Moskva, i missili vaganti nello spazio aereo della NATO, le diversificate spedizioni di armi e sistemi (Bayraktar, HIMARS), le visite a sorpresa di capi di stato stranieri, le sanzioni e il congelamento degli asset russi all'estero, la distruzione del gasdotto Nord Stream, la ribellione di Prigozhin e la riorganizzazione dell'alto comando russo, solo per citarne alcuni.

Si tratta, tuttavia, di pezzi di un quadro più ampio. Retrospettivamente, la posizione attuale dell'Ucraina non è terribile e, rispetto all'inizio della guerra, può essere considerata persino decente. Tuttavia, le linee di battaglia sono ancora in gran parte stagnanti, e non sembra esserci una vittoria rapida in vista. Sussiste poi l’interrogativo dirimente: l'Europa troverà la volontà politica di sostituire gli aiuti militari degli Stati Uniti, se l'impasse politica continuerà al Congresso? Questa domanda diventa sempre più rilevante, giorno dopo giorno, con le segnalazioni di carenze di munizioni dal fronte. Le elezioni presidenziali in Russia difficilmente porteranno a cambiamenti significativi, o almeno questa parrebbe l’ipotesi più credibile. La Russia stessa sembra non mostrare segni rilevanti di dissidenza seria, sebbene le case fredde vicino a Mosca e le proteste e i disordini in Bashkiria indichino l'insoddisfazione di una popolazione che, suo malgrado, dimostra appieno e in senso davvero poco liberale il significato peggiore della parola “resilienza”.