Lockdown Sì, Lockdown No. Si comincia comprensibilmente a parlarne, a causa della salita della curva dei contagi (con pochi dati tempestivi sulla qualità dei medesimi, per la verità), e perché sia Francia che Germania hanno appena adottato un lockdown-light.
Mentre il dibattito divide i favorevoli dai contrari, noi preferiamo mettere sul tappeto dei numeri. I numeri, specie quelli dei costi economici non sono popolari, perché la salute viene innanzi tutto. Non possiamo che convenirne, in linea di principio, ma nella realtà il problema è complesso, per due ragioni. La prima: è vero, la (mancanza di) salute compromette l’economia, ma è anche vero che, quando si hanno grandi variazioni del Pil, l’infezione economica erode la base dell’economia che sostiene la produzione di salute. La seconda: non è detto che interrompendo le attività economiche si abbia un miglioramento delle curve sanitarie che non si sarebbe potuto ottenere per altra strada.
In altri termini, aguzzando l’analisi, gli stati di un sistema dinamico possono essere condizionati da molti parametri tra loro combinati. Di conseguenza, se si vuole ridurre il salto da uno stato al successivo (p.es. ridurre i decessi per effetto del virus), si potrebbe cercare di controllare questa dinamica senza ridurre la velocità di transizione da uno stato all’altro, rallentando tutto il metabolismo dell’economia. Rallentare il metabolismo dell’economia intera, infatti, produce costi significativi, che oggi possiamo calcolare avendoli sperimentati nel primo lockdown nazionale, durato 53 giorni.
In quei 53 giorni, il fermo alle attività ha ridotto la produzione di consumi finali, come abbiamo calcolato in un precedente studio del Centro Einaudi, di 53 miliardi. Eppure, come sappiamo, la variazione del Pil stimata dal Nadef sarebbe (senza un secondo lockdown) del 9% (ossia 161 miliardi) nel solo 2020. Inoltre nel 2021 la ripresa non sarebbe rapida come la discesa. Sempre citando il Nadef, se il Pil si risollevasse del 6%, dopo essere sceso del 9%, il livello della produzione e del reddito sarebbe pur sempre, nel 2021, di 63 miliardi inferiore a quello dell’inizio del 2020. In buona sostanza: come si vede anche dal grafico 1, i 53 miliardi di impatto diretto del lockdown, ossia quello che di solito viene “ristorato” dal Governo, determina un salto nel vuoto di 4,2 volte e finisce, in due anni, a costare all’intera economia 224 miliardi, circa 4 per ogni giorno di lockdown.
Perché si è arrivati a un moltiplicatore così rilevante? Ricordiamo che i moltiplicatori delle variazioni di spesa pubblica esogena sono riportati in letteratura compresi tra 0,5 e 1 e che i moltiplicatori degli investimenti pubblici durante i periodi di crisi si alzano fino a 1,5. Il moltiplicatore del lockdown (che forse sarebbe meglio chiamare divisore) è parecchio più alto per quattro ordini di ragioni.
1. L'effetto standard
La prima ragione è che, come ogni moltiplicatore un taglio di una attività finale si propaga all’indietro, tagliando gli acquisti e quindi la produzione dei fornitori; tagliando i redditi ai fattori di produzione e quindi la spesa o l’investimento di questi redditi e la catena non si interrompe al primo giro. Questo è un effetto standard, calcolabile attraverso una tavola intersettoriale integrata con un modello del circuito del reddito e che - in tempi normali - dovrebbe trasformare i 53 miliardi di tagli finali in 84 miliardi di redditi perduti. Ma non finisce qui.
2. Il moltiplicatore del lockdown opera in discesa
Agli 84 miliardi di redditi perduti ci fermeremmo se in discesa il sistema economico si comportasse come in salita. In effetti i parametri dei modelli economici di questo tipo sono calcolati su periodi di tempo medi, nei quali l’economia è normalmente in crescita, sebbene moderata. Ma il moltiplicatore del lockdown opera in discesa e questo fa la differenza. Quando si propaga indietro (ai fornitori) e in avanti (ai percettori di reddito) un taglio, l’effetto non è proporzionale e lineare, ma può sorprendere. Questo perché l’effetto non dipende solo dalla quantità del taglio di partenza, ma dipende assai dalle condizioni economiche e finanziarie dei fornitori e delle famiglie che lo subiscono.
