Con una tempistica perfetta, un'ora prima del calcio d'inizio dei Mondiali 2018, il premier russo Dmitry Medvedev ha annunciato una misura inesorabile, da lungo tempo vagheggiata, ma mai portata sul piano esecutivo: l'aumento dell'età pensionistica. “Non c'è più tempo per le discussioni teoriche”, ha dichiarato, e già a luglio la Duma esaminerà il pacchetto di leggi che farà lavorare i maschi russi fino a 65 anni e le donne fino a 63 anni.

La riforma – l'approvazione da parte del parlamento in Russia è una questione tecnica – entrerà in vigore già dal 2019, quando quelli che compiono 60 anni non andranno in pensione, ma ci andranno dai 61 nel 2020, e aumenterà l'età della pensione a scatti di un anno ogni due anni, per venire completata nel 2028 per gli uomini e nel 2034 per le donne. Gli attuali pensionati non ne verranno toccati, e per coloro che hanno svolto lavori usuranti, hanno lavorato nel Nord o ricevono una pensione sociale per mancanza di anzianità lavorativa resteranno dei privilegi. Ma nonostante tutti gli ammortizzatori previsti si tratta di un terremoto sociale senza precedenti, il cui esordio è passato inosservato grazie all'entusiasmo dei 5 gol della nazionale russa nella rete dell'Arabia Saudita, ma che rischia di dissipare il clima di consenso raggiunto dopo le elezioni presidenziali alle quali Vladimir Putin ha conquistato il quarto (e, almeno secondo la Costituzione, ultimo) mandato.

Una misura necessaria: l'attuale età pensionistica di 60 e 55 anni era stata introdotta negli anni '30 da Stalin, quando l'aspettativa di vita media dei russi era intorno ai 40 anni. Oggi l'aspettativa di vita media si aggira intorno ai 73 anni, 67,5 per gli uomini e 10 anni di più per le donne, molto inferiore ai Paesi sviluppati, ma in costante aumento rispetto anche a soli 10 anni fa: all'inizio del secolo era di 59 anni per i maschi e di 72 per le donne, in altre parole un buon numero di uomini non viveva abbastanza a lungo da andare in pensione. La struttura demografica della Russia segue trend occidentali, e mentre la durata della vita è ancora inferiore, il livello delle nascite è basso quanto quello italiano o tedesco. Il rapporto degli occupati rispetto ai pensionati si è ridotto dal 4,8 del 1959 al 2,16 del 2016, e nei prossimi anni il numero degli anziani da mantenere diventerà uguale a quello della popolazione che lavora. Tutti gli altri Paesi dell'ex Urss, tranne l'Uzbekistan, hanno già alzato l'età della pensione. L'insostenibilità del sistema – il Fondo pensioni è in deficit da anni, e il suo budget viene regolarmente rabboccato dallo Stato – è stata segnalata da numerosi economisti, ma l'aumento dell'età pensionistica rimaneva un mezzo tabù. Vladimir Putin nel 2005 aveva promesso che non l'avrebbe aumentata finché fosse stato presidente. Anche durante la recente campagna elettorale la misura, ormai menzionata nei piani del Cremlino, veniva comunque tenuta fuori dal dibattito pubblico e mediatico, e non c'è dubbio che per i russi sarà una sgradita sorpresa.

Solo il 9% dei russi infatti, secondo i sociologi, sostiene la riforma, e i rischi sociali ed economici sono evidenti. Attualmente la pensione media è di 14 mila rubli, circa 200 euro, una volta e mezzo il cosiddetto “minimo di sopravvivenza”, e in media ammonta a un terzo del reddito lavorativo. Nonostante questi numeri ridotti, in molte zone e fasce sociali è spesso l'unico reddito garantito della famiglia, la cui assenza potrebbe aumentare il livello di povertà, già stimato nel 15% della popolazione. La voragine demografica dell'ultimo trentennio rischia di non colmare comunque il mercato con sufficiente manodopera, ma nonostante questo il mercato del lavoro estremamente competitivo tende a espellere già gli over 45 a favore dei più economici e dinamici giovani, e il rischio di creare una numerosa disoccupazione nella fascia 50-65 anni è alto. Inoltre, c'è il fattore umano: un terzo dei maschi non viveva abbastanza a lungo per andare in pensione anche a 60 anni, ora la speranza di avere dopo il lavoro una vita in cui dedicarsi a se stessi, alla famiglia o alla dacia si riduce ulteriormente: secondo l'attuale aspettativa di vita, un russo medio potrebbe godersi la pensione per soli due anni.

