Lo dice in inglese perché suona meglio e appare anche più efficace: high tech and human touch. In queste quattro parole Luca Filippone, direttore generale di Reale Mutua, la più grande compagnia di assicurazioni in forma di mutua in Italia, con 4000 dipendenti e una raccolta premi che sfiora i 5,3 miliardi, riassume la filosofia di una compagnia che mette al centro l'uomo. E la regola vale fortemente per gli agenti. Filippone considera la rete di vendita il valore aggiunto di Reale Mutua. E lo sarà anche in futuro: il contatto diretto cioè il tocco umano abbinato alla tecnologia più evoluta. «D'altronde due dati confermano la tendenza – dice il manager torinese -: al tempo delle assicurazioni online due terzi dei contratti Danni sono ancora appannaggio degli agenti. Non solo: anche le piattaforme più luccicanti sono ricorse per alcune polizze a una rete di agenti e subagenti. Certo: bisogna mixare i due elementi. Così come sarebbe anacronistico non sfruttare il meglio che la tecnologia ci offre, compresa l'intelligenza artificiale, sarebbe poco accorto non comprendere il valore aggiunto che deriva dal contatto diretto. Il Covid ce l'ha dimostrato, riconoscendo nell’assicuratore la figura più vicina al cliente».

Dottor Filippone, come compagnia oltre agli agenti avete “sposato” anche un modello: quello mutualistico. Non è così?

«Quante volte ai tempi del full profit mi sono sentito ripetere che la mutualità era polverosa, vecchia, anacronistica. Tempi duri. Non sembrava esserci spazio per compagnie come la nostra che si basano sul principio dell'aiuto reciproco e dell’operare non per la sola massimizzazione del profitto. Cosi siamo rimaste in due, noi e Itas mentre in Francia, in Germania, nei Paesi Scandinavi buona parte del mercato delle assicurazioni si regge su questa formula. Ma i risultati ci hanno dato ragione. Anche dal punto di vista finanziario. Quest'anno abbiamo distribuito tra i nostri soci 8,5 milioni di benefici di mutualità frutto del bilancio 2022».

Poi cos'è successo?

«Una parola ha cambiato paradigma: sostenibilità. In altre parole, l'attenzione verso l'altro e verso il futuro. E gli altri ci hanno scoperto di colpo al passo coi tempi. Un modello. Per esempio abbiamo aderito ai "Principi per un'assicurazione sostenibile", un piano globale, promosso dalle Nazioni Unite, per supportare il settore assicurativo nello sviluppo di soluzioni che affrontino i rischi e le opportunità ambientali, sociali e di governance. Ed è diventato facile spiegare chi siamo anche ai giovani. Basta sostituire la parola mutua con società benefit (qualifica acquisita due anni fa), e il risultato è centrato. Il profitto equilibrato con la ricerca del bene comune è un nostro obiettivo da sempre. Così come mettere il cliente cioè il socio al centro. Noi non abbiamo azionisti, l'azienda si può dire è dei soci-clienti. E cosa sia il principio dell'aiuto reciproco lo abbiamo dimostrato durante il Covid».

In che modo?

«Abbiamo trasformato il nostro centro ricreativo in un hub vaccinale. Ancora oggi mi capita di incontrare gente che ricorda di essersi vaccinato da noi in corso Agnelli. Ma non solo: in quell'occasione abbiamo sfruttato il volontariato d'azienda per assistere le persone. L'Asl e Cdc fornivano il personale per vaccinare, ma c'era anche bisogno di qualcuno che si prendesse cura dei pazienti prima e dopo. In 400 hanno messo a disposizione una parte del loro tempo libero. Metà gliela abbiamo pagata come compagnia, l'altra metà volontariato puro, nel segno di una responsabilità condivisa. Ci si distingue anche così».

Il palazzo di corso Siccardi sede di Reale Group e Banca Reale

Risvolti che vi identificano come una società davvero capace di generare valore improntato a una sostenibilità autentica. Ma per confermare i buoni numeri dell'ultimo anno (un utile consolidato che ha sfiorato i 110 milioni, superiore alle attese) dovete saper stare sul mercato. Qual è la vostra strategia?

«Pianificare il futuro oggi è sempre più difficile. Per questo bisogna sapere essere flessibili, pronti a cambiare di fronte a un quadro di volatilità e confusione che regna non solo sui mercati. Però bisogna avere una vision. Immaginare dove si vuole essere tra dieci anni. Oggi è più essenziale di ieri proprio per fronteggiare questi repentini cambiamenti».

