È l'ultima occasione dell'anno, ma in pochi scommettono che martedì il Consiglio straordinario dell'Unione Europea sull'energia possa concludersi con un accordo sul prezzo del gas. Troppo distanti le parti. Dopo la proposta della Commissione europea di un price cap a 275 megawattora sepolta dalle critiche, l'Italia con Belgio, Grecia, Polonia e Slovenia ha ipotizzato un tetto fisso a 160 megawattora che non è piaciuto a Germania e Paesi Bassi.
L'ultima proposta prima di martedì (per ora) è arrivata dalla Repubblica Ceca: price cap statico a 220 euro per Mwh che scatta se il gas supera questo livello per cinque giorni di fila. Tutto questo mentre sul mercato il prezzo torna a sfiorare i 150 euro e l'arrivo dell'inverno vero risveglia gli incubi di un razionamento e di altre superbollette. Tanto che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l'incontro con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen prima di assistere insieme alla prima della Scala a Milano ha auspicato «Un tetto efficace e realistico». Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia e uno dei massimi esperti in materia, è la persona giusta per un punto della situazione e, soprattutto, per guardare al futuro.
Presidente, cosa ne pensa del price cap?
«Il price cap? Sarebbe servito un anno fa, adesso e tardi. Ma neanche allora sarebbe stato facile fissarlo. La prova è in più di trent'anni di tentativi di arrivare a un tetto per il petrolio. Mai riusciti».
Perché?
«La verità è che per il gas come per il petrolio il prezzo va concordato tra venditore e acquirente. E allora ci si deve sedere attorno a un tavolo e negoziare. Ecco perché sarebbe stato importante arrivarci un anno fa non adesso nel pieno dell'emergenza dopo la rinuncia al primo fornitore d'Europa cioè la Russia».
Ma tutte queste discussioni tra i 27 su quale sia il price cap giusto non finisce per favorire una nuova impennata dei prezzi?
«Guardi, io lo fisserei anche 275/285 euro, cambierebbe poco. Un tetto per definizione deve essere alto proprio perché non ci si dovrebbe mai arrivare. Poi, scusi, chi glielo dice adesso agli altri fornitori di gas che siano i norvegesi o gli algerini che il costo cambia? Non è una mossa così semplice: dietro ci sono clausole e contratti da rispettare. Che spesso hanno durate lunghe».
Lei che cosa farebbe?
«Proverei a parlare con i norvegesi che stanno realizzando guadagni miliardari. Vero che non sono nell'Unione Europea ma insomma fanno parte dello stesso continente e siamo loro clienti da mezzo secolo. Forse si può trovare un accordo. Non credo sia loro interesse farci così male. Ma torniamo al punto di partenza, si deve negoziare. Non possiamo permetterci di fare la voce grossa. Altro che price cap».
Non è che andato via Draghi i tedeschi sono tornati sui loro passi e l'accordo che ai primi di ottobre pareva cosa fatta è sfumato?
«Mah. Può anche essere. Ma la verità è che siamo tutti sulla stessa barca. Noi e i tedeschi e tutti cerchiamo di sopravvivere a un inverno nel quale dobbiamo fronteggiare un 40 per cento in meno di forniture di gas: quelle garantite dalla Russia».
Prevede un inverno difficile?
«Scontato. Ce ne accorgeremo già nelle prossime settimane. Due mesi meteorologicamente anomali come ottobre e novembre avevano contribuito al risparmio di gas e ad allontanare lo spettro del razionamento ma ora dovremo tornare a farci i conti. E' da vent'anni che non accadeva, ma c'è di peggio. Vivremo un momento brutto, un inverno durissimo, ma le tragedie sono altre. La guerra in Ucraina, per esempio»
Si comincerà riducendo la produzione di energia. E poi? Si arriverà fino al razionamento delle forniture anche per le famiglie?
«Di sicuro già la prima mossa avrà effetti a catena. Rallentare l'utilizzo delle centrali significherà ridurre la quantità di energia garantita alle imprese con effetti sulla loro produzione a macchia di leopardo. E per le aziende sarà un altro salasso. Pensi che già pagano l'energia tre volte rispetto ai colleghi americani. Di questo passo rischiamo davvero una de-industrializzazione perché quando non sei più competitivo sul mercato, non ti resta che chiudere. Ma vedo il sindacato poco attento di fronte a questa prospettiva».
Lei aveva suggerito agli italiani di acquistare un generatore elettrico per l'inverno per fronteggiare i razionamenti di gas. Resta un consiglio valido?
«Spero non serva. Ma è un consiglio. Come quello di usare meglio l'energia in casa. A chi vive in montagna suggerisco di usare la legna dove possibile e il pellet. Sono aumentati ma costano pur sempre meno del gas».
Le bollette saranno sempre salatissime nei prossimi mesi?
«Prima o poi scenderanno, il problema è quando. Per il prossimo anno avremo ancora dei valori alti, poi possiamo sperare in qualche flessione».
Come siamo finiti in questa situazione? Tutta colpa della guerra in Ucraina?
«La verità è che in Europa come in Italia è mancata una vera strategia sul discorso energetico. Si è puntato tutto sulle fonti rinnovabili che vanno bene ma non possono bastare. In altre parole, non potranno mai essere la benzina che serve all'economia del nostro Paese. Infatti nell'immediato per fronteggiare il taglio delle forniture russe punterei di più sul carbone. E in prospettiva se davvero vogliamo liberarci dei combustili fossili dovremo prendere in considerazione il nucleare che è un'energia pulita come l'idroelettrico, che avevamo ribattezzato il nostro carbone bianco. D'altronde siamo l'unico Paese al mondo che ha deciso di uscire dal nucleare e chiudere le centrali che aveva. Forse è ora di ripensarci».
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