I risultati del voto erano largamente scontati. In Lombardia e nel Lazio le coalizioni di destra-centro, formalmente unite e compatte, non potevano che vincere a mani basse di fronte ai partiti di quasi sinistra e mezzo centro che non hanno perso l’occasione per dimostrare tutta la loro vocazione alla sconfitta.

È questa la prima ragione del vero fatto nuovo di questa tornata elettorale: i cittadini non sono andati a votare ritenendo, a torto o a ragione, che il loro fosse un voto inutile. Sia perché la maggioranza correva sicura sulle ali della vittoria del voto politico di settembre, sia perché la presunta opposizione ha dato fin dall’inizio prova di disarmante ambiguità. Il Pd, colto nel pieno nell’attraversamento del deserto verso il congresso e il rinnovo dei vertici, ha dato prova di molto scarsa prospettiva politica alleandosi a Milano con i 5 Stelle più inconsistenti che mai e cercando a Roma una poco convinta intesa con un terzo polo privo di forti elementi di richiamo.

Le incertezze del Partito democratico

Sarà pur vero che il Pd si è riconfermato il secondo partito dopo gli ormai, per ora, inarrivabili Fratelli d’Italia, ma è anche vero che questa campagna elettorale non passerà certamente alla storia per autorevolezza dei candidati, concretezza dei programmi, chiarezza di prospettive. Tutti in attesa delle primarie e del congresso, tutti a sostenere la necessità di un cambiamento, tutti a rivendicare la strategia giusta per affrontare il prossimo appuntamento elettorale. Risultato: il Pd tiene a malapena le posizioni, non riesce a difendere la presidenza della Regione Lazio, consente al destra-centro lombardo di vincere nascondendo il fallimento dell’azione della Regione nei primi mesi della pandemia.

La Regione appare costosa e lontana

Ma c’è una seconda ragione del grande astensionismo nonostante che si votasse in due giorni e per di più in una splendida domenica di sole primaverile. E’ il giudizio di sostanziale irrilevanza della dimensione regionale agli occhi dei cittadini. Che cosa faccia la regione concretamente ben pochi lo sanno. Ed è con qualche turbamento che si guarda all’immenso immobile, uno dei più grandi di Milano, che si affianca da qualche anno al già imponente grattacielo Pirelli prima sede della regione Lombardia. La Regione appare lontana, costosa e peraltro ben poco responsabile dei problemi di vita quotidiana di cittadini e imprese. Si potrebbe applicare alle Regioni quello che nel 1847 il ministro degli esteri dell’imperiale regione governo austriaco Klemens von Metternich scrisse, in una nota al conte Dietrichstein: «L’Italia è solo un'espressione geografica».

La disaffezione per la democrazia

Il problema, tuttavia, è che la disaffezione verso le Regioni è la punta di un iceberg che ha alla sua base una pericolosa tendenza di disaffezione verso la democrazia. E le cause non sono solo strettamente politiche.

È incontestabile, per esempio, che si raccolgono i frutti di anni in cui si sono gettati a piene mani i semi dell’anti-politica, del populismo, del rifiuto delle élite al governo. La parabola dei 5 Stelle è in questo senso emblematica. Dopo aver raccolto consensi a piene mani per la loro sonora critica ai poteri costituiti hanno dato una grande prova di inconsistenza programmatica e di coerenza politica alleandosi prima con la Lega, poi con il Pd, poi sostenendo Draghi e infine provocandone irresponsabilmente la caduta.

Ma non si può considerare una parabola significativa anche quella di Fratelli d’Italia, passato da partito fortemente anti-europeo quando il partito era all’opposizione alla difesa appassionata e decisa della solidarietà tra i 27 ora che è al governo. E non è da meno il Pd che per tanto tempo ha confuso la sinistra e la vocazione ugualitaria con i cosiddetti diritti civili inseguendo i miti della post-modernità radicale.

Il ruolo disarmante dell’informazione

È più che comprensibile un certo disorientamento degli elettori, una forte volatilità del voto, la mancanza di punti di riferimento e di identità precise.

Ma c’è anche una ragione che potremmo chiamare sociale nel crollo di credibilità della democrazia rappresentativa. Questa ragione si chiama informazione. Si scopre l’acqua calda affermando che gli interessi e l’attenzione della gente (cioè dei cittadini potenziali elettori) era nei giorni precedenti il voto in gran parte concentrata su Sanremo, le sue canzonette e le provocazioni trasgressive dei suoi protagonisti. Alzi la mano che ha visto e seguito un dibattito sui temi politici alla televisione, chi è stato tentato di fare un confronto tra i programmi dei candidati, chi ha potuto trovare in televisione (pubblica o privata) un’informazione seria e approfondita.

Il mondo dei social network e dei talk show ha trasformato la politica in battaglia di slogan, ha fatto perdere attrattiva alla competenza e all’esperienza, ha ridotto a immagini sbiadite i veri problemi del Paese, e sono tanti.

La Politica, sì con la P maiuscola, esce in fondo sconfitta più dal non-voto che dai risultati. Soprattutto i vincitori del voto dovrebbero tenerne conto.