Una premessa

La diseguaglianza è spesso raccontata per colpire la fantasia: i pochi individui che posseggono una ricchezza maggiore di quella della metà più povera del genere umano, o anche il racconto di questi pochi individui che sono quasi ricchi come gli Stati.

Nel primo caso, si prende la ricchezza dei ricchi quotata in borsa e la si confronta con la ricchezza, che, se c’è, è immobiliare, e non certo di immobili di lusso, del resto dell’umanità. Nel secondo caso si prendono i valori di borsa, che sono un reddito (un profitto) “scontato” (ossia che è moltiplicato per l’inverso del tasso di interesse), e lo si confronta con la misura del reddito nazionale (il PIL) che, invece, non è “scontata”. Nel primo caso, otteniamo una moltiplicazione del reddito, che è tanto maggiore quanto minore è il tasso di interesse, mentre, nel secondo caso, abbiamo il reddito che non è messo in rapporto a nulla. Il risultato è che la ricchezza dei ricchi, grazie a questa moltiplicazione, non è così diversa da quella degli Stati.

Insomma, la diseguaglianza, se messa in questi termini, è davvero notevole. Messa diversamente, la diseguaglianza darebbe luogo a dei giudizi diversi. Se, infatti, fosse misurata come reddito, per esempio come il reddito del dieci per cento più retribuito rispetto al dieci per cento meno retribuito, oppure il dieci per cento più retribuito rispetto al reddito mediano, le differenze si ridurrebbero, e di molto. Si potrebbero fare gli stessi conti tenendo presente la tassazione progressiva e i trasferimenti: anche in questo caso la differenza si ridurrebbe. Se poi la diseguaglianza fra benestanti e il resto della popolazione si misurasse come durata della vita, e come livello di istruzione, diventerebbe molto meno marcata.

La diseguaglianza, specie se misurata ad usum delphini, crea un malessere che può essere abbastanza agevolmente sfruttato, alimentanando il “risentimento”, ciò che avviene sia in campo mediatico sia in campo politico. Da qui la necessità di osservarla sine ira et studio.
Di seguito trovate un quadro, meglio dei passaggi, per l’analisi della diseguaglianza, che saranno affrontati in questa e altre due puntate:

1- La diseguaglianza si amplia man mano che la società diventa meno primitiva.

2 -La diseguaglianza si riduce, per effetto della caduta della ricchezza legata agli effetti delle due guerre mondiali, dalla fine degli anni Quaranta fino agli anni Settanta, e poi riprende a salire. Questa ripresa trae origine dalle vicende interne all’economia e alla società (vicende che sono quindi “endogene”, così come la sua riduzione per effetto delle due grandi Guerre la possiamo giudicare come “esogena”).

3- Le vicende endogene sono quattro: la globalizzazione, l’economia della conoscenza, la fuoriuscita delle donne dall’ambito privato, il settore immobiliare.

La diseguaglianza ha quindi ben altre origini e ben altra solidità piuttosto che la sola ricchezza di alcuni imprenditori rispetto al resto della popolazione.

4- Infine, si discute dei due diversi redditi di cittadinanza, e dell’idea di una eredità di base per tutti. Dei redditi e delle eredità che, se diffuse, accentuerebbero la redistribuzione del reddito che è già in corso da molti decenni grazie all’intervento dello stato sociale.

 

Fonte: F. Alvaredo - IMF

Economia primitiva, globale, della conoscenza

Dalla società primitiva ad oggi

Quando una società come quella primitiva è al livello di sussistenza, è ben difficile che possano sorgere delle forti ineguaglianze, perché, in questo caso, una parte della popolazione morirebbe di fame. Morendo di fame una parte della popolazione, si avrebbero meno guerrieri a disposizione e quindi una società con un'ineguaglianza marcata sarebbe fagocitata dai nemici che distribuiscono meglio la poca ricchezza. La sopravvivenza politica si ha quindi dividendo in misura circa eguale il poco reddito a disposizione. Dal che si arguisce che l'ineguaglianza sorge e può durare quando si va oltre il reddito di sussistenza, quando si ha un surplus di una qualche consistenza da distribuire. In questo caso, una parte della popolazione, quella povera, sopravvive, mentre una parte, quella ricca, vive molto meglio.

Prima della Rivoluzione Industriale il reddito medio cresceva poco, mentre l'ineguaglianza era stabile, perché, in assenza di crescita, la quota dei ricchi sarebbe potuta crescere solo affamando i poveri. L'ineguaglianza era perciò stabile, ma poteva scendere per effetto di eventi esterni, come la peste nera. Questi eventi, riducendo l'offerta di manodopera, facevano salire i salari più della crescita del reddito nazionale. Il maggior reddito, la migliore condizione esistenziale, spingeva i poveri a sovra procreare, e quindi li spingeva, per effetto della maggior offerta di lavoro nella fase successiva, nella direzione di una riduzione del proprio tenore di vita.

