Ungheria “infelix”

Ne La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca[1], Enrico Deaglio descrive – attraverso le parole di Perlasca - la situazione in Ungheria nel contesto della Seconda Guerra mondiale, e ne tratteggia una immagine fedele a un contesto cosmopolita e relativamente tranquillo (perlomeno agli inizi del conflitto, e agli inizi del resoconto) rispetto ad altri paesi occupati dai nazisti, tanto da meritarsi l’appellativo di “Hungaria felix” e questa descrizione:
“… sembrava che la guerra non la toccasse. C’era da mangiare, si poteva lavorare e guadagnare; la famosa vita notturna andava avanti come se nulla fosse…»

Aprile 2025. Mi trovo a Budapest per partecipare – come delegata alle relazioni internazionali del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi – alla General Assembly annuale di ELF (European Liberal Forum). ELF è la fondazione politica ufficiale dell’ALDEAlliance of Liberals and Democrats of Europe -, la federazione che raggruppa e rappresenta i partiti liberaldemocratici al Parlamento Europeo, attualmente affiliata al gruppo parlamentare Renew Europe. ELF sostiene e realizza in prima persona molteplici attività di ricerca, informazione e formazione, costituisce uno spazio di elaborazione culturale, scientifica e politica e un network di scambio composto da 51 tra fondazioni, think tank e altre organizzazioni di ispirazione liberale provenienti da 25 paesi. ELF è in crescita costante da quando è nata: la sua sezione di Policy and Research, in particolare, si propone di fare e divulgare ricerche in tempo reale, basate su evidenze quali-quantitative e rilevanti per le politiche pubbliche, in grado di orientare e arricchire la nostra comprensione delle condizioni sociali ed economiche in Europa. Un lavoro e una ricerca orientati al futuro, proposte di sviluppo di teorie, buone prassi e politiche in grado di informare i decisori politici e influenzare risoluzioni significative a livello nazionale ed europeo in tre macro-aree di ricerca e una serie di temi specifici[2]: Techno-Politics/Techno-Sustainability, new-European Security, Social Policy/Resilient Democracy and Human Rights. Nel Who We Are leggo:
“lavoriamo per trovare soluzioni liberali ai problemi dell’Europa, offrendo uno spazio di ispirazione e dialogo, per rendere il futuro il nostro miglior alleato”

Cinquantuno centri di ricerca e venticinque paesi sono tantissimi. L’Assemblea Generale è il momento più bello dell’annata di ELF: il momento – non meramente celebrativo - in cui ci si ritrova, si commentano le esperienze passate, si rinnovano promesse per il futuro, ci si confronta e si pongono le premesse per il lavoro dell’anno a venire. È quanto di più vicino possa esistere nella realtà, dal punto di vista di chi scrive, all’idea di libertà: un concetto – la libertà – cinquantuno (ma sono certa siano molte di più) concezioni di libertà, e di uguaglianza: cosa siano, a cosa servano, come si misurino, cosa fare per mantenerle, cosa mettere in atto nei casi in cui vanno recuperate e/o rinnovate.
Ma mentre noi celebriamo la parte migliore del liberalismo all’Hotel Continental – che sorge sul sito dell’ex leggendaria Hungária Bath e dello storico Continental Hotel, nel centro di Budapest, proprio accanto al Quartiere Ebraico, con le sue strade suggestive, il mercato e l’eredità culturale esemplificata dalla più grande sinagoga d’Europa e dal Museo Ebraico, per una infelicissima coincidenza, nello stesso pomeriggio di insediamento della GA di ELF, sulle sponde del Danubio – lungo le rive della prima capitale di un paese dell’ex blocco comunista ad ospitare, nel 1997, una marcia del Pride -, la (ampia – 140 voti vs 21) maggioranza governativa del Parlamento Ungherese sta modificando la legge sulle manifestazioni pubbliche, permettendo così alle autorità di classificare i raduni pro-LGBTIQ+ come violazioni della legge sulla protezione dell’infanzia e, di conseguenza, vietare da oggi in poi il Budapest Pride e ogni evento o manifestazione pubblica ad esso connessi.

