Scriveva Artur C. Clarke, l'autore fantascientifico che ispirò il film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che “all'inizio della sua storia ogni innovazione tecnologica si presenta sotto la forma di una magia”. All’inizio, perché poi diventa un’efficiente forma di produzione.

Una conferma la troviamo nell'ultima soluzione che ci propone Spotify, il diffusissimo servizio di streaming musicali svedese che conta ormai circa 100 milioni di utenti, di cui quasi la metà a pagamento, che permette di profilare i nostri gusti futuri. Il nuovo software - Release Radar (http://www.zazoom.it/ultime/notizie/1452612/ ) - è in grado non solo di campionare il nostro gradimento per canzoni e composizioni che sono già in distribuzione, permettendo cosi al service provider svedese di proporci le sue compilation personalizzate, ma soprattutto di anticipare l'evoluzione del nostro gusto, di cogliere l'itinerario della nostra futura maturazione. In sostanza Release Radar arriva ad indovinare che cosa ci piacerà nei prossimi mesi e perché. Si prefigura in questo modo il futuro consumo di composizioni che non sono state ancora realizzate.

Siamo ben oltre il social marketing e il customer satisfaction. Con questa soluzione digitale non si organizza più la produzione, almeno nel campo musicale, in base alle richieste, ma si è in grado di pilotare la fase di creatività per produrre solo quello che potrà incontrare la scelta del consumatore. Ovviamente, in base alla disponibilità di questi dati straordinari, Spotify è in grado anche di interferire sulla formazione delle nostre categorie musicali orientando proprio l'itinerario della nostra sensibilità. Così, più che misurare il gradimento del cliente, si arriva ormai a concorrere a formare, per ogni singolo utente, il bisogno di qualcosa di nuovo, l'individuale domanda di quello che non c'è.

Questa è la magia che sta diventando prassi comune. La Musica è il battistrada delle tecnologie digitali, il laboratorio privilegiato degli strappi tecnologici. Dai primi software di download, fino al mitico mp3, per arrivare oggi ai flussi di streaming in diretta, il mercato musicale è stato per l'economia on line quello che la Formula 1 è per l'industria automobilistica. Del resto già Gottfried Wilhelm von Leibniz, il corrusco teorico delle monadi, che aprì la strada alla filosofia della scienza, ben 5 secoli fa sosteneva che la musica era “una pratica occulta dell'aritmetica, nella quale l'anima non sa di calcolare”.

Ed è proprio l'anima del cliente il vero obbiettivo della nuova economia digitale. A fine agosto Tim Cook, il successore di Steve Jobs alla testa di Apple, ha rilasciato una lunga intervista al Washington Post, che ha permesso al capo della Apple di spiegare come sarà proprio l'intelligenza artificiale e la capacità di leggere e guidare le intenzioni del consumatore la nuova frontiera del digitale (http://www.washingtonpost.com/sf/business/wp/2016/08/13/2016/08/13/tim-cook-the-interview-running-apple-is-sort-of-a-lonely-job/ ). Qualcosa di più esplicito, ha scritto nella scorsa primavera Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, alla Commissione commercio del Senato Americano che lo sollecitava sul cosiddetto Algoritmo anti conservatori, accusandolo di discriminare i contenuti e le posizioni del fronte meno liberal: “non escludo qualche eccesso da parte dei nostri tecnici impegnati nello sforzo comune per colmare il gap fra quello che oggi un algoritmo può fare e quello che dovrà fare” (http://www.zazoom.it/ultime/notizie/1452612/ ) - ha dichiarato.

Quel gap è oggi il motore dell'economia globale, oltre che il buco nero su cui si sta consumando l'ultimo scampolo delle autonomie culturali e commerciali dei sistemi nazionali. Infatti, vediamo che interi sistemi nazionali sono ormai diventati non solo mercato di consumo di intelligenze altrui, ma anche area di subalternità produttiva ed economica a linguaggi e comportamenti che rispondono ad altre logiche e culture. L’Europa è un triste esempio di questo declino.

Basta dare un occhio ai listini di Borsa per capire chi siano i titolo di testa e cosa stia oggi guidando la formazione del valore a livello internazionale e vedere chi sono i titoli di testa: Google, Facebook, Amazon. Imprese che accumulano capitalizzazioni senza precedenti calcolando l'anima dei loro utenti, direbbe Leibniz.

Più concretamente si tratta del nuovo mercato dell'immateriale, che, come spiega Manuel Castells, uno degli analisti della società in rete: “per industrialismo intendo un modello di sviluppo in cui le fonti principali della produttività sono l'incremento quantitativo dei fattori di produzione (lavoro, capitale, risorse naturali) uniti all'uso di nuove fonti di energia. Con il termine informazionalismo, invece, mi riferisco ad un modello di sviluppo in cui la fonte principale della produttività è la capacità qualitativa di ottimizzare la combinazione e l'impiego dei fattori di produzione sulla base dell'informazione e della conoscenza. L'avvento dell'informazionalismo è inseparabile da una nuova struttura sociale:la società in rete” ( L'età dell'informazione, M.Castells, Bocconi Editori).