Il governo promette come contropartita l'aumento delle pensioni, che non vengono più indicizzate da due anni. Un numero drasticamente ridotto di pensionati a carico dello Stato permetterebbe di disporre di maggiori risorse, in teoria aumentando le pensioni anche del 40-50% nell'arco dei prossimi 15 anni. Ma la decisione del governo è segnale di mezzi ridotti, nonostante l'aumento dei prezzi del petrolio, principale fonte di ricchezza della Russia. Infatti, l'altra misura varata dal governo è l'aumento dell'Iva dal 18 al 20%, che andrà in parte a finanziare l'aumento delle pensioni, previsto già per l'anno prossimo. Si parla anche della revisione al rialzo della flat tax sul reddito del 13%. Tra le cause del prosciugamento dei fondi dello Stato gli analisti indicano l'esaurimento dei fondi di riserva creati negli anni del barile a più di 100 dollari, spesi negli anni della recessione dal 2014 al 2017, l'incremento delle spese militari e l'arrivo di nuove voci di spesa pubblica promesse da Putin nella campagna elettorale.

Insomma, come disse Dmitry Medvedev già qualche anno fa ai pensionati della Crimea, “non abbiamo soldi, ma tenete duro”. La pensione a 55 anni, e le tasse basse erano un tipico privilegio dei Paesi con grande ricchezza mineraria. Che però viene gestita in maniera molto peculiare, come ha denunciato un rapporto degli analisti di Sberbank CIB, una sussidiaria della maggiore banca di Stato. Secondo questo documento, “il programma di investimenti della società è un modo per beneficiare gli appaltatori alle spese degli azionisti”. I principali tre megaprogetti del colosso del gas – il gasdotto Potenza della Siberia verso la Cina, il North Stream 2 che dovrebbe portare metano al Nord Europa, e il Turkish Stream verso la Turchia e i Balcani – non solo sono dettati da motivazioni politiche, in primo luogo l'obiettivo di eliminare il transito attraverso l'Ucraina, e di dimostrare all'Europa di avere un mercato orientale. La loro efficienza economica viene considerata scarsissima: nel caso della Cina, il gasdotto conviene solo a un prezzo del barile superiore a 110 $, ma vincolando la Russia come fornitore a un unico consumatore probabilmente funzionerà in perdita. Nel caso dei due progetti europei, entrambi i gasdotti non aprono mercati nuovi, ma bypassano l'Ucraina, senza peraltro riuscire completamente a escluderla dalla rete, con un ritorno dei costi rispettivamente in 20 e 50 anni. In altre parole, più di 90 miliardi di dollari verranno spesi per progetti di cui probabilmente si poteva fare a meno.

La capitalizzazione di Gazprom è scesa dai 360 miliardi di dollari del 2008 – quando il suo CEO Alexey Miller prometteva di raggiungere il trilione in pochi anni – a soli 54 miliardi. Una gestione inefficiente, è il classico refrain degli analisti nei confronti del colosso del metano, il cuore del potere economico e politico di Mosca. Gli autori del rapporto di Sberbank però hanno ribaltato il ragionamento: la loro ipotesi di lavoro è che “Gazprom è invece ben gestita, nel senso che adempie perfettamente alla sua funzione, dal punto di vista di chi lo controlla: non il governo (principale azionista), né tantomeno gli azionisti di minoranza che controllano quasi il 40%, ma i principali appaltatori della società”. I nomi dei vincitori dei grandi appalti – dalle Olimpiadi al ponte per la Crimea e agli stadi dei Mondiali – in Russia sono quasi sempre gli stessi: i fratelli Arkady e Boris Rotenberg e Ghennady Timchenko, i più stretti alleati e sostenitori di Vladimir Putin, diventati miliardari grazie al dirottamento delle spese dello Stato verso di loro, tutti nella lista delle sanzioni europee e americane. E, finiti i gasdotti, sarà in arrivo un altro capitolo di spesa: il rinnovamento delle centinaia di chilometri di tubi dei condotti esistenti, che verrà affidato non ai fornitori storici, attualmente ridotti al 50% del loro potenziale produttivo, ma a un nuovo produttore di tubi, di proprietà, tra gli altri, del compagno di università di Putin, Nikolay Egorov.

Il rapporto di Sberbank CIB ha provocato un tale clamore che gli analisti che l'hanno scritto sono stati licenziati, e il potentissimo presidente della banca Gherman Gref, per anni ministro dello Sviluppo economico, ha dovuto scusarsi con Timchenko. Ma intanto, finiti i gasdotti, per Gazprom è in arrivo un altro capitolo di spesa: il rinnovamento delle centinaia di chilometri di tubi dei condotti esistenti, che verrà affidato non ai fornitori storici, attualmente ridotti al 50% del loro potenziale produttivo, ma a un nuovo produttore di tubi, di proprietà, tra gli altri, del compagno di università di Putin, Nikolay Egorov. Se i prossimi sei anni saranno davvero l'ultimo mandato di Putin, prima di una transizione di potere tutta da inventare, saranno segnati non solo da riforme impopolari di cui non dovrà più pagare il prezzo in termini di sostegno, come l'aumento dell'età pensionistica, ma anche da una corsa dell'oligarcato vicino al presidente per accaparrarsi e redistribuirsi la ricchezza rimasta. Il modello economico e sociale di Putin, che per 15 dei suoi 19 anni al potere aveva incrementato costantemente il tenore di vita dei russi senza chiedere in cambio altro che lealtà, sembra mostrare segni di esaurimento.