Si ingrossano le fila dei pensionati pubblici che per il 59,5% sono donne e per il 40,8% abitano nelle regioni Settentrionali che assorbono il 39,4% della spesa pensionistica. Ma il numero delle pensioni liquidate nel 2021 è in flessione del 3,9% rispetto al 2020. Lo rivelano i dati diffusi dall’Inps in queste ore.
Numeri sempre più ingombranti
Al 1° gennaio 2022 erano attivi 3.082.954 trattamenti pensionistici in capo alla Gestione dipendenti pubblici (Gdp), l’1,8% in più rispetto all’anno precedente (3.029.451 pensioni), per un importo complessivo annuo di 79,2 miliardi di euro, il 3,2% in più rispetto al 2021, in cui l’importo risultava di 76,75 miliardi.
Il 58,5% delle pensioni sono di anzianità o anticipate, con importo complessivo annuo pari a 51,5 miliardi di euro; il 14,3% sono pensioni di vecchiaia con importo complessivo annuo di 13,13 miliardi; le pensioni di inabilità sono il 6,7% e il restante 20,5% è costituito, complessivamente, dalle pensioni erogate ai superstiti di attivo e di pensionato. Il 59,5% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato a donne, contro il 40,5% erogato a uomini. In tutte le categorie di pensione, eccetto la categoria delle pensioni di inabilità, si rileva una maggior presenza di pensionate sui pensionati, con differenziazione massima nelle pensioni ai superstiti in cui le donne rappresentano il 17,1% del totale delle pensioni e gli uomini il 3,4%. Il maggior numero delle prestazioni è concentrato nelle regioni settentrionali con il 40,8% del totale nazionale, seguito dal 36,5% delle prestazioni erogate al Sud, isole comprese. Al Centro il valore minimo, con il 22,4%.
Nulla di nuovo, purtroppo
«Sono dati che non mi sorprendono. Nel senso che la spesa aumenta ma calano i nuovi pensionati così come il maggior peso delle donne è frutto della struttura del lavoro pubblico e del grosso bacino delle reversibilità», commenta l’economista Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro e delle politiche sociali nel governo Monti con all’attivo una riforma del sistema pensionistico che porta il suo nome. «Così come non stupisce – spiega ancora Elsa Fornero – che gli assegni dei pensionati pubblici siano più elevati di quelli dei lavoratori privati e questo per il trattamento di favore nelle condizioni di accesso al sistema pensionistico».
In Italia settentrionale la maggior erogazione
Tornando ai numeri, il 39,4% della spesa pensionistica complessiva della Gestione Dipendenti pubblici viene erogata nell’Italia settentrionale, contro il 36,5% dell’Italia meridionale ed isole ed il 23,8% dell’Italia centrale. Le regioni con il maggior numero di pensioni pubbliche sono la Lombardia e il Lazio rispettivamente con l’11,8% e l’11,3% del totale, seguite dalla Campania (9,3%) e dalla Sicilia (8,4%). Le regioni con il numero minore sono la Valle d’Aosta (0,3%), il Molise (0,7%) e la Basilicata (1,1%).
Il numero delle pensioni liquidate nel 2021 è diminuito del 3,9% rispetto all’anno precedente – passando dai 179.230 trattamenti del 2020 ai 172.228 del 2021 –, ma l’importo medio mensile aumenta, passando dai 1.997,71 del 2020 ai 2.016,79 euro del 2021, con un incremento vicino all’1%.
La distribuzione
Analogamente alle pensioni vigenti, nella distribuzione delle pensioni liquidate nel 2021, la categoria delle pensioni di anzianità/anticipate è la più numerosa, con il 54,7% del totale e importo complessivo annuo pari a 2,83 miliardi (62,8% del totale). Le pensioni ai superstiti rappresentano il 25,5% del totale come numero e il 15,7% come importo. Infine, le pensioni di vecchiaia sono tra il 16,9% come numero e il 18,9% come importo e quelle di inabilità sono di poco superiori al 2% sia nel numero sia nell’importo. La distribuzione per genere e categoria delle pensioni liquidate ha una composizione analoga a quella delle pensioni vigenti con una prevalenza del genere femminile in tutte le categorie ad eccezione delle inabilità. Inoltre, le pensioni ai superstiti erogate alle donne rappresentano il 19,3% del totale mentre quelle erogate agli uomini soltanto il 6,2%.
La posta in gioco
Ora, a livello più complessivo, la questione pensionistica si gioca sulle “quote” di cui si discute e sull’eventuale intervento riformatore prima della fine dell’anno. Se non si interviene, dal 2023 diventeranno operative le regole della legge Fornero.
«Andrà a finire che ci sarà un interventino – spiega Elsa Fornero – si perderà ancora tempo quando ormai gli italiani avevano metabolizzato l’idea di lavorare un po’ di più per avere una pensione un po’ più alta. Io credo che si dovrebbe mandare a regime la riforma intervenendo sulle situazioni più disagiate, perché applicando il solo sistema contributivo ci sarebbero settori, come il commercio e l’agricoltura, dove le pensioni sarebbero oggettivamente troppo basse. Servono interventi mirati, non ritardi nell’applicazione della riforma».
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