Budapest - Foto Beatrice Magni

L’emendamento n. 15 offre la base costituzionale alla legge, codificando come reato l’organizzazione o la partecipazione a eventi che violino una norma del 2021 che a sua volta vieta la “rappresentazione e promozione” ai minorenni di contenuti considerati dall’esecutivo come lesivi in quanto espressione di “propaganda omosessuale”. La modifica costituzionale prevede, consentendolo, anche l’uso del riconoscimento facciale di eventuali trasgressioni da parte delle forze dell’ordine.
Le modifiche avevano preso avvio già nel mese di marzo, insieme a una serie di proteste civili durate settimane, e concluse con il tentativo di creare una sorta di transenna umana per tentare di bloccare, il giorno della approvazione della legge, l’ingresso a un parcheggio del Parlamento, per impedire in extremis l’espressione di un voto che prevede anche – come effetto collaterale di chiosa – la sospensione temporanea della cittadinanza ungherese ai cittadini e alle cittadine con doppia cittadinanza considerati una minaccia per la sovranità nazionale.
In un Parlamento e un lungo fiume denso di polizia, ELF ha fatto la sua parte, manifestando a cinquantuno voci il proprio dissenso di fronte al Parlamento: il Parlamento Europeo e i suoi deputati affermeranno poi che questa limitazione dei diritti di riunione e di espressione costituisce una violazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dai valori stessi dell’Unione. Ricordo, peraltro, che già nel mese di gennaio del 2024 i deputati avevano esortato il Consiglio a sbloccare la procedura per valutare delle possibili “gravi e persistenti violazioni dei valori dell’UE” da parte dell’Ungheria. Ma quel divieto, oggi, è legge in Ungheria.

Sotto gli occhi distratti del mondo

In teoria politica si parla di doppio standard. I double standard si verificano quando le aspettative nei confronti dei membri di vari gruppi sono diverse e spesso viene privilegiato un gruppo a scapito di un altro sulla base di pregiudizi culturali. Il valore differenziale attribuito a diverse categorie di persone (la distinzione tra uomini e donne ne è forse ancora il caso più paradigmatico) influenza le aspettative sul posto di lavoro, nelle attività pubbliche, nella modalità di espressione, ma anche nella rappresentazione che abbiamo dei soggetti che lo subiscono, nei media, nel mondo politico e in quello culturale. Nel marzo 2025, con l’approvazione di quella legge, l’Ungheria ha compiuto un nuovo passo nel suo percorso di restringimento delle libertà civili, perché questa mossa non rappresenta solo un duro colpo ai diritti della comunità LGBTQ+, ma un segnale inquietante sullo stato della democrazia nel Paese, e un rafforzamento di quel double standard che, chi scrive, considera al momento il paradigma interpretativo più convincente per spiegare molti dei fenomeni più controversi presenti oggi sullo scenario internazionale.

La legge ungherese si inserisce all’interno di un contesto normativo già problematico, fondato – come già detto - sulla cosiddetta "legge per la protezione dei minori", approvata nel 2021, che vieta la "promozione dell’omosessualità e del cambiamento di genere" ai minori di 18 anni. In pratica, qualsiasi espressione pubblica dell’identità LGBTQ+ viene criminalizzata o censurata, con il pretesto di proteggere l’infanzia. Il nuovo provvedimento, tuttavia, si spinge molto più in là: non si limita più a limitare contenuti o messaggi specifici, ma attacca direttamente il diritto di assemblea e di espressione. Il messaggio è chiaro: non si tratta solo di contenere soggetti considerati come diversi, ma di reprimere e intimidire una minoranza, secondo le logiche di una deriva autoritaria mascherata da protezione morale, difesa dei valori della tradizione e sovranità culturale. Il volto consueto dello sweet despotism. Oggi tocca a me, ma domani potrebbe toccare a te.

