La 21a edizione dei mondiali di calcio FIFA 2018 è iniziata. Per un mese l’attenzione mediatica sarà focalizzata sull’evento e sul Paese ospite, la Russia, con il rischio che possa diventare l’obiettivo di azioni di stampo terroristico.

 

La 21a edizione dei mondiali di calcio FIFA 2018 si sta svolgendo in Russia con il coinvolgimento di 11 città, 32 squadre di tutto il mondo, centinaia di migliaia di spettatori negli stadi e milioni di spettatori davanti alle televisioni. Questo è probabilmente l’evento sportivo più visto di tutto il mondo. E, anche se la nazionale italiana non parteciperà, gli italiani seguiranno l’evento con grande interesse (per un mese, da tifosi diventeranno tutti allenatori, opinionisti e grandi esperti di calcio).

Con questo contributo, però, non si vuole parlare della dimensione sportiva ed economica dell’evento, di chi sia più bravo tra Messi e Cristiano Ronaldo, di quale squadra meriti di vincere, ma affrontare il tema dei mondiali in Russia da un’altra prospettiva: quella della sicurezza. Questo perché un evento di tale portata mediatica, e di conseguenza economica (basti pensare che la sola Mediaset ha pagato circa 78 milioni di euro i diritti televisivi dell’evento), rappresenta un bersaglio sensibile per azioni di tipo terroristico portate avanti da gruppi come ISIS o i suoi affiliati.

I mondiali in Russia sono l’esito di una precisa strategia politica. Putin negli ultimi anni ha cercato di riportare la Russia al centro della politica internazionale; a tal fine ha sfruttato alcuni elementi chiave. Prima di tutto l’estensione territoriale del Paese e la sua posizione geografica, che consente di giocare un ruolo cruciale diretto in almeno due continenti (Europa e Asia). Secondariamente, il suo potenziale bellico attraverso almeno due diverse linee guida. Da un lato il mantenimento dell’arsenale nucleare rende Mosca un leader a livello mondiale, dall’altro lato da ormai più di 10 anni le Forze armate russe si stanno ristrutturando e ammodernando. Un terzo elemento è indubbiamente un approccio più legato al soft-power ed è qui che, tra gli altri, vanno inseriti i passi compiuti da Putin con il Comitato olimpico nell’ultimo decennio. Il 4 luglio 2007, infatti, il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, scelse ufficialmente la città russa di Sochi quale sede per le Olimpiadi invernali del 2014. L’evento, il primo organizzato dalla Russia, dal momento che le precedenti Olimpiadi del 1980 erano state organizzate dall’allora Unione Sovietica, si svolse regolarmente e risultò essere l’edizione più costosa della storia delle Olimpiadi moderne, con un bilancio che arrivò a superare i 50 miliardi di dollari (in precedenza la più cara edizione era stata Pechino nel 2008 con circa 40 miliardi di dollari). A intaccare l’immagine di successo dell’evento, e della Russia stessa, nel 2016 venne però pubblicato un rapporto commissionato dall’Agenzia mondiale antidoping, che confermò le accuse secondo cui la squadra olimpica russa era stata coinvolta in un programma di doping sponsorizzato dallo Stato, almeno sin dal 2011. Ciò provocò l’esclusione della maggior parte degli atleti russi dalle successive olimpiadi invernali del 2018, con ovvie ricadute sull’immagine dello sport russo. Qualche anno dopo la scelta di Sochi, nel dicembre 2010, la FIFA scelse, per la prima volta nella storia, la Russia come paese ospitante per i mondiali di calcio del 2018. Con questa doppia assegnazione Mosca quindi si sarebbe trovata nel giro di quattro anni al centro dei due eventi sportivi più seguiti al mondo, destinataria di sponsorizzazioni enormi, capofila di vari progetti per rinnovare le strutture logistiche del Paese e, ovviamente, quelle sportive.

