Underfinanced. Underprepared. Suona inflessibile il titolo dell’Adaptation Gap Report pubblicato in novembre dall’UNEP (il Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite) per dire che la pianificazione e gli investimenti sull'adattamento al clima che cambia lasciano il mondo molto esposto a tali cambiamenti: l’adattamento è sottofinanziato, noi ci troveremo impreparati.

Il costo dell’adattamento

Sappiamo che, man mano che la temperatura terrestre aumenta, i cambiamenti climatici hanno impatti negativi più diffusi e persistenti sulla società. L'arena politica internazionale sta progredendo nello stabilire un quadro di riferimento con obiettivi globali sull'adattamento e con meccanismi di finanziamento delle politiche. Sappiamo anche come rendere gli sforzi di adattamento veri processi di trasformazione, ad esempio integrando l'equità sociale e di genere nelle azioni pro-adattamento.

Ma sappiamo quali interventi sono stati effettivamente messi in campo? E in che misura le azioni attuali e previste riducono i rischi climatici oggi e domani? L’Adaptation Gap Report indaga ogni anno le azioni che sono pianificate, implementate e finanziate, quantificando la differenza tra i costi stimati per raggiungere un determinato obiettivo di adattamento e l'ammontare di finanziamenti a disposizione.

Dato il numero di paesi che hanno predisposto almeno uno strumento di pianificazione nazionale per l'adattamento (piani, strategie, politiche) (fig. 1), la mancanza di orientamento non può più essere considerata una barriera per il passaggio all’azione.

Nel 2022 ha preso avvio la realizzazione di progetti da 559 milioni di dollari complessivi finanziati dai fondi multilaterali per il clima al servizio dell'Accordo di Parigi (Global Environment Facility, Green Climate Fund, Adaptation Fund). Il volume in questione è il 10% in più rispetto alla media annuale dei cinque anni precedenti (2017-2021). In media, il valore aggregato delle allocazioni ai nuovi progetti di adattamento dei tre fondi è aumentato di circa 36 milioni di dollari all'anno, un incremento annuo del 25% per il periodo 2007-2022 (fig. 2). Il calo tra il 2018 e il 2019 è stato in gran parte dovuto all'amministrazione Trump che ha ridotto in modo significativo i finanziamenti internazionali per il clima degli Stati Uniti d'America.

Quasi un terzo delle azioni riportate dai Paesi nelle loro comunicazioni sull'adattamento si riferiscono trasversalmente a più settori, e i progetti riguardanti il settore agricolo e la protezione dalle inondazioni e dalle tempeste sono i più finanziati (fig. 3). Molto scarsa è invece l’informazione sui risultati dei progetti implementati.

Paesi in via di sviluppo

La versione del report pubblicata quest’anno si concentra sul vuoto dal colmare nei paesi in via di sviluppo. I costi di adattamento più alti sono da sostenere per le infrastrutture, la protezione delle coste e degli argini nell’Est Asiatico e in America Latina.

Il gap finanziario per l'adattamento nelle nazioni in via di sviluppo si attesta tra i 194 e i 366 miliardi di dollari all'anno in questo decennio. Il fabbisogno finanziario per l'adattamento è da 10 a 18 volte superiore agli attuali flussi finanziari pubblici internazionali per l'adattamento, almeno il 50% in più di quanto stimato in precedenza (considerando plausibile la necessità di finanziamenti stimata tra 215 e 387 miliardi di dollari all'anno ed essendosi attestata a 21 miliardi di dollari la spesa nel 2021).

In occasione della COP26 i paesi industrializzati sono stati incoraggiati a raddoppiare rispetto ai livelli del 2019 i finanziamenti per l'adattamento rivolti ai paesi in via di sviluppo. Se tale impegno finanziario era pari a 19,2 miliardi di dollari nel 2019, sarebbe necessario arrivare a 38,4 miliardi per raggiungere l’obiettivo entro il 2025, che implica un tasso di crescita annuo del 16% (fig. 4). In ogni caso tale somma coprirebbe solo una piccola parte (5-10%) dell’esistente gap.

Bridging the gap

L’edizione 2023 dell’Adaptation Gap report identifica alcune strade per colmare il deficit di finanziamento. Facile a dirsi, la prima è potenziare i finanziamenti internazionali per l'adattamento. I firmatari del Patto per il clima di Glasgow (accordo raggiunto durante la COP26 nel 2021) stanno negoziando nuovi obiettivi collettivi di finanza climatica per il post-2025 che tengano in considerazione le esigenze e le priorità di adattamento dei paesi a basso reddito.

In secondo luogo, si suggerisce di rendere la spesa pubblica più efficiente migliorando l’assegnazione e il monitoraggio dei budget di spesa. Molti politici non sembrano ancora aver acquisito la consapevolezza che le spese di adattamento, integrate negli investimenti a lungo termine e nelle spese ricorrenti, riducono le potenziali spese per danni imprevisti future. E infine si ricorda che il settore pubblico non dovrebbe sostenere interamente i costi per l’adattamento quanto creare le condizioni favorevoli agli investimenti privati, migliorando l’informazione sul rischio climatico (per ridurre l’asimmetria informativa) e prevedendo metodi di condivisione del rischio da parte del governo.

Gli autori del report riconoscono la cooperazione internazionale e i finanziamenti verso le PMI come strumenti per agevolare l’emissione di finanziamenti su larga scala. Poiché le PMI costituiscono la componente principale dell'economia di molti paesi, i meccanismi di finanziamento devono essere cuciti su misura per soddisfare le esigenze specifiche di queste imprese e stimolare la loro offerta di prodotti e servizi pro-adattamento.

A livello internazionale sarebbe ora di riformare l’architettura del sistema monetario basata sugli accordi di Bretton-Woods, da cui sono nate la Banca Mondiale e, in seguito, le Banche Multilaterali di Sviluppo con il mandato di ridurre la povertà e promuovere lo sviluppo economico. Queste istituzioni sovranazionali create dagli stati sovrani che ne sono azionisti rappresentano un grande potenziale di aiuto ai paesi in via di sviluppo per affrontare le sfide del nostro secolo.

Intanto alla COP28

La COP28 di Dubai ha preso avvio con un accordo sul fondo per “perdite e i danni” che mira ad aiutare e compensare le nazioni vulnerabili per l’impatto dei cambiamenti climatici, un riconoscimento importante per i paesi che hanno una minor responsabilità ma ne soffrono di più gli effetti. Eppure, un tassello successivo a quello dell’adattamento. Giorgia Meloni ha affrontato il tema in questione come prioritario confermando l'impegno dell'Italia nel destinare una quota significativa del suo fondo per il clima alle nazioni più vulnerabili dell'Africa. Il premier ha lasciato intendere che l’aspettativa è che ogni paese faccia la propria parte e questo verrà particolarmente evidenziato quando l'Italia assumerà la presidenza del G7 nel 2024.