Si dibatte nel Bel Paese dell'Unione Europea nel tempo del corona virus. Secondo alcuni, i “sovranisti”, una matrigna incapace di cogliere la drammaticità del momento. Secondo altri, gli “europeisti”, una costruzione che è stata capace attraverso le decisioni della Banca Centrale e attraverso i provvedimenti fiscali in corso di attuazione di affrontare la drammaticità del momento.

 

A Genova agli inizi di marzo al Palazzo Ducale si sarebbe dovuto tenere l'incontro annuale di Limes sui temi geo-politici. Ero stato invitato come relatore sul tema: “l’integrazione europea si è nel tempo dotata di una mitologia fondante per legittimare un processo improbabile e dagli esiti sovente contraddittori”. Di seguito la traccia mai pubblicata del mio intervento. L'intevento non c'è mai stato a causa del corona virus che ha fatto saltare il simposio. La tesi che cercherò di esporre è questa: il grigiore politico dell'Unione Europea è voluto, perchè l'Europa nasce dopo che i sistemi carismatici avevano prodotto il disastro. E non poteva che nascere come un'unione economica che nel tempo avrebbe preparato le condizioni necessarie anche se non sufficienti per l'unità politica. L'unione economica ha dei limiti legati alla mobilità del lavoro e alla mancanza di un bilancio comune che dia luogo ad una politica fiscale. All'origine di questa mancanza si ha la diversa visione della Francia e della Germania sulla politica economica, con l'Italia che oscilla fra le due visioni.

Affrontiamo per prima la scelta fatta in Europa dopo la Seconda Guerra, quando fu presa la decisione di avere un sistema politico affetto da “grigiore”. La Seconda Guerra termina in un bagno di sangue e drammatici trasferimenti di popolazione da un Paese all'altro. Alcuni – essenzialmente tre politici cattolici, Adenauer, Shumann, e De Gasperi, tutti e tre avanti negli anni e di lingua tedesca - arrivano alla conclusione che all'origine della tragedia ci fosse il sistema politico a fondamento carismatico.

Dopo la Seconda Guerra l'idea prevalsa era quella di un sistema sopra-nazionale, di un governo della Legge, e dunque del governo della Burocrazia, che, per definizione, emana “grigiore”. Insomma, l'idea della “de-nazionalizzazione” delle masse con i sistemi politici avvolti in ragnatele giuridiche – come l'Alta Corte che è il decisore di legittimità di ultima istanza - era il cuore della nuova Europa. Con questa scelta non si tornava però al sistema liberale ante Prima Guerra, quello dello Stato Minimo (Amministrazione, Difesa, Giustizia), ma al sistema di Stato Sociale (Stato Minimo + Sanità, Istruzione, Pensioni). Questo è avvenuto per ragioni culturali come la combinazione del solidarismo cattolico con il peso della socialdemocrazia, e per ragioni politiche, perché delle forme di “stato sociale” erano già emerse con i Totalitarismi e non potevano essere rigettate.

Digressione 1 - L'impatto della Modernità – intesa come dinamismo dei valori culturali e dell'economia – aveva, infatti, generato già nel XIX° ma soprattutto nel XX° secolo una forte reazione contraria, che è identificata come “corporativismo”. Questa reazione comincia a manifestarsi anche nel XXI° secolo. Che cosa volevano i “corporativisti” nei due secoli precedenti il nostro, ma soprattutto fra le Due Guerre? Uno stato che sappia guidare gli investimenti, la pace nelle relazioni industriali, e un grado elevato di responsabilità sociale. Dei tre obiettivi, i corporativisti di oggi vogliono il primo e il terzo, essendo venuto meno il secondo: il conflitto sociale di fabbrica. In passato il corporativismo era la “terza via” fra il Capitalismo e il Socialismo, perciò non era - per riprendere un'espressione tornata in voga - “né di destra né di sinistra”. Per quelli di sinistra era l'uscita dal capitalismo, da intendere come l'uscita dall'insicurezza, per quelli di destra era l'uscita dal socialismo, da intendere come la presenza dell'iniziativa individuale.

