Questa è la traccia dell'intervento all'Annual Forum sul Private Banking e Wealth Management che si terrà a Lugano il 18/10/12. L'oggetto è la crisi dell'euro e l'impatto sul franco svizzero.
Il salvataggio della Spagna e della Grecia ha senso? Ossia, li si salva, e questi tornano a crescere, oppure li si salva e questi non tornano a crescere? Nel primo caso si ha un trasferimento di reddito temporaneo dai paesi messi meglio a quelli messi peggio, mentre nel secondo il trasferimento è permanente, perché questi paesi non sono in grado di rendere gli aiuti.
L'uscita della Grecia dall'euro area costerebbe 323 miliardi di euro, di cui 118 per la Germania. Col rischio di un allargamento della crisi alla Spagna, all'Irlanda, al Portogallo, e a Cipro. In questo caso il costo sarebbe di 1.155 miliardi di euro, di cui 496 a carico della Germania. Non aver fatto tutto il possibile per evitare una crisi di questa entità – la perdita sarebbe pari a quasi il 10 per cento del PIL europeo – sarebbe un costo politico molto alto da giustificare agli occhi degli elettorati europei.
A fronte di trasferimenti permanenti verso i paesi che potrebbero non decollare mai per rendere il debito, si ha una notevole perdita secca subito. La Merkel – e non solo - deve scegliere. E' facile che scelga dei trasferimenti permanenti spalmati nel futuro (e quindi poco visibili), piuttosto che una crisi violenta (e magari incontrollabile) nell'immediato.
Per questa ragione è probabile che la catena d'intervento fondo “salva stati” –> “banca centrale” verrà approntata. Si estende una lista di impegni di politica economica da rispettare. In seguito alla richiesta, i fondi “salva stati” interverranno acquistando titoli pubblici alle aste. Poi la Banca Centrale Europea (BCE) deciderà se acquistare titoli di breve durata sul mercato secondario. In questo modo i Parlamenti restano sovrani nel decidere se chiedere aiuti, i fondi “salva stati” sono sovrani nel decidere se procedere, e la BCE non finanzia la politica fiscale, come dai Trattati.
Alla fine, la soluzione più probabile è quella di rimandare nel tempo l'aggiustamento finale, contando nella ripresa del Sud. E, in ogni modo, si deve evitare che la crisi possa lambire l'Italia e la Francia, perché sarebbe la fine dell'euro come moneta e dell'Europa come un'entità politica. Perciò ai paesi del Nord conviene spalmare nel tempo i trasferimenti, tornando a sperare nel decollo economico dei paesi del Sud. A questi ultimi non conviene riavere delle monete deboli e dei bilanci pubblici costosi (per effetto del “premio per il rischio” sui rendimenti) e perciò dovrebbero accettare le politiche di austerità per ricevere gli aiuti.
Supponiamo intanto che vi sia chi - temendo un ritorno delle monete nazionali, oppure non fidandosi dell'euro - sposti i propri denari (denominati in euro) in Svizzera. Si vendono copiosamente euro e si comprano franchi. Il cambio del franco schizza al punto che, dai 1,6 franchi per euro, ora bastano 1,2 franchi per avere un euro. Per la Confederazione è un disastro. Ecco allora che la Banca Centrale Svizzera (BCS) compra gli euro per fermare il cambio a 1,2. Vende franchi e compra euro. Compra anche obbligazioni. E compra (seguendo la direzione dei mercati, non andando in controtendenza, perciò sposando la “saggezza della folla”) le obbligazioni dei paesi “virtuosi”.
Il prezzo delle obbligazioni dei paesi “virtuosi” sale, il rendimento scende. Si ha chi, vedendo lo spread che sale, si spaventa di nuovo e porta altro denaro in Svizzera. E il giro rincomincia. La BCS compra continuamente le obbligazioni tedesche, francesi, olandesi, austriache e finlandesi, ma poi il socialista Hollande vince le elezioni. La BCS smette allora di comprare le obbligazioni francesi, ma nota subito che, concentrando gli acquisti solo su quelle germaniche e dei paesi minori, si alza lo spread della Francia. Lo spread maggiore potrebbe alimentare il timore che anche la Francia possa diventare un paese “vizioso”, il che spingerebbe all'acquisto forse ancora più copioso di franchi svizzeri. La BCS torna perciò a comprare le obbligazioni galliche, e Hollande può varare delle manovre di correzione dei conti pubblici meno robuste, perché il costo del suo debito pubblico è contenuto. La Francia, con una politica fiscale diversa da quella degli altri paesi, non è entrata nel mirino dei mercati anche grazie alla BCS.
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