Una parte di questi lo ammortizzerà; un’altra parte, che non conosciamo a priori, lo vedrà cadere su un bilancio magari già al limite della sostenibilità, che invece di ammortizzare l’impatto lo propagherà amplificato. È il caso dell’impresa che a fronte di una rinuncia di fatturati del 20% e a fronte di costi fissi rigidi veda un peggioramento del conto economico che rompa qualunque possibilità di equilibrio e inizi una ristrutturazione, il che moltiplica per 2, 3, 4 volte il taglio ricevuto sulla sua produzione. Non basta, quando si propagano dei tagli (piuttosto che degli incrementi), conta anche la condizione finanziaria. Un taglio inatteso dei ricavi taglia in modo inatteso i flussi di cassa e deteriora la posizione finanziaria. Vengono cambiati i piani di investimento (magari rimossi) e qualora il deterioramento finanziario intacchi il patrimonio, devono essere venduti beni (venduti o ... svenduti) per rimarginare il patrimonio. Oppure devono essere richiamati nuovi risparmi degli imprenditori, in un momento non propizio. Questo, tra l’altro, è quello che potrebbe accadere al giro di boa annuale, ossia al 31 dicembre, quando tutte le imprese dovranno fare i conti con la verifica del mantenimento delle condizioni patrimoniali di continuità aziendale, ragione per cui il fatturato di questi ultimi mesi dovrebbe essere particolarmente prezioso.
3. L'impatto dell'incertezza e della paura
Una terza classe di effetti è determinata dalla incertezza o dalla paura. Come la fiducia spinge la spesa, e quindi espande l’economia generale, la paura e l’incertezza la fanno rallentare. Qui ci allontaniamo dai punti specifici nei quali si sono osservati i tagli. Il punto è che tutti gli agenti, imprese e famiglie, di fronte all’incertezza dei redditi futuri riducono i piani di spesa e di investimento, anche se non sono stati toccati dal lockdown. In Italia questo si è sostanziato in un aumento inatteso dei depositi bancari, approssimativamente di 50 miliardi. Noi abbiamo calcolato che gli effetti di reddito indiretto e indotto perduto che si sono aggiunti nel 2020 alla perdita primaria di 83 miliardi conseguente al sacrificio del lockdown di 53 miliardi siano stati negativi per 77 miliardi complessivamente.
4. Il fattore tempo
Infine, c’è il tema del tempo. Quando il Pil di un sistema economico scende in un tempo ristretto del 9%, non risale con la stessa velocità, ma tende a restare nello stato finale in cui è caduto e non rimbalza con l’energia con cui è caduto per le ragioni del punto 2 e 3. Nello stato finale, ridotto del 9%, infatti, ci saranno imprese che hanno dovuto cessare l’attività e ci saranno imprenditori senza i flussi di cassa necessari a far ripartire l’attività ordinaria, oltre che famiglie che, avendo magari contratto debiti, avranno la priorità di restituirli prima di spendere. Gli asset svenduti nel periodo avranno determinato cali di ricchezza. Tutto questo fa sì che, anche nel roseo scenario del Nadef, 63 miliardi mancheranno comunque all’appello ancora nel 2021 per ritrovarsi, senza un secondo lockdown, nelle stesse condizioni della fine del 2019.
Il conto totale del lockdown è dunque stato alto: alla fine si perderanno, in due anni, 224 miliardi di redditi, pari a 4,2 per ogni giorno di lockdown, 4,22 volte il sacrificio imposto nel lockdown.
Quando si adotta un lockdown si dovrebbero quindi considerare gli effetti secondari di una manovra che è ordinata per ragioni sanitarie. Potremmo anche supporre che dietro 224 miliardi di redditi spariti in varie parti del sistema economico si avviino processi di disagio sociale che, a loro volta, potrebbero avere conseguenze sia economiche, che anche sanitarie. Per esempio, è noto che durante le recessioni le famiglie riducano l’impegno nelle cure della salute e nuove patologie insorgano. Qui il link a una ricerca svolta sulla crisi del 2009, che ha comportato una recessione inferiore a quella del 2020.
Esistono alternative al lockdown?
Pare sensato, per queste ragioni, esercitarsi nella ricerca di soluzioni che possano essere alternative, almeno parzialmente, ai costosi lockdown. I lockdown sono misure di politica sanitaria estrema, che si adottano per rallentare il contagio e permettere a tutti i malati di avere le stesse cure, senza interrompere il normale funzionamento del sistema sanitario. Per ridurre la pressione di una epidemia sul sistema sanitario si potrebbe però agire in anticipo selettivamente, conoscendo le caratteristiche dei soggetti che più frequentemente, in una epidemia come quella da coronavirus, hanno probabilità di impegnarlo.
