1 - Ancora sul dinamismo della borsa statunitense

In un articolo di un mese fa avevamo cercato una spiegazione degli andamenti vivaci della borsa statunitense.
Si riportava uno studio sulle imprese dinamiche maggiori, quelle che hanno trascinato i corsi azionari, e si consideravano le prime cinque imprese per la capitalizzazione e per il peso sul totale dell'economia, dagli anni Cinquanta del Novecento fino al 2017.
Il confronto su un arco temporale di sette decenni porta alla conclusione che le star di oggi, i giganti della tecnologia, rispetto a quelle di ieri non sono più redditizie come margine industriale, pagano meno imposte, hanno un peso diretto sull’occupazione inferiore, e un peso inferiore come indotto.
Il loro peso in borsa è stato a lungo simile a quello delle star di ieri. Negli ultimi tempi la capitalizzazione delle star di oggi è diventata di gran lunga superiore a quella delle star di ieri.

Bene, quali differenze andrebbero messe a fuoco per cercare le ragioni del maggior dinamismo dei prezzi delle azioni delle imprese star di oggi rispetto a quelle di ieri? E le ragioni del loro maggior dinamismo di borsa possono fornire una spiegazione del perché la dinamica dei prezzi delle azioni della tecnologia dei nostri giorni, che ha assunto la forma di “bolla”, ossia un andamento dei prezzi che si giustifica con dei risultati futuri magnifici, non si sono ancora “sgonfiati” come avvenuto con le bolle del passato.

2 -  L’economia si è biforcata

Le economie dei paesi del capitalismo democratico hanno subito una gigantesca trasformazione: dall'elaborazione delle risorse naturali all'elaborazione dell'informazione, vale a dire dall'applicazione dell'energia naturale all'applicazione delle idee. A seguito di questo grande cambiamento, i meccanismi economici non sono più solo quelli dei rendimenti di scala decrescenti, ma anche quelli dei rendimenti di scala crescenti. Il meccanismo che forma i rendimenti decrescenti, tipici delle industrie tradizionali, convivono con quelli dei rendimenti crescenti. I rendimenti crescenti dominano la parte più recente, le industrie basate sulla conoscenza. Le economie moderne si sono biforcate.

I rendimenti decrescenti dominano la parte tradizionale dell'economia, le industrie di trasformazione. Dalla fine del  XIX secolo il mondo era di produzione di massa, pesante come risorse di materie prime, leggero come conoscenze richieste. Era allora ragionevole supporre che, se, per esempio, una piantagione di caffè avesse ampliato la produzione, sarebbe stata spinta a utilizzare dei terreni meno adatti al caffè. In altre parole, che si sarebbe imbattuta in rendimenti decrescenti. Quindi, se le piantagioni di caffè fossero state in competizione, ognuna di esse si sarebbe espansa fino a incontrare dei limiti sotto forma di aumento dei costi o diminuzione dei profitti. Il mercato, condiviso da molte piantagioni, avrebbe stabilito un prezzo prevedibile, definito a seconda dei gusti del pubblico e della disponibilità di terreni agricoli adatti. Gli imprenditori avrebbero prodotto caffè fintanto che fosse stato redditizio. Il prezzo del caffè, per i limiti di offerta di terreni adatti e per effetto della concorrenza, si sarebbe avvicinato al costo medio di produzione. Per l’effetto di questo meccanismo, che inibiva il gigantismo di alcune imprese, nessuno avrebbe potuto dominare il proprio settore.

L’economia che applica la conoscenza si sviluppa attraverso gli effetti di rete. Più persone utilizzano i servizi di un'azienda, più questi ultimi si allargano diventando servizi per altri clienti. Si hanno così i rendimenti crescenti di scala. Gli “amici” di Facebook sono un buon esempio. Più gente entra in contatto, più si allarga il mercato. Nel corso della storia sono state le comunità “orizzontali”, quelle che si formano intorno ai luoghi di nascita e di lavoro, a prevalere. Con i sistemi di rete iniziano prevalere le comunità  “verticali” che si possono formare ovunque le persone trovino delle affinità. Le comunità verticali, non avendo vincoli spaziali, possono diventare diverse volte più numerose di quelle orizzontali. Ed è per questa ragione, la crescita vorticosa di gruppi di utenti che dialogano senza limiti di numerosità, che le industrie delle nuove tecnologie sono dominate da uno o da pochi attori. Segue che, in un mondo caratterizzato dai rendimenti di scala crescenti, un'azienda che cresce rapidamente può continuare a crescere a un tasso molto elevato, anche comprando, grazie alla ricchezza finanziaria che produce, le imprese appena fondate.

Fonte: Business Insider

Il futuro diventa così la gran parte della valutazione di borsa. Ciò che non implica che la valutazione del futuro sia poi quella che rivelerà “giusta”.

3 - Gli Stati Uniti e l’Europa

 La gran crescita della borsa statunitense è stata trainata dai giganti della tecnologia, le imprese che sono nella vita di tutti: Amazon, Apple, Microsoft, Google, Facebook, e via dicendo. Con il “via dicendo” si intendono anche le due nuove star, Nvidia e Tesla. Queste imprese hanno dei risultati di bilancio pagati moltissimo per le prospettive di crescita che si pensa avranno nel futuro. Ossia, il grosso dei risultati si vedranno solo in futuro. Il rapporto fra la loro capitalizzazione e i loro utili correnti non può così che essere di molto maggiore di quella del resto del mercato, che non ha le stesse aspettative sul futuro e quindi non può che essere valutato per i risulti correnti o appena futuri.

