Parigi affonda in una crisi fiscale sempre più profonda, una trappola di numeri e politica da cui sembra impossibile uscire. Le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale dipingono un quadro fosco: il deficit, al 5,4% del PIL nel 2025, scenderà appena sotto la soglia del 5% solo nel 2026. Nel frattempo, la Commissione Europea stima che il debito pubblico si impennerà fino al 118,4% del PIL.

Per guadagnare il sostegno di 69 deputati socialisti e tenere in piedi l'esecutivo, il governo Lecornu ha fatto la mossa più costosa: rinviare la riforma pensionistica, una decisione che, secondo fonti UE, graverà sulle casse dello Stato per 1,8 miliardi di euro nel 2027. Il mercato ha già reagito: tra settembre e ottobre 2025, Fitch e S&P hanno tagliato il rating sovrano da AA- a A+, punendo l'instabilità politica e i rischi fiscali. È la crisi perfetta, dove l'insostenibilità dei conti pubblici si scontra con la paralisi delle istituzioni. Il sistema semi-presidenziale della Quinta Repubblica, nato per garantire stabilità, non riesce più a coagulare il consenso per le riforme necessarie, segnando forse la fine di un'epoca.

La Francia ha bruciato in pochi anni una reputazione di rigore fiscale costruita in decenni. Le promesse di Parigi a Bruxelles di rientrare nel famigerato parametro del 3% di deficit entro il 2029 suonano oggi come pura fantasia. L'OCSE fotografa una situazione stagnante: un debito destinato a stabilizzarsi intorno al 120% del PIL nel 2026, accompagnato da deficit persistenti. La manovra da 60 miliardi messa sul tavolo punta a un deficit del 4,7% nel 2026, ma in un parlamento frammentato ogni misura rischia il veto incrociato. E mentre la politica arranca, la Banque de France lancia il suo monito: senza riforme strutturali, la crescita rimarrà anemica, inchiodata allo 0,6% nel 2026.

Il deficit pubblico della Francia (% del PIL)

Fonte: INSEE, Le Parisien

Come si è arrivati a questo punto? Non con un crollo, ma con una lenta e silenziosa deriva. Tre decenni in cui i tassi di interesse artificialmente bassi hanno anestetizzato la classe politica, permettendo al debito di triplicare senza che se ne percepissero le conseguenze immediate. L'OCSE sottolinea da anni la stagnazione del PIL potenziale, causata proprio dalla mancanza di riforme strutturali. La Banque de France fa notare un paradosso: gli interessi sul debito sono oggi inferiori di 0,9 punti percentuali rispetto al 2000, nonostante il debito sia enormemente più alto. Questa "illusione monetaria" ha frenato gli investimenti, accelerato la deindustrializzazione e congelato l'innovazione tecnologica, lasciando il capitalismo francese in un torpore che ha bloccato quella "distruzione creatrice" essenziale per la crescita.

La scommessa azzardata di Macron e il prezzo del potere

La scintilla che ha innescato l'ultima fase della crisi è politica. Lo scioglimento anticipato del parlamento nel 2024, una mossa calcolata del Presidente Macron, si è rivelata un boomerang, producendo un'Assemblea Nazionale ingovernabile. Il Premier Lecornu sopravvive oggi grazie all'appoggio dei socialisti, ma il prezzo è stato, come detto, il rinvio della riforma delle pensioni – un settore che, con una spesa già al 14% del PIL (tra le più alte dell'area OCSE), rappresenta una delle voci di costo più insostenibili. L'FMI calcola che per stabilizzare il debito servirebbe un avanzo primario dell'1% del PIL; oggi si registra un disavanzo del -3%. La spesa pubblica totale supera il 57% del PIL, la più alta nell'eurozona dopo il Belgio. Eppure, senza una maggioranza solida, perseguire una manovra correttiva del 4% del PIL appare un miraggio. È qui che la crisi di governo e la crisi dei conti pubblici si intrecciano in un nodo indissolubile.
La crisi francese colpisce su tre fronti simultaneamente:

1. Finanziario: I downgrade di Fitch e S&P hanno fatto schizzare lo spread degli OAT con i Bund tedeschi ai massimi, mentre gli investitori esteri – che detengono il 50% del debito – sono pronti a vendere al primo peggioramento.
2. Economico: La Banque de France stima che la sola incertezza politica ridurrà la crescita di 0,2 punti già nel 2025. Un sistema fiscale che penalizza il lavoro scoraggia l'occupazione degli over-55, mentre l'OCSE avverte che, senza risorse per gli investimenti, il potenziale di crescita rimane fermo. Il leggero miglioramento registrato dai dati del PIL di fine ottobre (+0,5%) non sarà certo sufficiente a mutare il corso degli eventi.
3. Strutturale: L'economia è stretta in una tenaglia: un'offerta che non cresce e una domanda soffocata dal peso della spesa pubblica. Una crisi duale che i tassi, pur generosamente bassi della BCE, non bastano più a curare. Servirebbe il consenso per le riforme, ma è l'unica cosa che manca.

