Ulrich Beck ed Edgard Grande, riflettendo su società e politica in Europa, hanno osservato che l’integrazione europea, da un canto, è stata accolta troppo acriticamente in un certo milieu accademico e di ricerca; dall’altro, è stata criticata da “detrattori sbagliati con argomenti (prevalentemente) sbagliati”.
Ossia i populisti, sia di destra sia di sinistra, in particolare i partiti comunisti che avevano osservato con scetticismo e contrarietà il progetto di integrazione sin dal suo avvio.
L’adesione alla UE di diversi Paesi dell’ex blocco sovietico, compiutasi fra il 2004 e il 2007, ha sortito così effetti contrastanti: fenomeni retrospettivi come la riemersione di identità regionali e regionalismi; ma anche processi economici di intenso catch-up con i redditi medi dei partner europei.
Il difficile rapporto con Bruxelles
In Polonia e in Ungheria parte di questo successo va attribuito a politiche economico-sociali non convenzionali. A Varsavia il Law and Justice Party (PiS) al governo è stato generoso di sussidi alle famiglie povere e rurali con figli che costituiscono la sua base elettorale. Budapest, invece, ha perseguito una politica di generale incremento dei salari minimi, bilanciata da tagli alle tasse sulla sicurezza sociale e scommettendo sull’aumento della produttività. Ma i trasferimenti UE sono stati di tale consistenza (4% circa del PIL polacco e 5% circa di quello ungherese nel 2020) che se Bruxelles decidesse di sospenderli, l’effetto potrebbe difficilmente essere minimizzato.
Pertanto, il cosiddetto meccanismo di condizionalità per congelare i trasferimenti ai governi che manifestino ostilità alla supremazia del diritto europeo o violino lo stato di diritto - come nella recente controversia fra Varsavia e Bruxelles con l'attuale premier Mateusz Morawiecki - potrebbe comportare pesanti conseguenze politiche per i leader nazionali il cui supporto da parte dei cittadini dipende anche da performance economiche.
I conflitti sui valori
Sebbene l’adesione all’Ue abbia beneficiato Varsavia con un boom economico, da quando il partito nazional-conservatore di Jaroslaw Kaczynski è tornato al potere, nel 2015, molti polacchi hanno identificato i valori liberali dell’UE come una minaccia alle tradizioni sociali conservatrici.
Nel loro importante studio Cultural Backlash (2019), i politologi Pippa Norris e Ronald Inglehart hanno dimostrato che i conflitti sui valori, negli anni recenti, appaiono cruciali per spiegare il supporto popolare ai partiti populisti di destra. Fattori culturali come l’atteggiamento verso gli immigrati, la sfiducia nella governance globale e nazionale, il sostegno ai valori autoritari si sono rivelati nevralgici per le scelte politiche.
Il mix tra economia, politica e tecnologia
Secondo Agnieszka Graff e Eidbieta Korolczuk, che hanno analizzato in particolare il caso polacco e la limitazione dei diritti delle donne, i fattori che più hanno contribuito a questo processo involutivo della destra populista sono tanto socio-economici, come la crisi finanziaria globale del 2008 che determinò lo smantellamento del welfare state in molti Paesi accrescendo così precarietà e crisi dei sistemi di cura; quanto politici, come la crisi della sinistra legata alla cosiddetta “crisi dei rifugiati” del 2015 e all’Islam quale minaccia potenziale per l’Europa; altresì che tecnologici, come i social media e le petizioni online che hanno abilitato una collaborazione senza precedenti fra gruppi e network ultraconservatori a livello internazionale.
Negli anni ’70 e ’80, i partiti conservatori europei argomentavano a favore della libera impresa e dell’ortodossia economica. Invece il populismo post-comunista, rigettando sia il socialismo sia il neoliberismo, combina politiche sociali con una forma stridente di neo-nazionalismo. Ne costituisce un caso esemplare l’Ungheria, che dopo aver respinto il comunismo sovietico ha ripudiato anche la democrazia occidentale. Viktor Orbán, fondatore del Fidesz, nonchè primo ministro dal 1998 al 2002, nuovamente in carica dal 2010, si è mosso in direzione di un regime autoritario, la “democrazia illiberale”, sostenuto da un capitalismo clientelare.
Il cattolicesimo fondamentalista
Anche il governo polacco del PiS mostra una simile cifra distintiva: un regime che fa appello ai valori del cattolicesimo più fondamentalista, al nazionalismo etnico anti-globalizzazione, anti migranti, anti aborto e anti LGBT. Ma che offre politiche sociali attrattive di supporto alle famiglie con figli e, pertanto, ha molti sostenitori nelle piccole città e nelle campagne orientali del Paese. Il leader e cofondatore del PiS Jarosław Kaczyński ha individuato nella UE il principale bersaglio politico per l’insistenza di Bruxelles su gender equality, diritti delle donne e diritti LGBT che rappresentano altrettanti valori rifiutati dai polacchi più tradizionalisti.
Le rivoluzioni pacifiche del 1989-90 in Est Europa furono l’effetto benigno di contestazioni dal basso. Ma in democrazie deboli, osserva lo storico Anton Weiss-Wendt, il populismo può accelerare l’erosione del self-government riducendo i diritti civili e le istituzioni rappresentative, finendo con svuotare le democrazie dall’interno.
La transizione economica neoliberale ha ri-stratificato le società dell’Est creando nuovi vincitori e lasciando molta gente vulnerabile indietro.
Soprattutto le donne che sotto il regime socialista avevano un lavoro e gli anziani con pensioni che non tengono il passo dell’inflazione. Perciò molti hanno perso fiducia nel self-government e si sono rivolti alla democrazia illiberale.
I regimi nazionalisti dell’Est Europa, sviluppatisi sull’onda della delusione per la democrazia occidentale, costituiscono un esempio dei pericoli o dei rischi provocati dalla degenerazione del populismo, drammatizzata peraltro dalla manifestazione di natura insurrezionale compiutasi a Washington nel gennaio 2021.
Il ritorno dell’Est in Europa, comunque, ha ispirato una certa convergenza di valori nel Continente, come afferma anche Weiss-Wendt, una disposizione per i diritti democratici, compreso un sistema giudiziario imparziale, gender equality e libertà di parola. Su questi temi i leader che erano saliti al potere sull’onda di una rabbia anti-elitaria stanno affrontando un dissenso crescente.
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