Si ha chi obietta (J. Haskel, S. Westlake, Capitalism Without Capital, Princeton U.P. 2018) che le imprese star hanno dei bilanci costruiti in maniera diversa da quelli tradizionali. Per esempio, le spese per acquisizione di marchi, per ricerca e sviluppo, eccetera, sono spesso completamente spesati nell’esercizio, e non ammortizzati nel corso del tempo. Se fossero ammortizzati, si ridurrebbero i costi correnti. Le imprese star mostrerebbero così una redditività corrente maggiore, e quindi una minor sopravvalutazione.

Il punto dei bilanci dei bilanci rileva, ma fino a un certo punto. Più importante è quanto segue.

Sottraendo agli indici azionari statunitensi, precisamente allo Standard & Poor’s 500, i titoli tecnologici emerge il rapporto fra i prezzi e gli utili delle imprese che non sono attive nelle tecnologie informatiche. Il rapporto fra capitalizzazione e utili delle imprese attive nelle vecchie tecnologie è inferiore a quello medio, che tiene conto di quello molto elevato delle imprese informatiche, e, ecco il punto, questo rapporto è simile a quello del resto del mondo, in particolare a quello dell’Europa.

 

Tesla vs Nvidia - Andamento dei prezzi delle azioni

Fonte: Nasdaq

Qual è allora la differenza fra le economie dei due lati dell’Atlantico? Si hanno due direzioni di ricerca.

La prima (Thomas Philippon, The Great Reversal, Harvard U.P., 2019): negli Stati Uniti si ha meno concorrenza (ossia si ha una maggiore concentrazione) di quanto non si abbia in Europa. Questo lo si vede dai prezzi più alti dei beni di molti settori, nonché dai margini di profitto maggiori. (L’assunto dietro i numeri, che sono i fatti da spiegare, è che con una concorrenza elevata le imprese praticano dei prezzi inferiori e hanno dei profitti minori). La ragione di questo andamento divaricato non è economica, come si potrebbe pensare, ma politica. Essa va cercata nella diversa efficacia dell’intervento delle istituzioni volte a limitare il potere dei monopoli. Monopoli che si formano anche attraverso le fusioni e le acquisizioni. L’ipotesi è che in Europa le istituzioni preposte alla concorrenza funzionano meglio che negli Stati Uniti, proprio perché i Paesi europei, che sono sospettosi uno dell’altro, impediscono che qualcuno fra loro possa prendere il sopravvento nelle istituzioni anti trust con l’obiettivo di favorire i propri “campioni nazionali”. In altre parole, la mancanza di omogeneità politica in Europa è l’origine del miglior funzionamento delle istituzioni volte a favorire la concorrenza. Ergo, i maggiori profitti delle imprese statunitensi sono, contrariamente a quanto afferma il pensiero mainstream, un segno di minor “liberismo” degli Stati Uniti rispetto alla “vituperata” Unione Europea.

La seconda (Hadi Houalla, Aurelien Portuese, The Great Revealing: Taking Competition in America and Europe Seriously, ITIF, 2023), mostra dei numeri che portano a una conclusione diversa. La produttività degli Stati Uniti è leggermente superiore a quella europea, ma con un divario che si sta ampliando. Questo divario di produttività potrebbe essere dovuto alla tolleranza statunitense per le grandi aziende, in altre parole al minor controllo degli anti trust, perché una maggiore concentrazione è associabile a dei maggiori livelli di produttività, di investimenti, e di innovazione. Detto diversamente, le grandi imprese sono mediamente più dinamiche di quelle piccole e medie. In ogni modo, i margini di profitto, alla fine, non sono un gran che diversi in Europa e negli Stati Uniti, ciò che smentisce la tesi che questi ultimi abbiano un vero problema di monopolio.

 

EU-15 and U.S. labor productivity trends, 1995–2022 (GDP per hour worked, purchasing power parity)

Fonte: Hadi Houalla, Aurelien Portuese - ITIF

Possiamo sostenere che una vera differenza fra le due economie, analizzate come redditività delle imprese, non emerge. Ciò giustifica i prezzi di borsa - meglio, dei prezzi rispetto agli utili simili delle imprese europee e statunitensi quando non si facciano confronti con le imprese tecnologiche star: è in queste ultime (il che non è certo poco…) che alberga la differenza fra Europa e Stati Uniti.

Possiamo pensare che le cose messe in questo modo per l’Europa vadano bene?

All’inizio del millennio l’Europa era appresso la frontiera tecnologica globale, ma oggi molte delle sue imprese sono in ritardo. Secondo la Banca Centrale Europea (Isabel Schnabel, From laggard to leader? Closing the euro areas technology gap, 2024) l’arma più potente per consentire alle imprese europee di raggiungere la frontiera tecnologica è l'eliminazione degli ostacoli che ancora si frappongono alla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali nell'Unione europea. Le imprese europee sarebbero così in grado di competere e prosperare in un ambiente di cambiamenti tecnologici dirompenti in cui "il vincitore prende di più".

Insomma, l’Europa, secondo l’opinione della sua Banca Centrale, dovrebbe dotarsi di imprese star simili a quelle statunitensi. E qui abbiamo un altro nodo da sciogliere. Le imprese europee star potranno sorgere spontaneamente, oppure la loro nascita andrebbe anche incentivata? La Banca Centrale Europea propone la piena attuazione degli impegni assunti con il Recovery and Resilience Facility.

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