Stragi come quella di Brandizzo, con cinque operai travolti e uccisi da un treno alle porte di Torino nel cuore dell'estate rilanciano l'allarme sugli infortuni e le denunce sulle falle nella sicurezza sul lavoro. Eppure i numeri raccontano un'altra storia. Gli incidenti sono in calo, come le vittime e i feriti. Poi, certo, si può e si deve fare sempre meglio. Ma i dati sui primi nove mesi dell'anno confermano questo trend: le denunce di infortunio sul lavoro presentate all'Inail sono state 430.829 (-19,6% rispetto a settembre 2022 quando erano state 536.002), 761 delle quali con esito mortale (-3,7%). Una discesa che ha coinvolto tutti i settori principali: industria e servizi (-23,3%) e agricoltura (-0.5%). Dietro questo risultato c'è anche o, forse, soprattutto il successo dei Bandi Isi, promossi dall'Inail per incentivare gli investimenti delle imprese nella sicurezza sul lavoro. La prova è riassunta nel progetto Vip-moving (cioè una Valutazione degli incentivi alla prevenzione) che ha messo insieme ricercatori del Cnr-Ircres, del Dsge della Sapienza di Roma e del Dimeila dell'Inail e che ora è diventato un volume dal titolo "E' possibile incentivare la sicurezza sui luoghi di lavoro?" curato da Angelo Castaldo, Elena Ragazzi e Lisa Sella.

Dottoressa Ragazzi, lei è la coordinatrice scientifica del progetto. Qual è il dato che colpisce di più studiando l'impatto dei bandi Isi sulle imprese del nostro Paese?

«Direi due. Il primo è un calo oltre 36% per cento degli infortuni tra il 2010 e il 2018, il periodo analizzato dalla ricerca. E anche gli infortuni gravi sono calati a doppia cifra: -29%. Davvero un buon risultato ottenuto in meno di un decennio. Poi, ovvio, che non ci si può fermare. Vale la pena impegnarsi anche solo per una vittima in meno. Va detto che il calo è strutturale e si sta allargando anche ai Paesi sottosviluppati. Segno di un diverso approccio alla questione sicurezza».

Numero di imprese per classe dimensionale. Anni 2011-2015 (Fonte Quaderni Ircres 2/2020)

L'altro dato che l'ha colpita?

«La risposta delle aziende. Sin dalla prima edizione nel 2010, quando il bando era sperimentale, i fondi pochi e il meccanismo a graduatoria. Poi, dall'anno successivo, è stato trasformato in uno strumento strutturale. In un calcolo di massima possiamo valutare attorno alle 21 mila le imprese che hanno ricevuto contributi e in tre miliardi i fondi erogati in 13 anni. Cui vanno aggiunti i 500 milioni per il 2023, la dotazione più grande di tutti».

Per fare cosa?

«Per coprire il 65 per cento delle spese di investimento in sicurezza delle imprese. Chiariamoci: non certo per comprare gli estintori. Sì, invece, per acquistare un macchinario più sicuro di quello in uso. Con un vantaggio in più: diffondere l'idea che sicurezza e produttività sono due obiettivi sui quali si investe in modo congiunto. Macchinari altamente tecnologici, infatti, non solo creano un ambiente di lavoro più sicuro ma consentono di aumentare la produttività e rendere l'azienda più resiliente».

Com'è cambiato il bando negli anni?

«Nel 2015, esaurita la prima fase dell'operazione, hanno deciso di puntare su specifici settori. Campagne mirate, organizzate con le associazioni di categoria, che hanno consentito di coinvolgere molte microimprese di comparti strategici quali l'agricoltura, la ristorazione, il tessile e l'edilizia».

Sono le piccole imprese quelle a maggior rischio?

«Sì, quelle con meno di 50 dipendenti. E, in particolare, le microimprese, quelle che contano non più di cinque addetti. Per più di una ragione. Spesso perché non ci sono le risorse per investire nella sicurezza. Poi perché manca la cultura e dunque la competenza sull'importanza di ridurre il rischio di infortuni. Ma più di una volta incidono anche i tempi di consegna, sempre molto stretti, che spingono a trascurare l'elemento sicurezza pur di rispettare la commessa e non compromettere magari la fase espansiva dell'azienda».

Elena Ragazzi ricercatrice dell'Ircres-Cnr e coordinatrice del progetto "Vip-moving" sull'impatto dei bandi Isi dell'Inail

Ci sono luoghi dove è più difficile diffondere il concetto di sicurezza?

«Senza dubbio il mondo del lavoro nero. Lì c'è una vera resistenza rispetto alle regole che normano la sicurezza sul lavoro. In generale contano le disuguaglianze economiche, territoriali, ma anche gli aspetti culturali e persino l'attitudine a denunciare gli infortuni in modo corretto».

I bandi Isi possono essere considerati un modello anche fuori dall'Italia?

«Direi di sì. Sono l'unico esempio in Europa in cui si siano offerti incentivi economici per imprese che investono in salute e sicurezza sul lavoro al di sopra dei minimi di legge. Finora le politiche sono state in prevalenza di tipo regolamentare, introducendo obblighi e responsabilità per i datori. Se si vuole è un cambio di paradigma, per andare oltre al fastidio di un adempimento burocratico. Con effetti positivi per il benessere dei lavoratori ma con benefici anche per la produttività dell'azienda».