L'Europa nasce come unione economica che man mano (nei decenni) si muove vrerso l'Unione poltica. Un'area economica è “ottimale” se, avendo la stessa moneta: 1) ha un mercato dei prodotti comune; 2) ha un mercato dei capitali comune; 3) ha un mercato del lavoro comune; 4) ha un bilancio fiscale comune. L'euro area soddisfa i requisiti 1) e 2). Non soddisfa, in tutto o in parte, i requisiti 3) e 4).

Prendiamo gli Stati Uniti relativamente al punto 3). Se non c'è lavoro nell'area occidentale, la gente va in quella orientale. Relativamente al punto 4), se l'area occidentale è mal messa, ecco che il bilancio federale, che incassa imposte da entrambe le aree, ma, nell'esempio, ne incassa di più dalla parte orientale, trasferisce i fondi verso l'area occidentale. Attenzione, i bilanci statali statunitensi non possono andare in deficit nel campo delle spese correnti, se non per spese definite come quelle per infrastrutture, e quindi possono emettere solo dei “project bonds”, perché solo quello federale ha questa facoltà. Gli stati non possono così andare in deficit, perché altrimenti sarebbero tentati dal farlo, contando che, alla fine, il loro debito statale sarà salvato da quello federale.

La prima differenza dell'euro area con gli Stati Uniti è che, se il Portogallo va male e l'Olanda va bene, è difficile che i lusitani si trasferiscano in massa – per problemi di lingua e di abitudini - nei Paesi Bassi. La seconda differenza è che i bilanci statali dei Paesi dell'euro-area possono andare in deficit, sebbene entro i vincoli (più o meno disattesi) di Maastricht (il famigerato deficit del 3% del PIL, e l'altrettanto famigerato tetto del debito del 60% sul PIL). Non esiste, infatti, nell'euro-area un governo centrale che copra – raccogliendo le imposte da tutti e in caso di crisi di più da alcuni - i deficit degli stati membri.

La Germania (con i Paesi detti “virtuosi”) non garantisce il debito degli altri Paesi. E dunque, quando i Paesi si indebitano troppo, senza dar mostra di poter ripagare il debito cumulato, ecco che l'euro-area conta che i mercati finanziari li “puniscano”, ossia che chiedano un “premio per il rischio”. L'euro-area funziona se i mercati finanziari puniscono le “cicale”, premiando chi è “formica”, ma questo non è avvenuto sempre. Per anni la Grecia ha, infatti, pagato sul proprio debito pubblico un rendimento di poco superiore a quello tedesco.

Perciò nella costruzione dell'euro-area si ha un mercato comune dei prodotti, dei capitali, ma si ha un modesto mercato del lavoro omogeneo, e non si ha – fun giorno, quando tutti gli Stati dell'euro area avranno il bilancio in pareggio con esenzioni definite per l'emissione di obbligazioni come avviene negli Stati Uniti - un sistema di trasferimenti federale di tipo “automatico”. Possiamo perciò immaginare l'euro-area come un'area economica parzialmente ottimale.

Non solo l'euro area non è un'area economica ottimale, ma mostra una divergenza di vedute dei due maggiori paesi. Proviamo ad elencare in sei punti che esprimono il punto di vista divergente della Francia e della Germania. Come si vedrà, si possono riconoscere molte delle tesi che sono sostenute anche in Italia. In Italia convivono punti di vista francesi e tedeschi.

Francia: le regole sono soggette al processo politico e possono essere rinegoziate. Germania: le regole “sono regole”, se si sa che sono negoziabili nessuno le rispetterà fin dall’inizio.

Francia: dal punto precedente emerge che le crisi vanno gestite con flessibilità. Germania: se si immagina che la flessibilità possa palesarsi, ecco che le regole non saranno rispettate.

