Lo spazio africano che va dalle coste del Mediterraneo fino al Sahel, regione dove finisce il deserto del Sahara, rappresenta un’area geografica cruciale alle porte di casa nostra: snodo chiave delle rotte migratorie, base per movimenti islamisti, presenza di movimenti secessionisti, teatro di traffici illeciti. Queste dinamiche, di per sé già complesse, non sono poi isolate le une dalle altre. Sono invece parte di un fenomeno complesso, le cui cause si trovano in fattori geografici, storico-politici (in primis l’eredità coloniale) e demografici

Innanzitutto, la costa nordafricana è densamente popolata (con la parziale eccezione del litorale libico) in quanto a est troviamo il delta del Nilo, a ovest la catena dell’Atlante: due sistemi che garantiscono approvvigionamento idrico per via fluviale o tramite precipitazioni e quindi la presenza di comunità sedentarie. Nel Maghreb, dalla Tunisia al Marocco, un’ampia fascia costiera ha sempre agevolato l'insediamento e poi l'urbanizzazione. Ancora più evidente il caso dell’Egitto ‘dono del Nilo’. Ma appena ci si allontana dal bacino fluviale, o dalla fascia costiera, ecco che subito si apre il deserto del Sahara. La vastità degli spazi è immensa: grande quanto gli Stati Uniti, ma fondamentalmente disabitato (vedi figura ). I siti chiave sono le oasi, dove possono sorgere insediamenti umani permanenti. Queste sono unite da piste (più raramente vere e proprie strade) che attraversano il deserto. Andando verso sud, si arriva infine nel Sahel, una regione che va dal Senegal a ovest fino a Gibuti a est che corre orizzontale e parallela al deserto. Non più totalmente arida, ma non certo Africa tropicale, il Sahel è una zona di passaggio tra i due ecosistemi: caratterizzata da precipitazioni scarse e povertà del suolo, è comunque abitabile rispetto al deserto vero e proprio.

Sono queste caratteristiche geografiche che dobbiamo tenere in considerazione nell’esplorare gli stati in cui è divisa la regione.
Nel Nordafrica, abbiamo infatti entità come Egitto e Marocco che vantano grandi tradizioni storiche, relativa omogeneità nazionale, e un apparato statale che, sebbene abbia conosciuto decenni di dominio coloniale, non è stato creato da tale dominio. Sono stati che riescono, con tutte le eccezioni del caso (vedi il problema del Polisario per il Marocco, o il Sinai per l’Egitto), a controllare in modo efficacie il proprio territorio. L’Algeria può vantare caratteristiche simili specie nella fascia a nord, dove vive la maggior parte della popolazione; ma verso sud, dove il suo territorio si stende negli sconfinati spazi sahariani, la capacità delle forze di sicurezza algerine di pattugliare e controllare effettivamente territorio e confini si riduce notevolmente. La Libia, ahinoi, paese creato dal colonialismo italiano, è invece da oltre un decennio in preda ad un conflitto che ne ha compromesso l’esistenza come stato unitario.

Ecco che dunque, procedendo verso sud, il controllo statale del territorio viene progressivamente a indebolirsi. In tali condizioni, l’habitat naturale desertico, estremo e inospitale, permette solo a chi possiede una conoscenza intima di piste, tracciati, oasi e punti di approvvigionamento una navigazione sicura. Gruppi nomadi o semi-nomadi, come i famosi Touareg, rappresentano appunto popolazioni del deserto che sfuggono al controllo degli stati sul cui territorio ora si stanziano, ora si spostano.

Fonte: Encyclopaedia Britannica

Arrivando nel Sahel, troviamo quindi stati come Mauritania, Mali, Niger, Chad. Enormi in estensione, in quanto occupano la metà meridionale del deserto, abitati principalmente nella fascia Saheliana, ma che, a differenza di Marocco, Egitto e Algeria, non possono vantare elementi di statualità comparabili. Creazioni artificiali coloniali (specie francesi), eterogenei a livello etnico, dove lo stato controlla in realtà la capitale e poco altro. I vasti spazi a nord sono virtualmente irraggiungibili dall’autorità statale. L’economia, per lo più agricola, rimane tra le meno avanzate a livello mondiale; indici di sviluppo umano e sociale riflettono questa situazione.

In questo contesto, ecco che questi paesi non solo sono meta di passaggio obbligata per chiunque, dall’Africa sub-Sahariana profonda, voglia raggiungere l’Europa. Sono anche paesi ad altissimo tasso di crescita demografica. Il Niger, per esempio, è il primo paese al mondo per figli per donna, oltre i sei di media. Ciò comporta una crescente pressione antropica sull’ecosistema, peraltro afflitto da problemi di desertificazione per via del cambiamento climatico; una popolazione molto giovane, con poche prospettive e dunque spesso irrequieta; e un apparato statale incapace di produrre risposte adeguate a problemi di tale magnitudine. Non è un caso se negli ultimi anni molti stati della regione abbiano conosciuto colpi di stato, specie militari, dopo anni di relativa stabilità politica: Burkina Faso, Niger, Mali, Sudan, Chad indicano come regimi di stampo più o meno democratico non siano riusciti ad articolare in modo soddisfacente le istanze della società civile – peraltro spesso frammentata secondo linee etniche e tribali – e a produrre soluzioni adeguate – anche in mancanza di adeguate risorse finanziarie, infrastrutturali, di competenza e preparazione.

Vasti spazi, pressione demografica, instabilità politica e debolezza delle istituzioni: un mix che ha reso possibile la progressiva estensione di fenomeni che destano grande preoccupazione. Possiamo utilizzare un esempio per illustrare tutto questo: l’incontro tra islamismo di matrice qaedista e movimenti indipendentisti Touareg tra Algeria e Mali.

