Nel contesto di incertezza portato dalla pandemia di Covid-19 nasce, in Francia, un movimento che si propone di uscire dalle impasse delle ultime manifestazioni ecologiste di piazza offrendo linee di riflessione teorica e pratica per rompere l’inerzia presentista, il catastrofismo e l’attitudine governamentale o completamente tecnocratica di quel fatto sociale totale che è l’Antropocene.
Sto parlando del movimento Les soulèvements de la terre, costituitosi nel gennaio 2021 sulla scia dell’occupazione di terre a Notre-Dame-des-Landes per impedire la costruzione di un nuovo aeroporto e la conseguente cementificazione del paesaggio dell’estuario della Loira costellato da piccoli boschi, siepi e paludi frammiste a parcelle irregolari coltivate. Il punto di vista del movimento – che si vuole anche coalizione e organizzazione – è la terra nella sua forza istituzionale, plurale e antidogmatica. «È giunto il momento di stabilire un rapporto di forza per far tornare l’ecologia con i piedi per terra», si legge nell’appello fondatore[1]. Il simbolo che li contraddistingue, la messa a terra (visibile nell'immagine di copertina), anche prise de terre in francese, non è dunque semplice metafora.
L’obiettivo è agire «contro la monopolizzazione e l’avvelenamento della terra e dell’acqua da parte del complesso agroindustriale. Contro la metropolizzazione e la cementificazione delle terre agricole che ci nutrono e degli ultimi spazi naturali», con lo scopo di «riprendere, mettere in comune e custodire la nostra terra. Per intraprendervi esperienze comunitarie e cooperative. Per reinventare forme di vita che combinano il sostentamento contadino alla simbiosi con tutti i viventi»[2]. Nella forma di una resistenza alla devastazione in atto.
Il movimento, che il governo scioglie nell’estate 2023, proprio a seguito della repressione riscuote ancora più successo nella diversificata arena della società civile. Tanto che il Consiglio di stato annulla il decreto di scioglimento stesso. E tanto da far allarmare – questo però già dall’anno precedente – i servizi di intelligence francesi circa il ruolo giocato nella «diffusione e accettazione di modalità operative più offensive», nella capacità di «inserire le azioni di sabotaggio in una logica difensiva dei beni comuni minacciati» – ciò che il movimento definisce disarmo[3] – e ancora nel far passare «attivisti solitamente dediti ad azioni di disobbedienza civile alla resistenza civile»[4].

In che senso, allora, la terra è la pietra angolare di tale resistenza? Perché essa offre una «presa sul mondo»[5] ecologica, sociale e decoloniale.
- Ecologica poiché è necessario, affinché siano base di nutrimento e abitabilità per noi e le altre specie, difendere le terre dall’estrattivismo, dalla cementificazione, dalle arterie della logistica, dal complesso agroindustriale e da quello del turismo incontrollato.
Vi è in gioco l’immaginare una sussistenza diversa da quella imposta dal settore agro-industriale, del quale Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz hanno mostrato l’intreccio con la guerra, nei termini di uno spostamento dei prodotti dell’industria chimico-bellica verso l’agricoltura a seguito della seconda guerra mondiale[6]. Si tratta della «rivoluzione verde» promossa principalmente dagli Stati Uniti, basata sulla meccanizzazione dell’agricoltura – che quindi diventa bisognosa di grandi quantità di petrolio e di metalli in caso di passaggio all’elettrico – su varietà ibride di riso e mais, e sull’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici per massimizzare la produzione in senso capitalistico. Insomma, la preoccupazione ecologica intende portare all’attenzione quella storia che intreccia guerra, chimica e agricoltura, di cui i promotori hanno a lungo tentato di occultare gli effetti indesiderati in termini di salute e perdita di biodiversità (si vedano gli studi pioneristici di Rachel Carson[7] e quelli di Naomi Oreskes[8]). Ma anche battersi contro la cementificazione del mondo e la sparizione dei contadini.
- Sociale, poiché l’erosione ecologica procede insieme a quella sociale.
L’ambizione è raccogliere l’eredità dei movimenti che dal 2016 (se ci atteniamo alla storia recente) si oppongono allo sfaldamento dello stato sociale: Nuit debout contro la riforma del lavoro nella primavera del 2016, i Gilets jaunes dall’autunno 2018 contro l’aumento dei prezzi, conseguente anche alla transizione ecologica, che grava sulle classi lavoratrici acuendo le diseguaglianze e il movimento contro la riforma delle pensioni del 2023.
