Prendiamo due indicatori: l’efficienza della pubblica amministrazione e la spesa pubblica in rapporto al PIL. Con questi si costruisce la frontiera di efficienza della Pubblica Amministrazione dove la ovvia condizione migliore prevede una elevata qualità di servizi pubblici accompagnata da valori contenuti di spesa. Prendiamo altri due indicatori: il livello di evasione ed elusione fiscale e il peso della tassazione gravante sulle imprese. La ovvia condizione ottimale coincide con il minor livello di tassazione possibile a fronte di contenuti se non nulli fenomeni di evasione.

Il risultato dell’incrocio di questi dati riguardanti i paesi OCSE mostra tante diverse situazioni ma è improbabile che la posizione dell’Italia sia diversa da quella facilmente immaginabile. Prendiamo la frontiera di efficienza della Pubblica Amministrazione (la frontiera indica i punti di migliore allocazione delle risorse). Avendo un livello di spesa analogo alla Francia, non è improbabile attendersi un livello di efficienza poco distante o, perlomeno, in linea con la media dei paesi europei. L’alternativa (ovvero con livelli di efficienza invariati) è rappresentata da un volume di spesa inferiore di quasi 10 punti di PIL (150 miliardi di euro), corrispondente alla posizione sulla frontiera di efficienza del Portogallo (a, figura 7, pagina 14).

Ma questo dato è un po’ vecchiotto (2000) e le cose potrebbero essere cambiate. Una valutazione più recente (b, figura 5, pagina 36) misura in circa 650 euro pro-capite il costo della pubblica amministrazione italiana a fronte di un indice di efficienza tra il 5 e il 6 (corrisponde ai voti di scuola). La Polonia ha lo stesso voto con un costo di unitario di 250 euro. La Francia, patria dell'eccellente burocrazia, è sopra il 7,5 e costa solo 100 euro più dell’Italia. Alla fine, il voto della Comunità Europea è poco meno di 7,5 con un costo unitario medio di circa 300 euro. Sicuramente negli ultimi cinque anni le politiche di incremento della produttività e riduzione dei costi avranno prodotto dei miglioramenti ma lo spazio di manovra sembra essere ancora molto ampio.

Sulla seconda coppia di indicatori la fotografia racconta uno dei livelli più alti di evasione fiscale (solo Turchia e Messico hanno valori superiori) accompagnato dalla tassazione di impresa più elevata, circa il 70% dei profitti (c, figura 4). Si potrebbe porre il problema della ricerca della relazione causa-effetto invertendo le parti a seconda della visuale, ma le indicazioni dei primi due indicatori resterebbero inalterate.

A complemento della possibilità di trarre qualche indicazione da queste serie di numeri si può considerare la situazione ante crescita del debito pubblico. Nel 1974 il debito pubblico italiano era dieci punti sotto il limite del 60% imposto da Maastricht. Le entrate fiscali rappresentavano circa il 25% del PIL, ben al di sotto della media EU15 (circa 32%) (d, tavola 15, pagina 72). Vent’anni dopo il peso delle entrate fiscali era salito quasi al 43% mentre la media EU15 era arrivata al 40% (il valore senza Italia della media EU15 sarebbe stato più alto nel 1976 e più basso nel 2006 proprio per effetto della galoppante dinamica italiana). Sempre a metà degli anni ‘70 l’aliquota marginale della popolazione più ricca era intorno al 60% contro il 45% di venti anni dopo (e, figura 6, pagina 15).