Nella sua prima visita ufficiale dopo l’esplosione della pandemia, papa Francesco si è recato in Iraq. Una visita storica, la prima nel martoriato paese mediorientale, avvenuta in primo luogo per portare conforto alla locale comunità cristiana. Tra le più antiche del mondo, la presenza cristiana in Iraq comprende una serie di confessioni (oltre ai cattolici, anche nestoriani, caldei, armeni, assiri, ortodossi più altre chiese minori).

Prima dell’invasione americana del 2003, il numero dei cristiani nel paese aveva toccato il milione circa di fedeli (su una popolazione di circa 27 milioni). Ora, secondo le ultime stime, ne rimangono tra i 250 e i 400 mila, presenti specie nei centri urbani dell’Iraq centro settentrionale: oltre alla capitale Baghdad, Kirkuk e soprattutto Mosul ospitavano grandi comunità cristiane. Mosul che salì tristemente alla ribalta delle cronache mondiali quando lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS) prese possesso della città, la seconda più grande del paese, espellendo o uccidendone i cristiani. Fu quello solo l’ultimo di una serie di vicissitudini che hanno colpito i cristiani d’Iraq dalla caduta del regime di Saddam.

Per quanto paradossale infatti, sotto di esso la minoranza cristiana godeva di una certa tutela pur nel contesto di uno dei regimi più repressivi del mondo arabo. Ma l’invasione del 2003, l’emersione di una resistenza militante alla presenza americana, poi degenerata nella terribile guerra civile tra sunniti e sciiti tra il 2006 e il 2008, fenomeni di terrorismo, fino alla quasi disgregazione del paese ad opera dell’ISIS (che a un certo punto controllava quasi un terzo del territorio nazionale), hanno posto in pericolo la sopravvivenza stessa della chiesa irachena.

Il grande ayatollah di Najaf

La visita di papa Francesco va ad inserirsi dunque in questo quadro. Era da aspettarsi che la comunità cristiana ricevesse con calore ed entusiasmo il pontefice, come è avvenuto. Ma è anche da rilevarsi come vari e vasti settori dell’opinione pubblica irachena abbiano risposto con molto favore a questa iniziativa.

Particolare risalto è stato dato all’incontro del 6 marzo tra papa Francesco e Sayyed Ali Al-Sistani, grande ayatollah di Najaf. Al-Sistani vanta infatti una posizione di estremo rilievo all’interno del mondo sciita. Per apprezzare dunque pienamente la portata di quell’incontro è opportuno inquadrare la figura di Al-Sistani, al quale il papa ha appunto chiesto un appoggio e un aiuto per difendere i cristiani iracheni.

La geografia dell'Islam sciita

Circa il 60% degli attuali 40 milioni di iracheni sono musulmani sciiti, la grande maggioranza dei quali arabi che vivono nel centro-sud del paese. Dominanti anche a Baghdad, sono poi concentrati nelle pianure alluvionali del Tigri e dell’Eufrate fino allo Shatt al-Arab, il delta comune dei due fiumi che sfocia nel Golfo. Najaf, insieme a Karbala, rappresenta uno dei luoghi santi dell’Islam sciita. Il quale rimane minoranza invece nel resto del mondo musulmano con l’importante, e decisiva, eccezione dell’Iran, paese come noto dominato da un regime teocratico sciita.

Proprio Najaf e Karbala sono sede di due mausolei dove si trovano le tombe di Ali Ibn Talib, cugino e genero del profeta Maometto, e di suo figlio Husayn, rispettivamente il primo e il terzo imam della fede sciita. Le figure degli imam sono centrali nel tracciare una differenza tra sunniti e sciiti: per questi ultimi, essi rappresentano i legittimi successori di Maometto, cosa che invece i sunniti non condividono. Nelle due città sante irachene si è sviluppato, intorno ai siti del pellegrinaggio dei fedeli sciiti, un sistema di seminari detto ‘hawza’. In questi seminari, lo studio di teologia, gnosi, diritto e giurisprudenza sciite hanno dato vita ad un complesso sistema accademico-religioso, dove la figura del dottore della legge islamica divenne centrale. Costui, in virtù degli studi compiuti, viene riconosciuto dalla comunità sciita come guida per i fedeli. Ogni musulmano sciita è tenuto a scegliere un ‘mujtahid’ (titolo che viene riconosciuto appunto a coloro i quali compiono il percorso di studi delle hawza), al quale ci si rivolgerà in caso di dubbio o di bisogno, e al quale si dovrà prestare non solo attenzione e deferenza, ma anche, in un certo senso, obbedienza.

Ecco che appunto Al-Sistani, ora 90enne, viene riconosciuto dalla grande maggioranza degli sciiti iracheni, e non solo, come Grande Ayatollah, ovvero all’apice di una struttura gerarchica definita da acclamate doti di sapienza, saggezza e devozione. Al-Sistani ha interpretato il suo ruolo di guida della comunità in maniera diametralmente opposta rispetto alla dottrina della Tutela dei Giureconsulti, formulata da un altro clerico sciita che abitò a Najaf per oltre un decennio, Ruollah Khomeini. Khomeini riteneva infatti che la conoscenza della legge islamica imponesse al clero di porsi direttamente alla guida dello stato, cosa che poi avvenne appunto in Iran nel 1979.

Al-Sistani invece ha sempre ritenuto che i dottori della legge dovessero solo consigliare, e quando necessario, ammonire il governo, mantenendosi in qualche modo al di sopra dell’agone politico ma non esentandosene. Al-Sistani è stato così capace di porsi come un’autorità probabilmente senza pari nell’Iraq di oggi. Non appoggiò mai Saddam, senza però porsi in aperto conflitto con il regime, cosa che avrebbe comportato, al di là di rischi personali, anche rappresaglie verso la sua comunità. Dopo l’invasione americana, non riconobbe, e anzi si rifiutò sdegnatamente di incontrare Paul L. Bremer, governatore americano del paese tra il 2003 e il 2004, sostenendo la necessità di un immediato ritorno alla piena sovranità ed elezioni libere.

La vicenda Al-Qaeda

Con l’intensificarsi delle operazioni di Al-Qaeda in Iraq, che intendeva scatenare una guerra tra sunniti e sciiti, Al-Sistani continuò a ribadire come i confratelli sunniti non si dovevano toccare. Quando l’ISIS mise a repentaglio la sopravvivenza del paese, ecco però ingiungere ai fedeli di prendere le armi per salvare l’Iraq dalla follia del sedicente califfato. In ultimo, durante le proteste contro la corruzione e la malversazione della classe politica nel 2019, proteste che coinvolsero l’intero paese, Al-Sistani appoggiò i giovani che dimostravano per le strade, secondo molti portando alle dimissioni dell’allora primo ministro – anch’egli sciita.

L’aver stabilito un contatto con una tale personalità si può considerare il più importante risultato della visita di Francesco in Iraq. Nel dialogo con Al-Sistani, a porte chiuse e senza testimoni, l’anziano mujtahid ha infatti riconosciuto i cristiani iracheni come parte integrante del paese, accogliendo le richieste del papa.

Forse un primo segnale positivo per la preservazione, e la ripresa, delle comunità cristiane in Iraq.