Ma qual è il motore dell'informazionalismo, cioè la caratteristica di questa nuova forma di produzione mediante informazione? Qual'è la materia prima che permette a Spotify di realizzare la sua magia? Che cosa consente a Tim Cook e Mark Zuckerberg di dominare i mercati commerciali e finanziari del pianeta? E' l'algoritmo. Per algoritmo intendiamo quella formula matematica, sempre più sofisticata che, mediante la capacità di processare grandi masse di dati e di instaurare relazioni dinamiche fra le diverse fonti, consente di risolvere un problema ordinando le procedure di soluzione attraverso un linguaggio alfanumerico.

Oggi siamo entrati nell'età degli algoritmi di nuova generazione, quella che si chiama più sinteticamente, appunto, Intelligenza Artificiale. Tutti i grandi centri tecnologici- da Microsoft ad Amazon agli stessi Google e Facebook, ma anche i marchi più tradizionali - come IBM - sono alle prese con la transizione all'intelligenza artificiale. I ricambi dei relativi gruppi dirigenti, le alleanze strategiche i grandi take over, si realizzano ormai tutti all'insegna di integrare la massima capacità di sviluppo di Intelligenza Artificiale. Se proviamo a fare un inventario delle attività economiche basiche - dall'hight frequencyy trading, all'organizzazione industriale, alle forme di terziarizzazione e di relazioni sociali - constatiamo che oggi tutto si realizza mediante un algoritmo. Ogni nostro pensiero, contatto, decisione, viene filtrata, formattata, o espressa, attraverso linguaggi algoritmici.

Cosa cambia rispetto a forme egualmente pervasive come appunto la scrittura o la stampa o l'energia elettrica? Non si tratta pur sempre di strumenti? Questo è il vero nodo su cui varrebbe la pena discutere. A fronte della profusione di grandi capacità ed energie rispetto ai fenomeni dello sviluppo industriale o alle politiche occupazionali, o ancora, per rimanere nel perimetro delle applicazioni tecnologiche, a temi come il digital divide o delle strategie della connettività, appare del tutto ignorato il buco nero degli effetti e delle dinamiche che guidano la trasversalità delle forme digitali nell'economia e, più generale, nella nostra vita. L'adozione di soluzioni basate su algoritmi complessi, come quelli che agiscono anche nelle più comuni piattaforme social, o quelli che orientano i maggiori servizi (smart city, mobility, learning, e safety) sono in grado di indurre linguaggi e comportamenti sociali che mutano la natura stessa delle nostre attività. L'algoritmo, infatti, non è neutro, è un sistema semantico che comporta l'adozione di forme linguistiche e dunque cognitive che non sono compatibili con ogni scenario o ambiente socio economico.

Ma soprattutto l’algoritmo è quel linguaggio matematico che concentra il massimo delle informazioni nelle mani di chi lo governa. Non si tratta di demonizzare una potenza del mercato, ma semplicemente di riconoscere come l’economia digitale amplifichi, nel bene e nel male, tutte le variabili del sistema a cominciare da uno dei principi di base che guidano gli scambi commerciali: la cosiddetta “asimmetria informativa”. Questa fu descritta nel 1970, nell'articolo "Ohe Market for Lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism" scritto dall'economista statunitense George Akerlof.

Nel suo contributo, l'autore esemplifica le condizioni di asimmetria informativa nel mercato, in particolare quando il venditore gode di una maggiore quantità d'informazioni sul bene proposto all'acquirente. Akerlof, Michael Spence e Joseph Stiglitz hanno ricevuto, congiuntamente, il Premio Nobel per l'economia nel 2001 proprio per la loro ricerca sull'asimmetria delle informazioni.

La metafora del venditore di auto che prevale sull’acquirente, perché è l’unico che conosce bene le caratteristiche di ogni vettura che vende, come la descrive Akerlof, la ritroviamo nei linguaggi prescrittivi degli algoritmi che guidano ed orientano i nostri comportamenti, rivelando solo ai proprietari del sistema digitale i dati in base ai quali profilare l’utente e proporgli la soluzione più affine ai suoi desideri. Pensiamo, concretamente, a come la gestione di sistemi come le memorie cloud, che oggi investono due terzi dei servizi della P.A. autorizzano un'asimmetria informativa, e dunque decisionale, per i loro proprietari. Chi controlla gli algoritmi di quei servizi controlla la gestione dei data-base in cui si depositano i dati, e chi controlla quelle informazioni ha le chiavi di quei servizi. Lo stesso vale ad esempio, per venire ad un settore più vicino a noi, ai processi di ristrutturazione dei gruppi editoriali. Riorganizzare giornali e televisioni attorno ad un sistema editoriale, come oggi è la norma, significa delegare ai fornitori di quelle soluzioni le intelligenze, il cosiddetto data-flow, e le relazioni professionali che ne conseguono.

In sostanza il tema che meriterebbe una riflessione comune riguarda proprio il tasso di autonomia digitale di una comunità, di un sistema economico, di una singola impresa. Uno degli indicatori che dovrebbe oggi essere considerato nella valutazione di un paese e della sua economia è proprio la sovranità nell'elaborazione e implementazione dei sistemi algoritmici, così come una volta era la politica valutaria o la strategia internazionale. Per tornare a Leibniz, potremmo dire che oggi è essenziale rendere trasparente ed esplicito quella “pratica occulta“ che lega la musica all'aritmetica. Almeno per avere la piena libertà di decidere di ascoltare la canzone che si vuole.

(*) Michele Mezza è direttore di PollicinAcademy, e docente di culture digitali presso l'Università Federico II di Napoli.