Il Covid-19 ha generato uno scenario di squilibrio politico (come la riaccensione delle rivalità tra gli Stati), economico (come rallentamento del sistema produttivo, con la conseguente crescita della disoccupazione e dell'aumento della povertà), e sociale (come riemersione del conflitto tra ricchi e poveri, guariti e malati, sommersi e salvati dal lockdown).
Ci sono tre modi per affrontare questa instabilità:
1 - Metodo populista, rimandiamo all'analisi fatta a suo tempo (1). Ne emergevano i punti deboli in quanto – in assenza di un vero “Masaniello”, i disagi collettivi non possono essere guidati da nessuno verso il nulla. In pratica, la rabbia della piazza è un fiume in piena, la cui forza può essere utile soltanto se qualcuno è in grado di gestirla. Per mancanza di quello che chiamavamo un “banchiere dell’ira” - una forza capace di immagazinare il risentimento, lo scontento popolare resta in balìa di se stesso e si diluisce o in episodi isolati di frustrazione (violenza domestica, intolleranza anche fisica nel confronti del vicino la cui erba è più verde), oppure in un malcontento diffuso che fa da rumore di sottofondo alla vita democratica di un Paese. A questo si aggiungeva il fatto che il populismo, per come si era manifestato prima della pandemia, era stato in grado di alimentare paure soltanto percepite, ma non compromettenti per davvero degli equilibri sociali. Flussi migratori sovradimensionati, oppure pari opportunità da specifiche minoranze non sono micce detonanti per una rivoluzione.
2 - Metodo razionale (più polemicamente definibile “elitista”): coincidente con le misure di intervento in corso da parte di Commissione Ue e Bce e, a seguire, dai singoli Stati nazionali. Si mette mano al debito, creando una liquidità finanziaria che permetta di diluire il disastro economico, si attende che l’emergenza passi e così osservare se il sistema tenga. Poi si vedrà. Con numeri alla mano e ottimismo nel cuore.
3 - Metodo sovranista: accennato da alcuni leader (Bolsonaro, Orban, Trump) prevede una tattica di ingaggio impostata sulla propaganda e su misure economiche di breve periodo. Si parte con il ridicolizzare il virus, poi se ne attribuisce la colpa a qualcun altro, per creare così un mondo manicheo dove i propri concittadini sono vittime di un male straniero. Ancora, si interviene sulla spesa corrente, con iniziative quali gli stimulus check in Usa, o la patrimoniale come proposta in Italia. Sono mosse simili a quelle già in essere (reddito di cittadinanza e Quota 100), di forte impatto popolare e, di nuovo, che dividono il mondo tra buoni-belli e brutti-cattivi. A questo si aggiunge una campagna denigratoria di tutti i soggetti e partner esterni (stranieri), identificati (ancora una volta la paura percepita) come quelli che aspettano la morte di una nazione per depredarne i gioielli. Ai travisamenti si aggiunge pure la contraddittoria pretesa per cui allo straniero si chiede di un intervento immediato. Senza interessi né clausole di alcun tipo.
Dove il metodo 1 non può progredire, può farlo il metodo 3. In un contesto sociale di forte emotività, una risposta lucida e razionale - il metodo 2, può essere accolta negativamente. Di conseguenza, se il populismo non è riuscito a passare per effetto del corona vitus, può farlo il sovranismo. A condizione che:
-- Il sovranismo accetti il procedere populista. Vale a dire anteponga a qualsiasi interesse particolare, la volontà del popolo. Ragion di Stato, equilibri istituzionali, specificità finanziarie, strategiche ed economiche, devono cedere il passo alla voce del popolo, che si esprime sempre meno per delega dei propri rappresentanti eletti, ma con maggior efficacia per via diretta. Sul web come commento a ciclo continuo, oppure per mezzo di eventuali consultazioni popolari nel caso richiesto.
-- Il sovranismo non è uno stadio evolutivo del nazionalismo. Quest’ultimo infatti, stando ai sovranisti, ha portato alla nascita di autorità sovranazionali che hanno soffocato l’indipendenza di ogni singolo Paese e la sovranità di ogni singolo popolo. Il sovranismo quindi non è figlio dell’autodeterminazione dei popoli, ma è il frutto di una rabbia emotiva, in parte di carattere primordiale (risentimento), in parte detonata da un caso fortuito (Covid-19).
Per rispondere alla piazza il sovranismo può:
-- Approfittare del trend e trasformarsi in rivoluzionario. E quindi realizzare una strategia di ampio respiro che comprometta l’attuale stato di cose. Opzione plausibile solo sulla carta in quanto i sovranisti al governo non hanno alcun interesse a muoversi contro il sistema, quelli all’opposizione stanno dimostrando non essere sufficientemente preparati per speculare sull’attualità. In un contesto di quasi-crisi, un rivoluzionario infatti lavora affinché la crisi si materializzi per davvero. I casi attuali, vedi l’Italia, dimostrano che i sovranisti non sono davvero rivoluzionari. O perché temono di non essere all’altezza con la rivoluzione da fare, oppure perché finora hanno proclamato uno scardinamento del sistema senza davvero credervi;
Proprio perché prima del Covid-19 le paure su cui soffiavano i sovranisti erano percepite ma non reali, non è detto che la stessa metodologia torni efficace su una narrazione differente. Una cosa è spaventare la società sul pericolo (solo plausibile) dell’immigrazione, ben diverso è muoversi in seno a una società che è davvero spaventata per un pericolo (reale) di contagio e ristrettezze economiche alle porte.
Al sovranismo non resta che elaborare un’agenda economica di breve periodo, sulla falsa riga di quanto fatto in precedenza. Per esempio Quota 100. Questo vuol dire togliere qualsiasi argine alla spesa pubblica e abbandonare qualunque vincolo finanziario e geopolitico. È un atteggiamento che, se propagandato bene, può passare per destabilizzante – quindi rivoluzionario, ma di facciata – e può portare a una capitalizzazione a un prossimo appuntamento elettorale. Cosa per nulla rivoluzionaria.
Per contenere queste mosse, il Metodo 2 può funzionare, sebbene non sia immune da iniziative populiste, o sovraniste. Il caso olandese è esemplare. Fino a prova contraria, la “frugalità” del premier Rutte, in opposizione alla “solidarietà” richiesta dai Paesi mediterranei, è dettati sì dalla scarsa fiducia nella gestione della spesa pubblica effettuata dai suoi partner del Sud Europa, ma anche dalla necessità di contenere le forze sovraniste (di estrema destra) che rischiano di avere il sopravvento nel paese.
A questo si aggiunge quella che si potrebbe chiamare una “mossa alla Bismarck”: avanzi una politica sociale prima che lo faccia qualcun altro. In ogni caso si mette mano alla spesa pubblica – con più metodo certamente – innescando un processo di liquidità finanziaria che torni vantaggioso per qualsiasi unità produttiva (dalle grandi aziende alle partite Iva) e si interviene per congelare la potenziale massa di disoccupati che potrebbero andare ad alimentare le fila del sovranismo.
C’è il rischio, in questo caso, di non poter tornare indietro. O di poterlo fare al massimo in un futuro lontano. Assistere gli emarginati infatti è un gesto nobile. Al netto di quanto rischioso sia abituare gli “emarginati” allo Stato assistenziale H24, va ricordato che l’onda lunga di New Deal e Piano Marshall – che comunque erano interventi strategici di immenso respiro, fatti di investimenti in economia reale – è arrivata fino agli anni Ottanta. Quattro decenni di stabilità di un paradigma economico su cui si è costruito il capitalismo del secondo Novecento. Oggi il bazooka ha la stessa gittata?
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