Con la Rivoluzione Industriale aumenta in misura drammatica il surplus, ossia il reddito da distribuire senza schiacciare quello necessario per la sussistenza. In questo modo si ha la “magia” dell'ineguaglianza che può salire senza per questo spingere, come accadeva prima, nel baratro chi ha dei redditi bassi.

Siamo finalmente all'era moderna. Abbiamo un primo periodo in cui le ineguaglianze crescono, in seguito allo spostamento dall'agricoltura (dove si ha una bassa produttività e quindi bassi redditi) alle fabbriche (dove si ha un'alta produttività e quindi dei redditi maggiori di quelli agricoli). Le ineguaglianze crescono tra i settori nuovi e quelli vecchi. Abbiamo poi un secondo periodo. La produttività in agricoltura, grazie alla meccanizzazione e alla chimica, sale, e quindi salgono i suoi redditi. I salari nell'industria salgono ulteriormente, perché si esaurisce l'offerta di manodopera liberata dal lavoro agricolo. L'ineguaglianza fra i lavoratori manuali e i benestanti, proprietari terrieri, imprenditori, capitalisti, si riduce. Le cose sono andate in questo modo fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso. Da allora l'ineguaglianza è cresciuta.

Arriva la globalizzazione

Un primo vantaggio del libero commercio è la specializzazione, un secondo vantaggio sono i mercati allargati e di conseguenza le economie che crescono di dimensione. Se però gli occupati delle imprese e dei settori eliminati dalla concorrenza non trovano una nuova occupazione in un tempo ragionevole, possono trovarsi in grave difficoltà. E' il caso degli occupati poco specializzati dei settori a bassa tecnologia quando arrivano le merci da un Paese che ha un vantaggio competitivo sul versante del costo del lavoro.

Nei modelli economici dagli anni Quaranta fino agli anni Ottanta si assumeva che i dismessi dei settori meno competitivi sarebbero passati ai settori più competitivi in poco tempo e senza particolari frizioni. Quest'assunzione aveva funzionato fra i Paesi sviluppati aperti al libero commercio per i primi decenni del Secondo dopoguerra. Poi è arrivata l'Asia.

I vantaggi che i consumatori ottengono grazie ai beni che costano meno, e i vantaggi che le imprese dinamiche ottengono dalla messa in mobilità dei lavoratori delle imprese meno dinamiche, che così possono assumere, non compensano completamente gli svantaggi che sorgono per le imprese e per gli occupati che subiscono la concorrenza asiatica. Una delle ragioni è la diffusione delle imprese. Questa non è omogenea su tutto il territorio, ma è concentrata in alcune aree. Se un'area è molto specializzata e va in crisi, ecco che nella stessa area è difficile trovare lavoro presso le imprese che svolgono un lavoro diverso, perché non ve ne sono e/o ve ne sono ma non a sufficienza.

 

Fonte: Credit Suisse Research Institute, Global wealth report 2021

Arriva la società della conoscenza

Vediamo che cosa sta accadendo nei paesi di capitalismo democratico (PCD): oltre il 40 per cento delle persone fra i 25 e i 54 anni sono oggi delle laureate di primo grado, e quasi il 30 per cento delle persone fra i 55 e i 64 anni sono laureate di primo grado. L’apertura delle economie dei PCD e gli investimenti fatti nei paesi terzi sono esplosi negli ultimi decenni, così come la modernizzazione finanziaria insieme al peso del settore finanziario. La liberalizzazione del mercato dei prodotti è aumentata nel corso del tempo in tutti i paesi. I cinque punti sollevati dicono che abbiamo delle economie con un numero crescente di cittadini ad alta istruzione, delle economie che sono molto aperte all'estero, delle economie con molta finanza, nonché liberalizzate in misura crescente.

Abbiamo così una diversa distribuzione del reddito nel passaggio dall'economia fordista, quella delle grandi concentrazioni industriali, a quella della conoscenza. Ai tempi dell'economia fordista si aveva un addensamento dei redditi entro il ceto medio. I redditi dei lavoratori qualificati e dei lavoratori non qualificati differivano poco. Con l'economia della conoscenza, quella dove sono premiati i lavoratori qualificati, mentre gli altri sono diventati più o meno dei precari, i redditi dei primi e dei secondi si divaricano. 

Si osserva che con una specializzazione elevata si resta nella classe media, a differenza che con una specializzazione normale. Le famiglie con due redditi da lavoro non a specializzazione elevata tendono a scivolare nella parte bassa della classe media. Ciò accade anche perché i beni non riproducibili industrialmente come le abitazioni hanno registrato, come vedremo poi, un'ascesa dei prezzi superiore alla crescita media dei prezzi e delle retribuzioni.