Nel primo trimestre dell’anno, il tasso di disoccupazione italiano ha raggiunto i livelli più bassi degli ultimi dieci anni, tornando ai valori pre-pandemia Astraendo dal periodo pandemico, il tasso di disoccupazione ha oscillato in questi anni tra valori molto bassi, vicini all’8 per cento, e valori invece oltre il 13 per cento. A cosa sono dovute le variazioni del tasso di disoccupazione?
Nel tempo, il tasso di disoccupazione può aumentare a seguito di un numero relativamente alto di occupati che perdono il proprio posto di lavoro, o in seguito ad un numero sempre maggiore di persone che non riescono a trovare un impiego. Nel primo caso, il tasso di disoccupazione aumenta perché nel mercato del lavoro si osservano più persone trascorrere un certo periodo di tempo senza alcuna occupazione. Nel secondo caso, invece, il tasso di disoccupazione cresce perché i periodi di disoccupazione esistenti diventano relativamente più lunghi, portando in alcuni casi a fenomeni di disoccupazione di lungo periodo.
Entrambi i meccanismi giocano contemporaneamente un ruolo nel guidare le variazioni del tasso di disoccupazione; capire e misurare quale dei due sia il più rilevante risulta fondamentale per guidare le scelte di politiche pubbliche.
In particolare, se il tasso di disoccupazione aumenta, in media, principalmente a seguito di crescenti difficoltà che i disoccupati hanno a trovare un impiego, gli interventi pubblici nel mercato del lavoro dovrebbero essere preferibilmente orientati verso meccanismi che favoriscano le assunzioni, per esempio agevolando l’incontro di domanda e offerta di lavoro. Alternativamente, un ruolo dominante delle cessazioni dei rapporti lavorativi nel determinare le fluttuazioni del tasso di disoccupazione richiederebbe maggiori interventi sul fronte di politiche pubbliche orientate alla conservazione dei posti di lavoro esistenti – facendo leva per esempio sullo strumento della cassa integrazione – o verso politiche che favoriscano la mobilità tra diverse posizioni lavorative.
L'analisi dei dati Inps in un periodo significativo
La recente disponibilità di dati amministrativi sulle carriere dei lavoratori Italiani, forniti da INPS, ha reso possibile un’analisi del fenomeno anche nel nostro Paese*.
I risultati fanno riferimento al periodo 2005-2014, un arco temporale segnato da due diverse recessioni, durante il quale il tasso di disoccupazione ha subito importanti variazioni. Un’alta volatilità del tasso di disoccupazione è infatti un requisito fondamentale per poter misurare quale tra i due meccanismi menzionati sia quello dominante.
L’analisi estende la nozione di disoccupazione includendo anche coloro che non cercano attivamente un lavoro, benché interessati a trovare un’occupazione – in questa categoria troviamo per esempio i lavoratori scoraggiati, i quali non cercano attivamente un’occupazione perché ritengono troppo basse le possibilità di trovarne una.
L'andamento
I risultati mostrano come l’andamento del tasso di disoccupazione sia ampiamente trainato dalla probabilità di trovare un lavoro. Una percentuale compresa tra il 60 e il 70 percento di ogni variazione del tasso di disoccupazione è infatti dovuta a dinamiche relative alla probabilità di trovare un lavoro, e solo il rimanente 30-40 percento di ciascuna variazione è invece spiegata da persone che si separano dalla propria occupazione. Questi dati evidenziano come in Italia, durante i periodi di recessione, il 60-70 percento di ciascun aumento del tasso di disoccupazione è spiegato dal fatto che le persone senza un impiego hanno più difficoltà a trovarne uno, con un conseguente allungamento del tempo medio che trascorrono nella disoccupazione. Solo il 30-40 percento di ciascun aumento osservato nel tasso di disoccupazione è invece dovuto al fatto che più persone stanno perdendo il proprio impiego.
Questi contributi relativi alle variazioni del tasso di disoccupazione possono essere scomposti prendendo in considerazione le due principali forme contrattuali che caratterizzano il mercato del lavoro Italiano: i contratti di lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato. In media, dai risultati emerge come il contributo relativo delle due forme contrattuali sia simile.
In altri termini, il 60-70 per cento di ciascuna variazione del tasso di disoccupazione – la parte di variazione dovuta cioè alla probabilità di trovare un lavoro – può essere quindi approssimativamente scomposto in un 30-35 per cento dovuto a variazioni nella probabilità di trovare un impiego stabile, e in una simile percentuale dovuta invece a variazioni nella probabilità di trovare un lavoro a tempo determinato.
Le discrepanze
I risultati medi sull’intera economia nascondono però importanti divergenze tra lavoratori appartenenti a gruppi demografici diversi. In particolare, il grafico sotto mostra i contributi relativi che le probabilità di trovare e perdere un impiego stabile e un impiego a tempo determinato hanno nello spiegare le variazioni del tasso di disoccupazione, per diversi gruppi di età e nelle quattro macro-regioni geografiche. Emerge come il tasso di disoccupazione giovanile sia prevalentemente guidato dalla probabilità di trovare un impiego – in recessione, quindi, il tasso di disoccupazione giovanile aumenta principalmente a causa di periodi prolungati che i giovani trascorrono senza alcun impiego – e come per i più giovani i contratti di lavoro temporanei siano determinanti nello spiegare le variazioni del loro tasso di disoccupazione.
Per la categoria di lavoratori tra i 55 e i 64 anni di età, invece, il tasso di disoccupazione è guidato quasi interamente della probabilità di trovare o perdere un impego stabile. In particolare, per i più anziani, durante le recessioni la maggior parte degli aumenti nel tasso di disoccupazione sono dovute al fatto che più persone perdono un lavoro a tempo indeterminato. Prendendo in considerazione diverse regioni geografiche, emerge un ruolo più importante dei contratti a tempo indeterminato nel Sud del Paese, nel guidare le oscillazioni del tasso di disoccupazione.
L’analisi mette chiaramente in luce come in contesti caratterizzati da un alto tasso di disoccupazione risultino marginalmente efficaci gli interventi pubblici volti esclusivamente a garanzia dei lavoratori occupati – dalla cassa integrazione fino ad arrivare al blocco dei licenziamenti previsto durante gli anni di pandemia. Oltre il 60 percento delle oscillazioni del tasso di disoccupazione sono infatti dovute a variazioni della probabilità di trovare un impiego. A fronte di questi dati, risulta quindi necessario intervenire con politiche attive volte al veloce reinserimento dei lavoratori disoccupati.
Su questo fronte, molte delle proposte politiche di revisione del Reddito di Cittadinanza avanzate in questi giorni di campagna elettorale sono per esempio giustamente orientate al miglioramento dei meccanismi che facilitino l’incontro di domanda e offerta di lavoro, per i beneficiari della misura. Dal rafforzamento dei centri per l’impiego – anche tramite un intervento diretto del settore privato – alla trasformazione parziale del sussidio in uno sgravio fiscale per le imprese in caso di assunzione, queste proposte di miglioramento della misura sono senza dubbio auspicabili e urgenti.
* L’analisi scientifica è stata curata da Jérôme Adda (Bocconi), Ivan Lagrosa (CEMFI) e Antonella Trigari (Bocconi).
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