La crisi del Covid-19 ha fatto affiorare il senso di responsabilità di individui e imprese innescando risposte di solidarietà e cooperazione.

Ci sono organizzazioni che già prima della pandemia operavano mosse da questi principi e che adesso possono guidare la transizione dell’intera economia verso un ribilanciamento di efficienza, resilienza e solidarietà. Si tratta delle tante organizzazioni (cooperative, fondazioni, imprese sociali… profit e non-profit) appartenenti al vasto mondo della social economy.

La social economy è per natura orientata a pratiche economiche sostenibili e inclusive

I fattori che ne hanno garantito la diffusione? La capacità di rispondere a bisogni di forte interesse collettivo, di radicarsi nel territorio, di mettere in atto pratiche di governance democratiche e partecipative, e propendere alla collaborazione con altri attori economici e stakeholders a livello locale. Inoltre, il reinvestimento dei profitti (ove presenti) nell’organizzazione stessa ne fa accrescere continuamente l’impatto generativo.

Sebbene queste organizzazioni, come tutti gli altri attori economici, stiano vivendo le conseguenze di un lockdown prolungato, la domanda per la social economy non è mai stata così alta, evidenzia un rapporto dell’OECD (Social economy and the COVID-19 crisis: current and future roles).

La percezione

Questo perché, in genere, gli attori della social economy vengono percepiti come partner fidati e molti di questi hanno operato in prima linea per affrontare l'urgenza sanitaria e rispondere ai bisogni della società, specie delle sue fasce più esposte. Le stesse realtà avevano mostrato una simile capacità di reazione già in seguito alla crisi finanziaria del 2008 e in tutto il mondo sono tra le prime a mobilizzare le proprie risorse dopo attacchi bellici o catastrofi naturali.

Le key word

Le due parole chiave che descrivono l’anima della social economy sono “riparare” e “trasformare”.

Ed è proprio seguendo tale vocazione che questo settore dell’economia ha avuto un impatto così sostanziale nel mitigare gli effetti della crisi sanitaria e può servire da bussola nella transizione economica. “Riparare” perché tradizionalmente il terzo settore (coniugazione italiana più appropriata di social economy) si è occupato di ovviare a problematiche sociali su cui l’economia di mercato non ha investito e i soli servizi pubblici arrancano; per esempio, l'esclusione di categorie svantaggiate dal mercato del lavoro o altre forme di esclusione sociale subite da gruppi più vulnerabili.

I pregiudizi

Chi ancora non valutasse la social economy come attore strategico nello sviluppo economico dovrebbe rivedere il proprio giudizio. Essa è stata pioniera nell’identificare e sperimentare innovazioni sociali, forme alternative di organizzazione e comportamenti responsabili poi adottati dal resto dell'economia. Il commercio equo e solidale, l'agricoltura biologica e la finanza etica si sono prima sviluppati nell'ambito dell’economia sociale per poi diventare parte dell’economia mainstream, e in alcuni casi considerevole strumento di marketing. Oggi costituiscono un faro anche a livello di proposte politiche. Penetrando per prima queste nicchie di mercato la social economy ha “trasformato” il modo di creare, catturare e condividere il valore, dimostrando un modo diverso di condurre l’attività economica.

Le opportunità

Le prospettive per l’economia di mercato sono di trarre ispirazione dal modello di business delle organizzazioni sociali, allearsi o confrontarsi con queste come competitors. Infatti, queste realtà si stanno facendo spazio anche in settori di storico oligopolio, come quello dell’energia. La diffusione delle rinnovabili ha portato ad una “democratizzazione” della produzione energetica e alla nascita di comunità energetiche autosufficienti (spesso gestite in forma cooperativa) che promuovono la transizione green coinvolgendo e responsabilizzando i cittadini. Anche nell’ambito dell’economia circolare, nella sua declinazione più essenziale di recupero e riciclo di materiali, questa forma di business si è dimostrata all’avanguardia nel testare nuove opportunità e trasferire competenze, molti esempi virtuosi derivano dal comparto tessile.

Le contaminazioni

Aumentare la collaborazione e la contaminazione tra mondo profit e terzo settore può aiutare a superare la scissione irragionevole e sterile tra economia e bene sociale, facendo fiorire entrambe le realtà. Esternalizzando alcuni servizi e includendo nella supply chain o nella gestione del welfare aziendale realtà del terzo settore, il mondo profit amplia il suo impatto positivo. L’organizzazione di veri e propri clusters (strategia favorita dall’Unione Europea) è utile per siglare un patto tra queste realtà affinché si impegnino su obiettivi sinergici e diano impulso a un’attitudine proattiva nei confronti dello sviluppo e della transizione economica; le organizzazioni del terzo settore beneficiando di un trasferimento di risorse e tecnologie dal mondo profit, e quest’ultimo avvicinandosi al consumatore e riconsiderando la logica del “profitto a discapito di qualcuno”. Come si evince dall’esempio dell’agricoltura biologica e delle comunità energetiche, la vicinanza alle persone tipica delle realtà dell’economia sociale ne influenza le scelte di comportamento, le abitudini e mira a valorizzarle. Trasferire questa abilità ad altre industrie significa difendere il patrimonio culturale e le competenze locali, posti di lavoro e creare opportunità di crescita.   

L’anno che è in corso dovrebbe vedere la nascita di un piano d’azione Europeo per la social economy, perché venga presa in considerazione in maniera sempre più integrale e integrata nelle politiche comunitarie che seguiranno. I primi da superare sono gli ostacoli di natura giuridica che rendono complicato ad alcune delle organizzazioni accedere a fondi (o ristori, nel caso della ripresa post-Covid) e prendere parte al mercato unico transnazionale.

La social economy dovrebbe essere priorità negli investimenti Next Generation EU

La strada è stata tracciata dall’Europa: ha posto la Proximity and Social Economy come uno dei vari pilastri su rilanciare l'economia reale del continente.

Con la differenza che, oltre a essere un ecosistema da sostenere e rilanciare, quello in discussione può essere impulso per la ripresa degli altri settori. Si tratta ora di dare concretezza a questi principi destinando adeguati investimenti alla creazione di una rete capace di dare slancio all’imprenditorialità e di sviluppare l’inclinazione all’innovazione e all’adattamento. La ripresa dalla pandemia rappresenta il momento giusto per supportare progetti strategici di collaborazione e innovazione sociale e per offrire un ruolo di leadership agli attori del terzo settore.

Sostenere dinamiche imprenditoriali e collaborative che stimolino il cambiamento e la connessione con la social economy può far sì che finalmente l’uomo trovi il suo posto al centro della visione per lo sviluppo.