Il terreno di coltura della paralisi che divora la democrazia è la crisi di fiducia nelle istituzioni. Secondo il CEVIPOF, il 60% dei francesi chiede le dimissioni di Macron, l'81% ritiene che la democrazia non funzioni e solo il 24% si fida dell'Assemblea Nazionale. L'abuso sistematico dell'articolo 49.3 della Costituzione, che permette di bypassare il voto parlamentare, alimenta le accuse di autoritarismo. Quando il parlamento diventa solo un ostacolo da aggirare, la sua stessa utilità viene meno, sfidando le fondamenta stesse della Quinta Repubblica.

Contagio: lo spettro che agita l'Europa

Gli scenari che si aprono sono a cascata e minacciano di scavalcare i confini francesi.

  • Breve termine: Il governo rischia la caduta sulla manovra di bilancio, con la sinistra che spinge per tasse sui ricchi in un parlamento ostaggio di veti incrociati. Una caduta che garantirebbe un anno di paralisi, dato che Macron non potrebbe sciogliere l'Assemblea.
  • Medio termine: Il peso degli interessi sul debito è destinato a salire dal 2% del PIL del 2023 al 2,9% nel 2026 (Banque de France), erodendo risorse preziose per investimenti e crescita futura.
  • Lungo termine: La Francia non è la Grecia. Rappresenta il 20% del PIL dell'eurozona. Un suo contagio porrebbe la BCE di fronte a un dilemma esistenziale: intervenire, scatenando la furia dei paesi "frugali" del Nord, o astenersi, minando così la credibilità e la stabilità dell'euro stesso? La sostanza è che salvare la Francia sarebbe inevitabile, ma in questo scenario il costo del deprezzamento dell’euro riguarderebbe 351 milioni di persone e 20 paesi.

Le soluzioni tecniche e i rimedi, in realtà, sono noti. L'OCSE le raccomanda da anni: spostare la tassazione dal lavoro alle imposte indirette e ai patrimoni inattivi; introdurre controlli indipendenti sulla spesa pubblica sul modello del CBO americano; dare autonomia fiscale alle regioni per tagliare gli sprechi di un centralismo obsoleto. Ma il governo resiste per non alienarsi il centro-destra. Aumentare le tasse sulle imprese sarebbe controproducente, mentre il rinvio della riforma pensionistica – che avrebbe alzato l'età da 62 a 64 anni – è una vittoria di breve termine di destra e sinistra che scarica il costo sui giovani. L'OCSE calcola che quel rinvio costerà l'1,5% del PIL in spesa aggiuntiva entro il 2030. I tagli lineari del 5% alla spesa, inventati in fretta e furia, non colpiscono gli sprechi ma tutto indiscriminatamente: è pura navigazione a vista.

Andamento del PIL in Francia

Fonte: INSEE

Nella trappola: la resa dei conti è solo rimandata

La Francia è in una trappola nata da scelte deliberate e omissioni colpevoli. Un sistema che non sa dire di no alle lobby: i sindacati bloccano il lavoro, gli imprenditori difendono privilegi ereditari, i pensionati resistono a qualsiasi cambiamento. Macron, che aveva scommesso sul rinnovamento, ha perso la sua scommessa, svuotando il centro politico mentre le estreme promettono l'impossibile. Il pessimismo non è catastrofismo, ma un punto di caduta razionale.
I mercati hanno sparato il primo avvertimento. La Francia ha ancora più margine di quanto ne avesse l'Italia nel 2011, ma rischia di bruciarlo rapidamente se non affronterà le radici della crisi. La Quinta Repubblica, con la sua rigidità e frammentazione, sembra non possedere la cultura del compromesso necessaria per salvarsi. L'Europa osserva, impotente, consapevole che una crisi francese sarebbe un test per l'eurozona di gran lunga superiore a quello greco o italiano.

Uscite facili non se ne vedono. Restano, per il momento, solo due opzioni: un trauma esterno, che costringa all'azione, o un improbabile cambio culturale. La storia insegna che le riforme più dolorose spesso arrivano solo quando l'emergenza è già esplosa, con costi sociali enormi e la sovranità nazionale sotto scacco. Se la destra di Le Pen e Bardella conquistasse la Francia tra un anno il pareggio di bilancio resterà comunque una quadratura improbabile. Gli economisti di Asterès hanno stimato che i tagli promessi su welfare, migranti, frodi e burocrazia ospedaliera (17 miliardi totali) non coprirebbero una “pioggia” di 120 miliardi in tagli fiscali e altre misure espansive promesse, anche considerando di ridurre di 5 miliardi il contributo alla UE – arduo da negoziare.

La Francia sta giocando una partita che il mondo ha già visto in altri paesi. Si rimanda l'inevitabile, finché l'inevitabile non bussa alla porta. E allora, forse, dalle ceneri di questa crisi, potrebbe nascere una Sesta Repubblica.

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