C’è una data che nel mondo dell’auto – dalle aziende dell’indotto ai concessionari per arrivare fino ai benzinai – vorrebbero cancellare dal calendario: il 2035. È la data che la Commissione della Ue ha scelto per imporre lo stop alle auto termiche. La proposta è stata approvata dal Parlamento di Strasburgo e anche se non è ancora detta l’ultima parola è assai probabile che si vada in quella direzione.

D’altronde, ci sono produttori come Stellantis che si sono imposti di anticipare ancora di più i tempi: dal 2030 il quarto player mondiale fabbricherà solo vetture elettriche. Maserati comprese. E anche in tv negli spot delle case automobilistiche ormai vengono reclamizzati soprattutto modelli elettrici. Eppure i numeri di vendita sono ancora modesti nonostante performance del 100 perfino 150 per cento in più rispetto a un anno fa.

La quota mercato sotto la doppia cifra

Di fatto la quota di mercato per electric cars è pari al tre per cento, per quelle ibride si sale al sei. Messe insieme fanno meno di un dieci per cento del mercato totale. Ma tant’è: la strada sembra segnata per una tappa fondamentale del futuro dell’auto, un prodotto ormai maturo sul quale sempre meno cittadini sembrano disposti a investire le rate dello stipendio o una parte dei risparmi per acquistarla.

Cristina Siletto, classe 1965, una carriera in Fiat culminata con il premio “Woman of the year” nel 2002 come responsabile progetto di modelli di successo come Seicento e Grande Punto e oggi consulente nel mondo dell’automotive è la voce giusta per fare un punto sul pianeta auto. E sul suo domani, tra tanti dubbi e poche certezze. «La data del 2035 mi lascia perplessa – esordisce –. Intendiamoci: è indispensabile difendere l’ambiente. Catastrofi ricorrenti ci danno un’idea immediata degli effetti dei cambiamenti climatici. E della necessità di agire. Serve più sensibilità rispetto al passato sul fronte ecologico. Ma forse si può puntare allo stesso risultato senza investire tutto sull’elettrico. Insomma, una transizione ecologica neutra. L’importante è che sia a impatto zero sull’ambiente. Perché, per esempio, mi chiedo con quali fonti si pensi di produrre in Italia tutta l’energia elettrica che servirà per far muovere l’intero Paese».

Cristina Siletto "Woman of the year" nel 2002 per la rivista internazionale Automotivenews

Ricariche, la rete che non c'è

Il rischio è che si ripeta quel che già succede adesso: il 60 per cento della ricarica in Italia viene garantito da combustibili non rinnovabili. E poi c’è il problema della rete di rifornimento: oggi come oggi è un’infrastruttura poco presente fuori dalle grandi città. E con differenze sensibili tra Nord e Sud. Siletto vede anche altri due nodi: «Le scorie delle batterie è il primo. Siamo tutti pronti a gestirne lo smaltimento dopo l’uso? L’altro riguarda la componentistica elettronica che su un’auto elettrica ha una dotazione maggiore che su quella termica. Già oggi l’assenza di microchip sta causando alle case automobilistiche grossi problemi nell’assecondare le richieste del mercato. Con consegne che avvengono con il contagocce e stop produttivi per fronteggiare la carenza di forniture. Tanto che il mercato dell’usato vive una stagione d’oro».

 

E poi c’è l’aspetto costi. Oggi – come ha ricordato di recente l’economista Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi – un’auto elettrica costa una volta e mezzo una vettura termica. E questo è senza dubbio un freno in vista del 2035. Ecco perché l’Europa potrebbe rimediare puntando a una transizione ecologica proporzionata con un’uscita graduale delle auto termiche dal mercato. «D’altronde, credo che non solo l’Italia abbia difficoltà a presentarsi pronta all’appuntamento del 2035 – spiega Siletto – Non tutti sono come la Norvegia dove, ricordo, già nel 2018 alle Lofoten c’erano ricaricatori in diversi punti delle isole e muoversi in Tesla non rappresentava un problema. E poi, insisto, su quali saranno le fonti che alimenteranno le centrali per garantire l’energia per le ricariche. L’eolico? Il nucleare? Le risorse pulite cambiano da nazione a nazione». 

