Pur partendo dal doloroso e difficilmente accettabile decesso di quattordici persone nell’incidente della funivia del Mottarone, occorre ridimensionare quella parte dell’impatto mediatico che riguarda la sicurezza degli impianti di trasporto a fune e dei trasporti in generale.
Sicurezza intesa nel mondo intero, perché tale è anche l’occasionalità dell’incidente avvenuto il 23 maggio 2021 presso Stresa.
Una visione complessiva sulle alternative di trasporto
Sapete quanti sono stati i decessi di ieri, su media annuale, nelle strade del mondo? Circa 3.700 persone; idem, quindi, per tutti i giorni di un anno intero passato; tali valori sono abbastanza conservativi da un anno all’altro, perlomeno negli ultimi anni, con un distinguo per il periodo di restrizione alla mobilità legato al COVID. E in Italia? Circa una decina di decessi al giorno lungo la nostra rete stradale nazionale.
Nel 2020 sulle strade Italiane (ACI, 2021) sono stati rilevati 118.298 incidenti con lesioni a persone che hanno causato 2.395 decessi e 159.248 feriti. Le statistiche risentono, in positivo, del lock-down associato al COVID. Nel biennio 2018-2019 sono decedute 3.295 persone/anno, in media.
Secondo il Report Globale sulla Sicurezza Stradale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato nel 2018, nel 2016 è stato osservato un numero di morti, a seguito di incidenti stradali, pari ad 1.35 milioni. In particolare, l’incidente stradale costituisce nel mondo la nona causa di morte per tutte le fasce di età e la prima causa di decesso per persone con età compresa tra i 5 ed i 29 anni.
La carneficina sulle strade
Sebbene negli ultimi 30 anni il numero di incidenti stradali sia sostanzialmente aumentato nel mondo, il programma di ricerca globale Global Burden of Desease indica una riduzione nel numero di decessi e di decessi rapportati al traffico nonché alla popolazione. Per rendere esplicito il decremento della mortalità si può calcolare un indicatore che rapporta il numero di morti avvenute sulle strade ogni 100.000 abitanti, vale a dire il tasso di mortalità. Negli anni si è osservata una riduzione dell’indicatore di circa il 50%: il suo valore è passato da 135 morti ogni 100.000 abitanti nel 2000 al valore di 64 nel 2016. In Italia gli incidenti stradali ogni 1000 veicoli sono 33,52.
Gli incidenti con morti su impianti a fune sono invece dell’ordine delle centinaia in circa 50 anni, nel mondo, alcune decine in Italia: nel 1960, a Ferragosto, si schiantò la funivia del monte Faito, precipitando sulla ferrovia sottostante e portando alla morte di 4 persone; nell’agosto del 1961 il passaggio di un cacciabombardiere francese tranciò il cavo portante di una funivia, nel tratto tra Punta Helbronner e l’Aiguille du Midi a 3.842 metri sul livello del mare e costò la vita a 6 persone.
La discrepanza tra i numeri
Gli altri passeggeri della funivia restarono per 18 ore in attesa dell’arrivo dei soccorsi, un’intera notte sospesi a mezz’aria: erano veramente altri tempi, oggi impensabile una situazione simile. La stessa tratta del Monte Bianco fu scenario di un altro tragico incidente per via di un guasto ad un sostegno sospeso (pilone) del Grand Flambeu: la sciagura del 10 luglio 1966 causò la morte di un turista tedesco e ci furono 13 feriti.
Nel 1976, il più grave, con il disastro del Cermis che costò la vita a 42 persone; nel 1998, stesso luogo, una fune fu tranciata da un aereo militare statunitense fuori dagli spazi ammessi con conseguente decesso di 20 persone. A Champoluc (Aosta) del 1983 l’ovovia del Crest, a seguito d’una manovra improvvida, tre ovetti precipitarono per un’altezza di 20 metri: morirono 11 persone; 2 decessi si ebbero nel 1986 a Corvara, 5 feriti nel 1987 a Cortina.
L’incidente più recente risale al 2008 quando la funivia Pattemouche-Anfiteatro che collega Sestriere e Pragelato (Torino) andò a sbattere contro la stazione di fermata, fortunatamente senza vittime, ma 18 persone restarono ferite nell’impatto.