Francia: limitare la libertà di movimento dei governi, per esempio indebitarsi, è antidemocratico. Germania: forse è antidemocratico non indebitarsi rispetto alle generazioni in vita, ma è certamente antidemocratico indebitarsi quando il costo sarà scaricato sulle generazioni future che oggi non votano e quindi non sono rappresentate.

Francia: la politica monetaria non può avere come obiettivo la stabilità dei prezzi, perché deve tener conto della crescita. Germania: non è compito della politica monetaria stimolare la crescita, il compito è quello di garantire un quadro di certezze, come l’assenza di inflazione.

Francia: se un paese è in deficit con l’estero e l’altro è in surplus, il secondo deve espandere la domanda per importare le merci del primo per ottenere un pareggio. Germania: il deficit dipende da una carenza di competitività. Il sistema diventa più efficiente se non si aiutano i meno competitivi a sopravvivere.

Francia: equilibri multipli sono possibili, ma non tutti sono accettabili. Un rendimento ingiustificatamente elevato di un’obbligazione del Tesoro, se lasciato sedimentare “perché il mercato lo vuole”, può inibire la crescita di un paese, che si trova, alla fine, costretto a pagare molto il proprio debito a danno, per esempio, degli investimenti pubblici. Germania: a guardare troppo il presente – nel caso, un elevato e ingiustificato rendimento richiesto per sottoscrivere il debito pubblico – si perde di vista il futuro. Il futuro deve emergere come “coscienza” dei mercati, come una responsabilità, non come il frutto degli interventi delle autorità.

La contrapposizione nel campo della politica economica fra i due paesi ha origine nel secondo dopoguerra, come elaborazione della tragedia che si era appena conclusa. La sua lontana origine ne ha nascosto la portata durante i primi tre decenni di euforia dopo la guerra, i cosiddetti “trenta gloriosi”. Anche a seguito degli accordi di Maastricht sui vincoli di deficit e di debito, la contrapposizione non si è palesata, perché non stava accadendo nulla di grave; è emersa con la crisi finanziaria.

Digressione 2 - Prima della seconda guerra mondiale e per tutto il secolo precedente, la Francia era stata un paese “mercatista”, nonostante la tradizione cenhtraista. Sempre prima di quel conflitto e per tutto il secolo precedente, la Germania era stato un paese “dirigista”, con la forzatura ultra-dirigista del periodo nazista. Oggi è il contrario. Perché? La sconfitta nella guerra ha spinto i francesi nella direzione dell’intervento pubblico, quindi verso il dirigismo. Quest’ultimo era visto come il demiurgo di uno Stato forte, a sua volta concepito come uno strumento per non perdere più le guerre con la Germania, dopo le tre sconfitte in meno di un secolo: 1870, 1914, 1940. Al contrario, l’eliminazione del nazismo ha spinto i tedeschi a limitare l’intervento pubblico. L’esperienza li ha spinti verso il “mercatismo” per impedire la formazione di uno Stato forte, che era diventato totalitario. Nel caso tedesco, il mercatismo assume la forma dell'Ordoliberalismus – dove è lo Stato che decide le regole della competizione e interviene solo a favore dei bisognosi.

Dal 2011 al 2018 in Italia si è seguito il modello tedesco: “sono le riforme che portano la crescita”. Dal 2018 si seguirà il modello francese: “si spinge subito la crescita e poi si fanno le riforme”. La scelta fra i due modelli non è solo economica, anche perché non esiste una dimostrazione univoca di quale sia il migliore. Il modello tedesco è debole nell’immediato: se non si ha ripresa, nonostante le riforme, è percepito come non funzionante e si perdono le elezioni. Quello francese è debole nel tempo più lungo: se si ha ripresa, le riforme non si fanno, perché queste ultime hanno un costo politico elevato. Non si perdono le elezioni, ma le generazioni future avranno di meno.

IL ragionamento è ispirato nell'ordine da:

Jan Werner Muller, Contesting Democracy, Yale, 2011,

E. Phelps, Mass Fluorishing, Princeton, 2003 

M. Brunnermeire, H. James, J: Landau, The Euro and the Battle of Ideas, Princeton, 2016.