Si è da pochi mesi chiusa la finestra per usufruire della cosiddetta Quota 100, una misura di anticipo pensionistico introdotta dal Governo Lega-M5S nel 2019 e rimasta attiva fino al dicembre 2021. In vista delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre, la Lega ha proposto un ulteriore intervento straordinario sul fronte pensioni, Quota 41.

Il presunto ricambio

La nuova misura consentirebbe di raggiungere i requisiti per il pensionamento dopo 41 anni di versamenti contributivi, indipendentemente dall’età anagrafica. Nel dibattito pubblico questo intervento viene spesso promosso facendo leva sul presunto ricambio di personale all’interno delle aziende che una simile misura potrebbe indirettamente incentivare.

In particolare, utilizzando gli stessi argomenti impiegati per promuovere Quota 100: per ogni nuovo pensionato, si dice, anche questo nuovo intervento porterebbe all’assunzione di tre giovani, attualmente fuori dal mercato del lavoro.

Contrariamente però a quanto avvenuto nel 2019, a questa nuova proposta di intervento in ambito pensionistico arriviamo equipaggiati con un bagaglio di evidenza empirica che ci consente di concludere come Quota 100 sia stato un esperimento fallimentare sul fronte del ricambio generazionale, e come la narrazione utilizzata oggi per promuovere il nuovo intervento sia colpevolmente ingannevole.

Deroghe continue

Quota 100 ha rappresentato una delle più importanti deroghe ai requisiti ordinari per il pensionamento anticipato introdotte negli ultimi anni nel nostro Paese. Il beneficio era infatti esteso a tutti i cittadini senza limitazioni soggettive o legate al tipo di impiego e non prevedeva limitazioni temporali per usufruire del diritto, purché questo fosse maturato tra il 2019 e il 2021. Inoltre, l’anticipo non determinava penalizzazioni aggiuntive sull’assegno pensionistico, se non quelle dovute alle normali regole di calcolo, che tengono conto dell’età anagrafica, della carriera contributiva e del profilo delle retribuzioni.

A giugno, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e l’INPS hanno fornito alcuni dati relativi all’utilizzo di Quota100 tra il 2019 e il 2021. Al 31 dicembre 2021 le domande di pensionamento anticipato accolte sono state 379.860, di cui circa il 50 per cento proveniente da dipendenti privati, il 30 percento da dipendenti pubblici e il rimanente 20 per cento da lavoratori autonomi.

Mediamente, ogni anno le uscite anticipate dal mercato del lavoro con Quota 100 hanno riguardato lo 0,4 percento dell’occupazione privata e l’1,3 per cento dell’occupazione pubblica. Tra le persone che hanno usufruito di Quota 100, solo l’81 per cento di esse è transitato alla pensione direttamente da una posizione lavorativa. Il restante 20 per cento è invece prevalentemente costituito da persone che stavano ricevendo una forma di sostegno al reddito, o da persone già fuori dalla forza lavoro. Considerando i lavoratori che hanno maturato il diritto a Quota 100 entro il 2019, tra i contribuenti attivi solo il 45 per  cento degli aventi diritto ha deciso di usufruire del beneficio, mentre la stessa percentuale sale al 73 per cento tra i disoccupati.

Le cortine fumogene

Da questi numeri risulta già evidente come l’ingresso nel mondo del lavoro di tre giovani per ogni pensionato che avesse usufruito di Quota 100 fosse un traguardo illusorio, che infatti non è stato raggiunto. Da un lato, il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione – il 20 percento delle domande di Quota 100 accolte – risponde a logiche diverse da quelle di mercato, e richiede comunque ulteriori interventi diretti di politiche pubbliche. Dall’altro, solo l’80 per cento dei beneficiari della misura era impiegata nel mercato del lavoro al momento del pensionamento. Sulla restante parte, già fuori dal mercato, non ha ovviamente alcuna logica invocare il meccanismo del ricambio generazionale, in quanto la misura in questi casi non ha liberato posti di lavoro.