Il rischio delle due ruote
Si tratta di numeri toccanti eppure esigui rispetto all’ecatombe giornaliera stradale, certo da rapportare ad una mobilità di gran lunga inferiore rispetto a quello su gomma, comunque di vari ordini di grandezza inferiori rispetto alle quattroruote anche se rapportati al traffico: l’impianto a fune è in generale notevolmente più sicuro di qualunque alternativa di trasporto, seguito dal trasporto aereo e dalla ferrovia; si accodano le auto e poi le due ruote (lasciando da parte i pedoni): muoversi in moto ed in bicicletta è la scelta di gran lunga più rischiosa, seppure quest’ultima sia più sostenibile in termini ambientali ed in termini di utilizzo dello spazio pubblico adibito agli spostamenti.
Nella statistica della pericolosità dei viaggi - in cui viene utilizzato il parametro delle "morti per miliardo di chilometri percorsi" - secondo «Detr Research» (Figura 1) a detenere lo scettro del mezzo di trasporto più pericoloso è la motocicletta con 108,9 decessi, seguita dai pedoni (chi si sposta a piedi) con 54,2 morti, poi la bicicletta (44,6), l'auto (3,1), il trasporto su acqua (2,6), su camion (1,2), su treno (0,6), su autobus urbano (0,4), con l'aereo (0,05).
Avendo quindi riscontrato rari eventi associati ad incidenti letali su impianti di trasporto a fune, è possibile affermare che quest’ultimo rappresenta senza dubbio il mezzo di trasporto più sicuro.
La mortalità connessa al trasporto ferroviario nel periodo 2010-2015 rappresenta invece l’1,8% del totale degli incidenti con mezzi di trasporto: non per nulla l’Unione europea ha pianificato una rete inter-metropolitana europea ad alta velocità, alta capacità, dunque sia per motivi di sicurezza sia energetico--ambientali, pertanto di sostenibilità.
I sinistri su scala mondiale nell’ambito dei trasporti aerei del 2015 ammontavano a 495. Di questi, oltre la metà (54%) rientravano nella categoria 1, che indica un pericolo scarso o nullo per i passeggeri. Il 36% dei sinistri ha visto invece un pericolo di categoria 2, quella degli incidenti gravi che però non si sono trasformati in tragedie. Solo il 10%, sono stati davvero gravi, con danneggiamenti veri e propri al velivolo e in 11 casi anche delle vittime. Si è rivelato mortale quindi soltanto il 2,2% dei sinistri totali, 11 su 495.
Incidenti reiterati su impianti a fune?
La tragedia di Stresa-Mottarone ci ha ricordato altre gravi sciagure, spesso mortali, che hanno coinvolto gli impianti in Italia. Il precedente terribile accadimento avvenne quindi 45 anni or sono, 9 marzo 1976, quando si ebbe la rottura della fune portante della funivia che fece precipitare la cabina: dei 43 passeggeri, solo una ragazza di 14 anni riuscì a sopravvivere all’incidente. A bordo c’erano 15 bambini e il manovratore della cabina era giusto diciottenne; si ricordano anche casi di tragedie sfiorate, momenti di tensione legati ad azioni improvvide che ebbero fortunatamente esiti positivi. La funivia Stresa-Mottarone, la medesima in cui ha avuto luogo la tragedia, fu già scenario di un incidente che vide 40 turisti bloccati a mezz’aria per diverse ore. I soccorsi riuscirono ad intervenire tempestivamente e recuperare tutti i passeggeri. Questo passaggio ci pone degli interrogativi sia possibili ruoli di negligenza e imperizia, consapevole o inconsapevole che sia, sia su eventi del tutto anomali, talvolta forse imprevedibili, a fronte di un sistema di trasporto che evidentemente viene progettato, e va manutenuto nel tempo, in base a ben precise norme e regolamenti, ad altissimi livelli di sicurezza.
Gli impianti a fune in città: APM
Compreso che nessun altro sistema di trasporto motorizzato è altrettanto competitivo in termini di sicurezza - come pure in termini di consumo energetico e di emissioni inquinanti nonché di rumore - quanto gli impianti a fune, questi stanno prendendo piede come impianti anche per il trasporto urbano o APM (Automated People Movers) con trazione a fune.