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Il labirinto del disumano

L’Ungheria sta creando un precedente pericoloso all’interno dell’Unione Europea, ma le sanzioni finora imposte dall’Unione Europea a Budapest si sono dimostrate inefficaci nel fermare l’erosione illiberale dello stato di diritto che ha coinvolto, in questo caso, la libertà di riunione[3]. Ma il punto nodale su cui riflettere è forse il fatto che, in un continente che si proclama baluardo della libertà e dei diritti umani, l’Ungheria mette alla prova la coerenza dell’intero progetto europeo. Il silenzio o l’inazione di fronte a queste violazioni rischiano di normalizzare una visione autoritaria della società, fondata sulla paura, sull’omologazione e sull’esclusione di persone. Il punto, tra gli altri, sollevato dal caso ungherese, è fino a quale limite sia possibile forzare la politica dentro all’etica e alla morale: quando la politica cerca di essere morale - intendo qui la morale come morale tradizionale, quell’insieme di principi e valori ideali in base ai quali l’individuo e la collettività distinguono il bene dal male, ovvero un codice di condotta riconducibile alla consuetudine di una comunità specifica e al contesto in cui essa vive e agisce –, si perdono le condizioni necessarie per ogni esistenza morale. In questo precisamente risiede il paradosso della politica: in tutto ciò che riguarda la vita pubblica, la sicurezza e quello che oggi definiremmo ‘welfare’, essere morali è – per alcuni e in alcuni, oggi numerosissimi, casi - molto spesso un esercizio altamente immorale, ingiusto, discriminatorio, oppressivo.

È questo, forse, il messaggio più importante in arrivo da Budapest, da coloro che continuano a protestare e manifestare anche in questo momento: la solidarietà, in ultima analisi, non può essere un ideale, come l’uguaglianza e la fraternità, e nemmeno un precetto, come la carità. È una relazione costante di reciproca dipendenza tra gli esseri umani, relazione che crea dei doveri, a partire dal dovere di difendersi contro abusi di potere e ingiustizie. Ecco il dilemma, che il caso ungherese, il ricordo di Perlasca (Giusto tra i Giusti, nel cortile posteriore della Grande Sinagoga di Budapest), i tentativi dei liberali di ELF, ci pongono davanti agli occhi, oggi: la solidarietà è un’idea morale o politica? Più precisamente, chi promuove solidarietà deve fare appello o meno all’intervento dello Stato? Esiste una solidarietà nel male e nell’ingiustizia che deve essere sostituita con una solidarietà di giustizia, come avvenne con il celebre caso Dreyfus, ancora oggi – a distanza di più di centocinquanta anni – il miglior esempio per spiegare l’immensa difficoltà che si incontra nel momento in cui si cerca di fondare il diritto sui fatti: sarà in questa circostanza, infatti, che la cosiddetta “legge della solidarietà” indurrà a non considerare più l’individuo come un essere astratto, titolare di diritti anch’essi astratti, ma come una “persona” in carne ed ossa, che sarà necessario considerare nel suo rapporto con tutte le altre, con il suo tempo, con tutti coloro che sono stati, e che verranno.
Solo a questa condizione si riuscirà a risolvere l’eterno dilemma del rapporto della parte con il tutto, ovvero il conflitto tra fini individuali e fini collettivi.

Se “liberalismo”, contrapposto a “autoritarismo”, significa riconoscimento del fatto della società e dell’uguaglianza tra gli individui, allora il liberalismo è giusto. Ma se diventa il labirinto del disumano, il pretesto per sacrificare l’individuo alla collettività, e per ristabilire principi arbitrari di autorità e di abnegazione, allora il liberalismo diventerà il peggior nemico dell’individuo.

 

[1] Il libro, pubblicato nel 1991, è un resoconto della vita del “giusto tra le nazioni” Giorgio Perlasca e del suo operato a Budapest durante la seconda Guerra Mondiale. Il titolo è un implicito riferimento al titolo del più celebre testo di Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, incentrato sulla figura di Adolf Eichmann, ufficiale nazista attivo in Ungheria fino al 1944 e principale responsabile amministrativo delle deportazioni di migliaia di ebrei durante la soluzione finale della questione ebraica. Deaglio, nel 1989, dopo un silenzio durato quasi mezzo secolo, riesce a trovare e intervistare il protagonista, ormai ottantenne, che gli racconta la sua incredibile storia di azione e resistenza attiva. Celebre è l’incipit del libro: “Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?”.

[2] Per il dettaglio delle aree di ricerca è possibile riferirsi a: https://liberalforum.eu/think-tank/research-areas/

[3] Segnalo che, nonostante le intimidazioni, la comunità LGBTQ+ ungherese non arretra. Gli organizzatori del Budapest Pride hanno annunciato l’intenzione di andare avanti con la marcia del 28 giugno, in occasione del trentesimo anniversario dell’evento.