Con i mondiali di calcio, lo scopo di Putin di porre la Russia al centro dell’attenzione internazionale e di riconfigurare la sua immagine, è stato sicuramente raggiunto. Il problema è che quando Mosca lanciò la sua candidatura, e ottenne di poter ospitare questi importanti eventi sportivi, la congiuntura internazionale era molto diversa da quella attuale. In particolare, oggi la Russia si trova sovraesposta per via del suo coinvolgimento nel conflitto siriano, che l’ha portata a essere un obiettivo prioritario dei gruppi jihadisti esterni e delle cellule già presenti sul territorio russo (su internet è stato diffuso un video di ISIS che mostra gli stadi dei mondiali in fiamme).

Le minacce hanno iniziato a concretizzarsi in occasione dell’abbattimento sul Sinai del Metrojet russo, precipitato il 31 ottobre 2015 a causa di una bomba artigianale posta a bordo del velivolo da un membro di ISIS. L’attentato, che causò la morte di 224 persone, avvenne poco dopo l’inizio dell’intervento in Siria da parte delle forze russe in appoggio al regime di Assad e, quindi, in contrapposizione ai gruppi estremisti sunniti, tra cui anche ISIS. Da allora la Russia fu fatta oggetto di un intensificarsi della propaganda jihadista e delle azioni offensive. Si ricordi, per esempio, l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia nel dicembre 2016.

Ciò ha costretto le forze di sicurezza a compiere svariate operazioni e a monitorare gruppi e individui nel tentativo di prevenire attacchi. Attività che non rappresentano certamente una novità per la Russia (in molte repubbliche ex sovietiche a maggioranza musulmana si registrano alti tassi di radicalizzazione e molti elementi del jihadismo globale hanno origini in quei paesi) ma che negli ulti anni si sono dovute intensificare. Uno dei primi attacchi jihadisti in Russia avvenne tra il 14 e il 20 giugno del 1995 nella cittadina di Budionnovsk: qui un gruppo ceceno provocò 150 morti e catturò diversi ostaggi. Il 26 ottobre 2002 a Mosca i guerriglieri occuparono il teatro Dubrovska, prendendo in ostaggio 800 persone per due giorni, mentre il 1° settembre 2004, nella scuola di Beslan, morirono più di 300 persone. Il 29 marzo 2010 nella metropolitana di Mosca due attentatrici suicide provocarono 39 morti; il 24 gennaio 2011, all’aeroporto Domodedovo di Mosca, un attentatore suicida ceceno provocò la morte di 37 persone.

Più recentemente (sebbene sui media occidentali queste notizie non vengano quasi mai riportate) alle 224 vittime dell’abbattimento del Metrojet russo si sommano le 14 vittime della bomba nella metropolitana di San Pietroburgo, il 3 aprile 2017, insieme a una serie di altri attacchi “minori”. Ne menzioniamo alcuni. Il 17 agosto 2016, due estremisti ceceni armati di asce e armi da fuoco hanno tentato di uccidere due agenti di polizia in una stazione di polizia a est di Mosca. Il 23 ottobre 2016, due uomini hanno aperto il fuoco contro un poliziotto nella città di Nizhny Novgorod, sede di uno degli stadi dei mondiali di calcio. Il 27 dicembre 2017, un ordigno esplosivo è esploso in un supermercato di San Pietroburgo, ferendo 10 persone. Il 19 febbraio 2018, lo Stato islamico ha rivendicato la responsabilità per un attacco fuori da una chiesa ortodossa nella città di Kizlyar.

Sono poi moltissimi i foreign fighters russi e delle repubbliche ex sovietiche, che combattono in Siria e in altri teatri di guerra. Il più noto fu il ceceno Abu Omar al-Shishani, operante con funzioni di alto comando per ISIS sia in Iraq sia in Siria. Ma in generale le repubbliche caucasiche contano un numero di cittadini che sono andati a combattere in Siria superiore a ogni altro Paese. Si stima infatti che siano circa 8.500 i foreign fighters provenienti da questi paesi. Inoltre dopo l’inglese e l’arabo, il russo è la lingua più parlata tra i membri di ISIS.