Un gruppo di lavoro dell’ente italiano di normazione (UNI) che si occupa di impianti a fune, inserito nel contesto più ampio delle attività della commissione che si occupa di sistemi di trasporto operanti su ferro (le funi sono notoriamente in acciaio), vale a dire quelli “ad impianto fisso” – alias ferroviari, metropolitani, a fune e simili - ha redatto di recente (2015-2018) le “Linee guida per la progettazione dei sistemi di trasporto persone ad automazione integrale (APM) con trazione a fune”, ad uso appunto urbano e metropolitano (Figura 2).
È infatti conclamata da tempo l’esigenza di adottare sistemi di trasporto pubblico a guida vincolata, sicuri, capaci di soddisfare la mobilità urbana con elevata frequenza ed affidabilità, quindi con caratteristiche, per quanto possibile, similari a quelle del veicolo privato. In tale contesto, nel perseguimento di una maggiore sicurezza e sostenibilità energetica ed ambientale, nonché di potenzialità orarie (passeggeri trasportati all’ora per direzione di marcia) approssimativamente comprese tra quelle dei mezzi di superficie – quali autobus e tranvie – e quelle delle metropolitane (classiche o automatiche), si può ricorrere a sistemi ad elevata automazione che meglio si prestano a servizi con frequenza variabile nel corso della giornata, con contenuti costi d'esercizio, eventualmente in presenza di percorsi con andamento plano-altimetrico irregolare.
Ora anche soluzioni ibride
Tra i sistemi di trasporto innovativi ad automazione integrale - riconoscibili anche appunto come APM (Automated People Mover) - quelli con trazione a fune hanno avuto negli anni duemila uno sviluppo significativo (Figura 3), con molte soluzioni, alcune delle quali operative ed in esercizio. Sovente si è trattato di sviluppi, migliorie o adattamenti a nuove situazioni di contorno - solitamente ambiti urbani o comunque molto antropizzati - di impianti già ampiamente sperimentati nei loro luoghi d’utilizzo originario, tipicamente aree montane, prevalentemente sciistiche. Altre volte si è trattato di sistemi che, pur utilizzando tecnologie correnti - ad esempio ammorsamenti automatici – assumono caratteristiche generali assimilabili ad altri e più tradizionali servizi di trasporto urbano operanti in sede fissa. Soluzioni innovative ibride sono comparse di recente per applicazioni sia urbane che extra urbane.
Prerogativa di tali sistemi di trasporto è l’assenza di motore di trazione a bordo, il che consente una motorizzazione elettrica in stazione e la trasmissione del moto con un organo meccanico a bassa inerzia, la fune, con conseguente contenuto consumo energetico [kWh/p·km, gep/p·km, kWh/t·km, gep/t·km] se ben utilizzati, con assenza di emissioni.
Recentemente, diverse città hanno scoperto l’utilità di questi sistemi e li hanno adottati per collegare i centri storici a stazioni o grandi parcheggi. Essi si sono rivelati molto utili come anello di collegamento fra diversi modi di trasporto. È in questo ambito che l’automazione ha fatto il suo ingresso nel mondo dei trasporti pubblici, in virtù dei benefici connessi all’automazione integrale su linee anche brevi e dirette. Il controllo automatico della marcia dei veicoli ha inoltre permesso – oltre a raggiungere livelli elevatissimi di sicurezza - di ridurre al minimo l’intervallo fra i passaggi, ottenendo così buone potenzialità con mezzi più leggeri e meno performanti.
Oggi si fa correntemente uso del termine APM per indicare un impianto completamente automatico a guida vincolata che opera su distanze anche relativamente contenute con veicoli di capienza o capacità dell’ordine delle decine o poche centinaia di passeggeri.
Per concludere: gli impianti a fune, pur con i limiti di potenzialità oraria che possono avere (fino a circa 8-9 mila passeggeri/ora per direzione) hanno un posizione di sostenibilità a tutto tondo che li colloca al vertice delle alternative modali e della modernità dei trasporti, anche urbani.
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