Un conto salatissimo

La spesa effettiva del provvedimento, proiettata sino al 2025, si stima possa attestarsi sui 23,2 miliardi di euro, solo l’80 per cento di quanto inizialmente stimato nel 2019. Per esempio, tra coloro che hanno maturato il diritto a Quota 100 nel 2019, a fine 2021 solo il 49 per cento di essi ha effettivamente deciso di usufruire del beneficio – resta comunque aperta la possibilità di usufruirne in anni successivi. In media, queste persone hanno anticipato di 2,3 anni la data del loro pensionamento.

Fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio / INPS

Quota 100 ha quindi indirizzato un ampio ammontare di risorse pubbliche per permettere a poche centinaia di migliaia persone di anticipare di appena qualche anno il momento della pensione. Inoltre, i dati evidenziano come il ristretto gruppo di beneficiari sia composto in prevalenza da persone con redditi medio/alti. In particolare, l’adesione tra le persone nel primo quintile di reddito si attesta al 35 per cento, mentre nelle fasce centrali della distribuzione del reddito la stessa percentuale supera il 50 per cento, per poi scendere nuovamente tra le persone con redditi più alti. Infine, dai numeri non emerge una chiara evidenza di come la misura abbia effettivamente interessato i lavoratori impiegati in mansioni usuranti.

Le domande accolte corrispondono all’1,2 percento degli occupati nel settore del trasporto e magazzinaggio, allo 0,6 percento nel settore dei servizi – dove probabilmente hanno influito processi di ristrutturazione degli organici piuttosto che logiche legate alla gravosità delle mansioni – e allo 0,5 percento nel settore delle costruzioni. Negli altri comparti economici i numeri risultano ancora più bassi.

L'amara realtà

Questi dati confermano come Quota 100 abbia trasferito risorse pubbliche a pochi beneficiari senza che la maggior parte di questi avesse particolari esigenze legate al tipo di mansione o a dinamiche socio-economiche.

Un ulteriore paradosso della misura, infine, si riscontra nel fatto che questa non abbia portato ad alcuna sostituzione tra pensionati e nuovi giovani lavoratori. A fronte di una promessa di tre nuovi giovani assunti per ogni pensionato, i dati mostrano come Quota 100 abbia in realtà determinato un calo dell’occupazione. Il tasso di sostituzione stimato per il 2019 oscilla infatti tra il 46 e il 61 per cento (Dachille, Di Porto, Paiella. Lavoce.info), numeri ben lontani dalla soglia del 300 per cento, corrispondente alla promessa elettorale. In media, per ogni due pensionati è stata registrata una nuova assunzione.

Nota: per “cumulata centisti” si intende il numero cumulato di pensionamenti dovuti a “quota 100” per imprese al mese. Fonte: Inps, Direzione centrale studi e ricerche / lavoce.info

Purtroppo i dati attuali non consentono di effettuare l’analisi del tasso di sostituzione in base all’età dei nuovi assunti, ma anche nel caso fossero tutti giovani, le percentuali rimangono comunque ben lontane da quelle promesse.

La prospettiva

A fronte di una misura così poco efficace, non ci sono elementi che giustifichino la riproposizione di un provvedimento simile nel prossimo futuro. Considerata la già alta spesa pubblica indirizzata al comparto pensionistico – anche in relazione a settori importanti come quello dell’istruzione – i nuovi interventi dovrebbero essere limitati, in termini di spesa, ed esclusivamente indirizzati a coloro che manifestano particolari necessità, in base per esempio al tipo di mansione svolta.

Questi interventi potrebbero per esempio concretizzarsi in un rafforzamento, se necessario, di misure già adottate – tre le altre, l’uscita anticipata per particolari categorie di bisogno, la pensione a requisiti ridotti per grandi invalidi e non vedenti, o il sistema di vecchie quote di calcolo per lavoratori addetti a mansioni particolarmente faticose.