Secondo l’ISS, solo il 3,5% dei deceduti a causa del coronavirus non aveva alcuna patologia pregressa, mentre il 63,6% (dati al 20 ottobre 2020) ne aveva tre o più. Chi è portatore di almeno una patologia pregressa e lavora, ha l’esposizione al contagio che gli deriva dal lavoro e dalla mobilità conseguente. Potrebbe essere esonerato dal lavoro, fino a che l’indice di trasmissione del virus, R(t), scenda sotto una soglia conveniente, e ridurre il suo rischio.
L’attuale sistema di indennizzo della malattia consente di pagare l’astensione dal lavoro solo a malattia conclamata, che per queste persone potrebbe essere tardi, essendo “suscettibili” e “fragili” all’infezione. Se invece lo consentisse, quanto costerebbe? Secondo i nostri calcoli una cifra sostenibile. Considerando i 18 milioni di lavoratori dipendenti, 1,7 potrebbero essere “fragili”, 1,3 milioni quelli con occupazioni non compatibili con il “lavoro agile” e da proteggere. Indennizzare un giorno di assenza dal lavoro costerebbe 124 milioni di euro. A questi si dovrebbero aggiungere, qualora volessimo estendere il beneficio ai lavoratori indipendenti fragili, altri 28 milioni per indennizzarli. Parte dei lavoratori fragili in temporanea inattività andrebbe però sostituita da lavoratori temporanei, e questo avrebbe una ricaduta positiva sui consumi di 76 miliardi, sul Pil di 89 e una ricaduta positiva fiscale sul bilancio dello Stato di circa 31.
Una simulazione condotta grazie al modello SIsaR, sviluppato a partire da un’idea di Gianpiero Pescarmona, sulla realtà piemontese, ha dato risultati incoraggianti. L’impatto del virus sul sistema sanitario sarebbe ridotto, probabilmente a sufficienza da evitare un lockdown generalizzato, che costerebbe più di 4 miliardi al giorno. Quando si ha a che fare con un problema complesso, unire insieme più misure di protezione a volte ha un effetto moltiplicativo.
Senza fermare l’economia, per esempio, si potrebbero decongestionare i servizi di trasporto pubblico ingaggiando gli oltre 20 mila autobus turistici (con autisti in Cig) che sono fermi ai loro stalli. Se ne era parlato prima della partenza delle scuole, ma poi non se ne è fatto nulla, e vogliamo sperare che, in questa situazione, dietro il fermo non ci siano liti o beghe sindacali interne al TPL. In ogni modo, è rimediabile. Con 12 milioni al giorno si potrebbero garantire 120.000 ore di offerta aggiuntiva al trasporto pubblico locale, sufficienti ad aumentare la capacità di trasporto nelle ore di punta di circa 6 milioni di persone distanziate.
Per andare avanti nel ragionamento delle misure favorevoli alla riduzione dell’impatto del virus, prima che sia inevitabile un lockdown, si dovrebbe estendere la capacità di isolare i positivi asintomatici e paucisintomatici, per curarli fuori delle proprie case, potenzialmente luoghi di contagio. Con 2,2 milioni di posti letto, l’Italia ha uno dei sistemi alberghieri più significativi e attualmente con tassi di occupazione estremamente sacrificati, proprio a causa del Coronavirus. Non è impossibile immaginare che almeno il 10 per cento di questa capacità possa essere messa a disposizione dell’autorità sanitaria (i positivi totali sono 276.000), al fine di isolare i positivi dai contesti in cui potrebbero contagiare. Il budget per questa operazione potrebbe essere inizialmente importante, intorno ai 20 milioni al giorno, ma si ridurrebbe mano a mano che l’epidemia andasse sotto controllo.
Il quadro delle misure preventive del lockdown adesso ne comprende più di una, e possiamo provare a tirare la linea per fare la somma dei costi giornalieri:
Valutiamo il costo complessivo del pacchetto di misure preventive, prima di arrivare a un lockdown, in circa 95 milioni, ossia un quarantottesimo del costo di un giorno di lockdown stretto, come quello che l’Italia ha già sperimentato, vincendo una battaglia sanitaria, ma non la guerra.
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