“De mortuis nisi bonum”. Una massima latina secondo la quale dei morti bisognerebbe sempre parlare bene. O, come alternativa, stare in silenzio. E in effetti la grandissima parte delle voci che hanno accompagnato il lutto per la scomparsa d Silvio Berlusconi hanno rispettato questa regola.
Non senza ragione. Di cose buone in politica e nell’economia Berlusconi ne ha fatte non poche. E i commenti della prima ora, tranne qualche scontata eccezione, hanno tutti esaltato la sua figura di statista, la sua volontà, i suoi contatti internazionali. Ovviamente senza dimenticare le grandi vittorie del Milan e i successi sul fronte televisivo con la creazione di Mediaset.
Per una volta il principio manicheo con tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra ha fatto pendere il piatto della bilancia verso le tante cose positive. Si è lasciata così nell’ombra la dimensione problematica di un’esperienza che da un profilo umano oltre che politico offre molte basi alla critica. Pur sempre salvaguardando il rispetto per la persona.
Allora si può forse rivendicare la libertà di dire che con Berlusconi si è accentuato quel cammino di decadenza morale, di appannamento dei valori etici, di declino di valori tradizionalmente forti come quello dell’unità familiare.
E da un profilo politico ha sicuramente pesato quel sottofondo di protesta, di contestazione al ruolo dei partiti, di ostilità verso le regole sociali che sono alla base, tra l’altro, della sempre minore partecipazione agli appuntamenti della democrazia.
Berlusconi aveva una grande abilità nel fiutare il vento di un consenso legato anche all’empatia personale, all’immagine di uomo ricco, ma che comunque ha costruito da sé la propria fortuna. Era visto, e sottilmente invidiato, come un tombeur de femme, un seduttore, un dongiovanni. E proprio in questa dimensione raccoglieva consensi tra gli uomini come tra le donne. Nella sua vita coniugale ha esaltato quella massima di Giulio Andreotti negli anni ’60, quando ancora esisteva la Germania Est: “Amo così tanto la Germania – diceva - che sono contento che ce ne siano due”.
Con la televisione commerciale, che ha trainato nella sua logica di programmazione anche la tv pubblica, è iniziata quella sottile opera di persuasione sulla normalità della violenza, della fluidità di genere, dei legami disimpegnati e momentanei, del chi vuol essere lieto sia a qualunque costo. Può essere temerario sostenere che il calo delle nascite, che contraddistingue pesantemente la società italiana, abbia alcune delle sue radici nel modello sociale esaltato dal “Grande fratello”. Ma se si solleva la patina dell’immagine e dello spettacolo, in questo come in molti altri momenti, ci si può chiedere dove era la famiglia, dove era la generatività, dove erano i valori di solidarietà e dedizione in molti programmi di una televisione che è ancora alla base della formazione delle priorità e della visione sociale.
La società italiana, ancor più della politica, è stata così segnata dalla discesa nel campo economico e politico di Berlusconi. È una società maggiormente individualista e tesa a guardare più gli interessi personali che i valori sociali.
Berlusconi merita un grande rispetto, per la sua passione e la sua volontà che ha dimostrato fino all’ultimo momento. Ma sarebbe una rituale superficialità non esprimere anche qualche critica proprio perché le sue scelte hanno talvolta contraddetto quell’ideale di Paese europeo, liberale, cristiano e solidale che apertamente lui stesso proclamava.
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