Les soulèvements de la terre si propongono di ripensare le strategie della lotta sociale, diversificandone le modalità e gli attori, senza scartare il confronto con le istituzioni e anzi puntando proprio a diventare forza istituzionale imprescindibile, sebbene non in senso partitico. La questione fondiaria è il punto archimedeo di questa delicata ed esplosiva «composizione politica»[9]: per far affiorare l’intreccio eco-sociale è necessario realizzare a che prezzo siamo stati privati della terra. È l’inesauribile questione della redistribuzione della terra. Il presupposto teorico è che l’attuale crisi vada compresa a partire dalla lunga storia di accaparramento delle terre e di concentrazione di queste nelle mani di pochi. Si tratterebbe dunque di uscire dalla strettoia che mentre produce una falsa abbondanza continua a generare esistenze precarie.
Nella matrice marxista di tale riflessione convergono le analisi di Rosa Luxemburg secondo la quale l’accumulazione, la presa della terra, non è una pratica inaugurale bensì costitutiva del capitalismo, il quale ha bisogno di un «fuori» di cui appropriarsi, o quelle di David Harvey, che ha chiamato la continua spoliazione imperialistica «accumulation by dispossession»[10]. Ma vi è anche la linea, ecomarxista e femminista, che trova le condizioni stesse dell’accumulo del plusvalore nell’«appropriazione» del lavoro/energia non riconosciuto come tale, e cioè nel «lavoro invisibile» dell’insieme del vivente e del non vivente (forza riproduttiva femminile, schiavitù, prolificità animale, vegetale e microbica, processi bio-geologici ecc.)[11].
- Decoloniale, conseguentemente ai primi due punti. Il modello di vita occidentale continua infatti a dipendere in larga misura dal saccheggio ripetuto del Sud globale.
Già Lévi-Strauss traeva dalla lettura di Marx l’anteriorità logica e teorica del colonialismo rispetto al capitalismo[12]. La razzia colonialistica delle risorse e il sistema schiavistico non soltanto danno avvio al capitalismo ma continuano a costituirne la base materiale. Da questa base il capitalismo può riprodurre i suoi meccanismi predatori ed esproprianti anche nel Nord del mondo. Un’ecologia politica dovrà allora attaccare con azioni dirette (disarmo, blocco, occupazione) quelle infrastrutture (si parla dunque di beni materiali), pensate come filiere da indebolire, che incarnano questi rapporti di tipo coloniale. Si tratti delle aziende estrattiviste (fossili, terre rare) o del complesso agroindustriale che mentre continua ad avvelenare i suoli, le acque e i corpi con i pesticidi, ha bisogno di deforestazioni sistematiche per alimentare gli allevamenti intensivi.
Proprio quest'ultima questione offre un punto di vista privilegiato per guardare al nodo ecologico, sociale e coloniale della terra (si pensi che il Sud del mondo patisce in modo più drammatico le catastrofi già avvenute a causa dello sconvolgimento climatico) che in realtà, proprio come un intreccio, attraversa ogni lotta ecologista locale. Che appare allora sempre meno «locale».
[1] https://lessoulevementsdelaterre.org/blog/appel
[2] G. Fava, C. Terra (a cura di), Abbecedario dei Soulèvements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune, Orthotes, Napoli 2024, p. 27. Si tratta di un agile dizionario del movimento in cui è inclusa una breve presentazione e una cronologia.
[3] Cfr. la voce «disarmo» in Abbecedario dei Soulèvements de la Terre, cit., pp. 59-61.
[4] Corsivo nostro. Si trovano questa e altre riflessioni puntuali sul movimento nella nota del Service central du renseignement territorial datata novembre 2022, messa a disposizione dal giornale dedicato all’ecologia Reporterre: https://reporterre.net/Quand-une-note-des-renseignements-fait-l-eloge-des-Soulevements-de-la-Terre
[5] Les Soulèvements de la terre, Premières secousses, La Fabrique, Paris 2024, p. 16. Si tratta del manifesto del movimento, in cui vengono esposte le prospettive pratiche e teoriche, gli obiettivi ma anche i paradossi e le contraddizioni di un movimento che, nel guardare al futuro, non dimentica le lezioni politiche del passato.
[6] C. Bonneuil, J.-B. Fressoz, La Terra, la storia e noi, Treccani, Milano 2019, cfr. capp. 5 e 6.
[7] R. Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, Milano 1963.
[8] N. Oreskes, E. M. Conway, Mercanti di dubbi. Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale, Edizioni Ambiente, Milano 2019.
[9] Cfr. la voce «composizione» in Abbecedario dei Soulèvements de la Terre, cit., pp. 45-47.
[10] R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, PGreco, Milano 2021; D. Harvey, The 'new' imperialism: accumulation by dispossession, in «Socialist Register», n. 40, 2004, pp. 63-87.
[11] J. Moore, Capitalism in the web of life, Verso, London 2015; S. Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, Milano 2020.
[12] C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale due, Il saggiatore, Milano 1978, p. 356.
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