Dobbiamo tornare agli anni Novanta del secolo scorso. L’Algeria è sconvolta da una sanguinosa guerra civile tra gli apparati militari e gruppi islamisti: i primi hanno annullato le elezioni democratiche che partiti di ispirazione religiosa avevano vinto nel 1991. Alcune delle frange più radicali dell’islamismo algerino, come il Gruppo Islamico Armato (GIA), danno vita a milizie di inusitata ferocia, che compiono stragi di civili e alienano la popolazione locale dalle istanze islamiste. Mentre la guerra volge a favore dei militari, riconoscendo l’errore strategico appena compiuto, una fazione del GIA fonda nel 1998 il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). La guerra termina nel 2001 con la sconfitta del GIA e l’avviamento di un sofferto processo di riconciliazione nazionale, che porta al ripristino del controllo del regime sul territorio algerino. Tuttavia, il GSPC sopravvive. Ha come obiettivo il rovesciamento del regime di Algeri per instaurare al suo posto un califfato islamico. Ma con la fine della guerra civile, il gruppo si ritira fondamentalmente nella regione montagnosa di Kabilya ad est della capitale, incapace di rappresentare una minaccia effettiva. Trova nuova linfa nel post 11 settembre, con la proliferazione di gruppi affini a livello ideologico, come appunto Al-Qaeda. Dopo anni di trattative, il GSPC si unisce ad Al-Qaeda diventandone la frangia nel Maghreb con il nome, appunto, di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM nel diffuso acronimo inglese).

Fonte: criticalthreats.org

Il cambiamento di nome non è solo cosmetico. Al-Qaeda ha una peculiare postura globalista: non si focalizza su questo o quel regime, non riconosce il sistema di stati-nazione. Chiede a GSPC-AQIM di adeguarsi. E AQIM, pur mantenendo basi nel nord dell’Algeria, si orienta verso un non meglio definito ‘Maghreb Islamico’  nella sua lotta contro gli infedeli. Un’area questa che copre approssimativamente lo spazio Sahariano, fin giu’ al Sahel, descritto poc’anzi. Inoltrandosi in questo spazio, AQIM si allontana dal nucleo dello stato algerino (riducendo così la sua minaccia per il regime) e stabilisce la sua presenza in aree dove le autorità algerine non sono altrettanto capaci di combatterla e reprimerla.

AQIM instaura così legami con popolazioni autoctone che ne facilitano l’insediamento in quella rete di oasi, rotte carovaniere e commerciali che caratterizzano lo spazio desertico tra Algeria e Mali. In particolare, trova nel Movimento per lo Stato dell’Azawad (MSA), dominato dal carismatico Iyad Ag Ghali, un prezioso alleato. Costui, alla testa di un movimento indipendentista Touareg contro il governo di Bamako, stringe un’alleanza con AQIM, di cui apprezza disciplina, preparazione e contatti nella vasta galassia islamista.

Questo connubio problematizza categorie che tendiamo ad usare in modo meccanico: terrorismo, movimento secessionista, gruppo criminale. AQIM e il MSA operano confondendo tali distinzioni. AQIM continua a lanciare attacchi contro obiettivi algerini (postazioni di polizia, impianti petroliferi e gasieri), ma anche dandosi al lucroso business del rapimento di stranieri, specie occidentali. Con il MSA gestisce il traffico di stupefacenti che, dall’America Latina, passa appunto per l’Africa occidentale e poi per il sistema Sahel-Sahara prima di giungere in Europa. In ultimo, il traffico di migranti: la conoscenza del territorio rende AQIM, MSA e una galassia di gruppi a essi affiliati un intermediario imprescindibile per chiunque, dall’Africa Sub-Sahariana, voglia recarsi in Europa attraversando il deserto.

Questa combinazione di militanza islamista, opposizione e lotta ai governi degli stati Saheliani, e proliferazione di traffici illeciti avviene per l’appunto in contesti di diffusa debolezza statale. In circolo vizioso, questi poi contribuiscono ad un ulteriore indebolimento degli apparati statali regionali, al punto che se ne è temuto un collasso. La Francia in primis, ma poi vari altri stati occidentali, tra cui l’Italia, hanno lanciato missioni militari (Serval, Barkane) dopo il 2010 proprio in virtu’ di una situazione di progressivo disfacimento dell’autorità di Mauritania, Mali, Niger, Chad. Missioni che intendevano assistere tali governi nel controllo del territorio e nella repressione di questo complesso fenomeno , ma la cui forza militare poco ha potuto per risolvere problemi con radici profonde: non ultimo, il risentimento diffuso nelle popolazioni autoctone verso la presenza di truppe occidentali (specie di Parigi), la cui presenza veniva facilmente (e comprensibilmente) legata al passato coloniale.

Tali operazioni hanno comportato sì l’uccisione o la cattura di vari esponenti di AQIM e gruppi ad essa affiliati; ma non hanno portato ad una eradicazione del problema: nel 2018 AQIM, MSA e gruppi ad essi vicini hanno fondato il Gruppo di Supporto all’Islam e ai Musulmani (Jama’at al-Nusra li-l-Islam wa al-Muslimin, o JNIM), entità capace di coordinare efficacemente traffici illeciti, resistenza secessionista e militanza islamista.

Il JNIM rappresenta dunque solo l’ultima manifestazione dei problemi strutturali di questa macro-regione, la cui gestione si complicherà vieppiù negli anni a venire.