I motori termici non sono obsoleti

Un ripensamento sul 2035 che ha invocato anche Giorgio Marsiaj, numero uno degli industriali di Torino, durante l’ultima assemblea degli imprenditori nell’ex capitale dell’auto: «La tecnologia termica non è obsoleta». Già, Torino. Siletto è torinese e sotto la Mole ha costruito tutta la sua carriera nel mondo delle quattro ruote, ma anche lei riconosce che forse quello dell’auto è un altro dei primati che la città ha perso nel corso della sua storia. «Ancora all’inizio del nuovo millennio Torino era di diritto una delle capitali: qui davvero lo slogan “from concept to car” era realtà – ricorda la manager oggi alla guida della Cristina Siletto Consulting –. Si andava dall’ideazione al prodotto finito. Penso ai carrozzieri che l’hanno resa famosa nel mondo. Ma dietro di loro quanti altri bravi designer lavoravano in questa città? Oppure a certe aziende dell’indotto che per fortuna a un certo punto hanno saputo affrancarsi da mamma Fiat e conquistare commesse da altri marchi importanti, garantendosi un futuro che dura ancora oggi. Era una vera fucina Torino nel campo dell’auto. Penso anche in campo artigiano. Oggi si sta perdendo tutto: perfino mestieri ben pagati come quello del tirabolli, operai specializzati capaci di eliminare con un colpo i danni di una grandinata. Io due anni fa ho avuto ancora la fortuna di incontrarne uno bravo. E come lui i suoi due fratelli. Ma il proprietario della carrozzeria mi ha detto che ormai sono quasi una rarità. Soprattutto non è più un mestiere che attrae i giovani italiani».

Torino e il primato perduto

Ha ragione dunque Luca di Montezemolo quando dice che l’auto italiana non esiste più, a parte Ferrari? «C’è Maserati», prova a rispondere Siletto. Ma fa parte di Stellantis, che per Montezemolo è ormai un gruppo francese. Di sicuro, Siletto rimpiange la scelta di Fiat di aver rinunciato a investire nei segmenti A, B e C in cui eccelleva per puntare su modelli più redditizi: «Un peccato perché erano auto belle, facili da guidare, economiche.  Forse, però, proprio perché costavano poco si è preferito rinunciarvi».

Secondo Siletto è cambiato anche l’approccio dei giovani verso l’auto. Un tempo non si vedeva l’ora di arrivare a 18 anni per prendere la patente e poter guidare: una conquista che si coniugava con la libertà. Oggi molti giovani non guidano e non hanno tutto questa frenesia per la patente pur avendo raggiunto la maggiore età. Ed è tramontato tra le nuove generazioni anche il sogno dell’auto. Soprattutto nelle città si usa il car sharing o altri mezzi e formule per spostarsi e così quello che era un mito per intere generazioni del secolo scorso oggi svanisce quasi nell’indifferenza. Forse anche per questo, azzarda con cautela Siletto, si lanciano meno nuovi modelli e si punta di più sul restyling: «Ancora negli anni ’90 i giovani erano il punto di riferimento delle ricerche di mercato per individuare quale tipo di auto piacesse. Perché un modello che faceva breccia tra loro poi aveva successo anche nelle altre fasce d’età. Oggi non è più così: il rapporto con l’auto è cambiato», continua la manager.

Un settore che non seduce più

E anche una carriera nell’automotive non è più il sogno di una vita. «Progettare auto, pur restando sempre una delle sfide più complesse e dunque meno monotone e ripetitive, ha perso appeal. Per chi si laurea non è più un traguardo così ambito. Altri settori attraggono di più. E senza dubbio l’esperienza dello smart working sperimentata per necessità durante il Covid ha chiuso altri spazi: è sparito per esempio lo spirito di team che io ho respirato ancora molto forte ai tempi della Grande Punto».