Che il Caucaso stia diventando un pericoloso centro del jihadismo globale lo dimostrano due elementi.

  1. 1. gli attacchi sono aumentati da 473 nel 2014 a 679 nel 2015, il che ha spinto le forze di sicurezza russe a rivedere la propria strategia operativa, ripensando la struttura dei comandi ed aumentando il numero di truppe dislocate per il controllo dei confini e la protezione delle infrastrutture sensibili.
  2. 2. il 28 giugno 2016 un commando di tre attentatori attaccò l’aeroporto di Istanbul: le indagini seguenti evidenziarono come i tre attentatori, tutti di origini caucasiche, avessero legami con Daesh e esperienza bellica maturata in Siria.

In questo quadro non sorprendono gli appelli di ISIS rivolti ai suoi membri per la realizzazione di attacchi durante i mondiali. Come dimostra la recente operazione nella cittadina siriana di Albul Kamal che ISIS è riuscito a riconquistare, il gruppo è sì considerato sconfitto in Iraq e Siria, ma mantiene capacità operative e in Russia potrebbe avere la possibilità di coordinare operazioni terroristiche sfruttando i suoi legami sul territorio. I recenti attacchi elencati in precedenza dimostrano la presenza sul territorio di varie cellule, ma anche che la maggior parte delle azioni sono state condotte da persone ispirate dalla propaganda jihadista e non da elementi addestrati e con esperienza bellica maturata nel teatro siriano o altrove. Ciò potrebbe significare che le forze di sicurezza russe hanno efficacemente chiuso i confini evitando il ritorno in patria di foreign fighters, che sono stati invece gli autori dei più efferati attacchi in Europa come quello di Parigi nel 2015. Se ciò fosse vero, nel contesto della sicurezza dei mondiali 2018 si potrebbero escludere azioni complesse e ampie condotte da uomini armati, esperti e coordinati, come fu l’azione nella città indiana di Mumbai nel 2008.

Purtroppo, però, non è possibile escludere del tutto la possibilità di azioni di questo genere. Soprattutto nel caso di iniziative “indipendenti”, condotte in modo impulsivo e improvvisato da persone intrise di ideologia il rischio zero non è mai raggiungibile.

La polizia russa ha ovviamente intensificato la propria presenza, ha sviluppato piani d’azione e può contare sull’esperienza maturata durante le Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014. Nello stesso tempo, rispetto a quell’evento oggi dobbiamo considerare almeno due grandi differenze. Primo, l’intervento in Siria, iniziato nel 2015, ha posto Mosca in cima alla lista degli obiettivi dei gruppi terroristici jihadisti. Secondo, i mondiali non sono le Olimpiadi. I due eventi, pur essendo tra gli eventi sportivi più seguiti al mondo, sono molto diversi a livello organizzativo e logistico. Innanzitutto i mondiali di calcio durano un mese (dal 14 giugno al 15 luglio), mentre le Olimpiadi si conclusero dopo 16 giorni (dal 7 al 23 febbraio 2014). Si prevedono in totale di 64 partite, giocate in 11 città diverse: Mosca (che avrà due stadi ospitanti), San Pietroburgo, Kaliningrad, Nizhny Novgorod, Kazan, Samara, Saransk, Volgograd, Rostov-on-Don, Sochi ed Ekaterinburg. Le ultime quattro città, inoltre, sono vicine ad aree particolarmente problematiche per quanto riguarda il terrorismo jihadista. Una manifestazione così ampia, territorialmente e temporalmente, presenta ovviamente un’infinità di possibili obiettivi, anche relativi agli snodi logistici del traffico stradale, ferroviario e aeroportuale che metterà in comunicazione le vari sedi e che porterà in giro per la Russia il milione e più di turisti attesi. Difenderli tutti non sarà certamente un compito facile per la polizia russa.