Mentre da noi i ristori per le attività colpite dalla crisi sono pochi e arrivano in ritardo, la straordinaria efficienza e proverbiale generosità degli stati mitteleuropei ci mette in imbarazzo ancora una volta. Prendete il Lussemburgo, per esempio, che ha assegnato ben 56 milioni di crediti fiscali a una piccola azienda del settore del commercio, Amazon, e al suo indigente proprietario, mister Jeff Bezos.

Del resto, si sa, è stato un anno difficile per il mondo dell e-commerce: Amazon nel 2020 ha incassato appena 44 miliardi di euro in Europa. E gli 8,1 miliardi di profitti nel primo trimestre del 2021 parlano di un’azienda in chiara sofferenza.

A infierire sulle sofferenze di queste piccole imprese si aggiunge il POTUS Joe Biden, noto bolscevico, con la sua proposta di un’aliquota minima internazionale del 21% sui redditi societari e di una tassazione speciale per le prime 100 aziende mondiali per volume di fatturato, che sarebbero tassate non più in base alla sede fiscale ma a dove realizzano i loro guadagni. Per fortuna, a fronte di queste misure ingiuste e populiste (in fondo, che saranno mai 80 miliardi di elusione fiscale in Europa nel 2020?) Amazon ha molti modi per difendersi.

Amazon in perdita?

Innanzitutto, la tassa è sui profitti e Amazon risulta in perdita di 1,2 miliardi in Europa. Perché, bontà loro, investono tanto in infrastrutture, creando introiti fiscali per gli enti locali e posti di lavoro. Peccato che il commercio tradizionale, che sta declinando paurosamente nell’era dell e-commerce, processo accelerato dai lockdown, impieghi più forza lavoro e spazio rispetto ad Amazon (che proprio nella poca necessità di spazio fisico trova uno dei suoi grandi vantaggi). Negli USA, fra il 2014 e il 2015, Staples ha chiuso 242 negozi, Office Depot 349 e Sports Autorithy 463, tutti a causa dell'insostenibilità della competizione con Amazon e soci.

Bolscevismo imperante?

Proprio nell’estrema liquidità delle varie aziende di Big Tech sta la speranza di sfuggire in ogni caso al bolscevismo imperante. Gli stati patrimoniali di queste società infatti hanno una componente di beni tangibili molto ridotta (il grosso degli spazi logistici di Amazon sono in leasing o in affitto: la parte prevalente delle sue immobilizzazioni proprietarie è costituito dai data center di AWS, il ramo di Amazon che si occupa di servizi cloud). A farla da padrone sono gli asset immateriali: marchi, brevetti e sopratutto avviamento derivativo, frutto di un’infinità di acquisizioni societarie (104 per Amazon). Gli asset immateriali sono più facilmente trasferibili a società fantasma nei paradisi fiscali, sono più difficilmente quantificabili e meno tassati (Trump aveva portato la tassazione negli USA fra il 10 e i 13%, Biden vorrebbe portarla al 21%).

A proposito di brevetti: la spesa in R&S è contabilizzata come spesa corrente e non come investimento, cosa che contribuirebbe a spiegare i miseri profitti rispetto al volume di fatturato.

Investitori e capitalizzazione

Amazon può inoltre contare sulla straordinaria generosità dei suoi investitori, che, a fronte di dividendi pari a zero sino al 2018 e miseri successivamente, hanno continuato a scommettere su questa piccola ma dinamica start-up di Seattle portandone la capitalizzazione di mercato a toccare i 1500 miliardi di dollari. L’apparente disinteresse dei suoi investitori per i profitti da capitale, unito all’enorme disponibilità di denaro a basso costo a seguito dei programmi di QE post-2008, hanno consentito ad Amazon, molto generosamente, di vendere beni in perdita (e-book, abbonamenti ad Amazon Prime o Amazon Music) o a prezzo di costo (Kindle, Alexa), per la gioia di milioni di consumatori in tutto il mondo. Con l’effetto collaterale che le aziende non in grado di avvantaggiarsi dell’enorme disponibilità di denaro a costi irrisori e che devono generare profitti per sopravvivere (che visione arretrata del capitalismo, signora mia) falliscono o vengono acquistate una dopo l’altra.

Magari ci perderemo come lavoratori, imprenditori e cittadini, ma come consumatori abbiamo spedizioni entro un giorno gratuite. Va tutto bene. E grazie al Lussemburgo che sostiene le piccole realtà innovative.

Queste riflessioni nascono nell’ambito del progetto di ricerca “Osservatorio sui cybermercati” del Centro Einaudi. Qui potete leggere il primo working paper del progetto.