Qual è la vostra parola chiave?

«Direi diversificare. Puntando su tre direzioni. Innanzitutto il business assicurativo, che resta il core business con il fatturato diviso equamente tra auto, non auto e vita. Poi l'internazionalizzazione e i servizi».

Ecco sul fronte estero Reale Mutua ha allargato gli orizzonti, sbarcando in un mercato nuovo come quello greco. L'obiettivo?

«A luglio abbiamo firmato l'accordo per l'acquisito dalla famiglia Kaskarelis dell'80% del capitale sociale di "Ydrogios Insurance and Reinsurance" che opera nel ramo danni. Grazie a una presenza capillare e a un brand che gode di forte notorietà a livello nazionale ci è parsa la compagnia ideale per entrare nel mercato greco e dare così maggior forza al progetto di diversificazione geografica del business che è una delle nostre priorità. Siamo già da tempo presenti in Spagna e in Cile. Tutto insieme l'estero vale oggi il 20 per cento del fatturato. L'obiettivo è che arrivi a pesare per un terzo».

L'altra partita importante è quella dei servizi. Perché?

«Perché quello dei servizi è un ecosistema molto promettente. E dove noi possiamo contare su Blue assistance che da trent'anni è leader nell'assistenza alla persona e alla famiglia. Sfruttando questa compagnia del Gruppo miriamo a offrire servizi oltre che polizze. Innanzitutto nel campo della salute. Basti pensare che ogni anno gli italiani tirano fuori di tasca propria 40 miliardi per curarsi e solo il 10 per cento è coperto da forme assicurative. Si può fare di più. E non sono d'accordo con chi dice che la sanità privata uccida quella pubblica. Secondo me possono integrarsi bene con vantaggi per tutti. E garantendo un futuro a un sistema di cura universale e gratuito come quello italiano che ha pochi eguali al mondo. Ma noi possiamo dare una grossa mano».

In che modo?

«Per esempio evitando gli intasamenti dei pronto soccorso grazie a un servizio di telemedicina che funziona 24 ore su 24, sette giorni su sette. Tra l'altro con medici tutti abilitati a esercitare in Italia. Ma possiamo assicurare anche la consegna dei farmaci a casa o le prenotazioni per visite specialistiche. Possiamo davvero diventare una risposta alla desertificazione sanitaria nelle zone di montagna. Garantendo con la telemedicina quella prossimità che una volta offriva il medico di famiglia».

Tra le variabili che spesso condizionano i vostri programmi ci sono i cambiamenti climatici. Fenomeni con i quali l'Italia si misura spesso dando però l'impressione di affrontarli sempre solo nell'emergenza. Condivide?

«Come Ania, l'associazione delle compagnie di assicurazione di cui sono membro del comitato esecutivo, stiamo spingendo perché l'Italia non resti al palo. Serve un patto tra pubblico e privato per affrontare in modo adeguato queste emergenze. Adesso non lo facciamo: l'Emilia ce lo dimostra con i ritardi nel rimborso dei danni».

Ha un punto di riferimento?

«I modelli a cui ispirarsi sono tanti, per esempio le Cat Nat in Francia o il Consorcio  in Spagna. Quest'ultimo per esempio raccoglie una piccola percentuale di tutte le polizze sottoscritte nel Paese e usa questo fondo per fronteggiare eventi straordinari: dalle alluvioni alla siccità, ma anche episodi di terrorismo. Dando una garanzia: tempi certi per i risarcimenti. In Italia potremmo provare a lanciare una sorta di Consorcio sfruttando i fondi del Pnrr. Non costerebbe tantissimo. Ania continua a proporre soluzioni, il governo si è detto pronto a studiarle». 

Perché in Italia ci si assicura meno che all'estero?

«Forse perché siamo fatalisti. E c'è poca voglia di programmare il futuro, pensare in un'ottica di 20-25 anni magari rinunciando a qualche soldo in più adesso per coprirsi in prospettiva. Ma è una mentalità difficile da cambiare. Pensi che pur vantando in Europa il primato come proprietari di case, non le assicuriamo. Appena il 5% delle famiglie ha una polizza contro le catastrofi».

Quale futuro immagina per le assicurazioni?

«Non lo immagino disegnato solo a misura delle nuove generazioni. Dovremo essere attenti anche agli over 50. Che saranno sempre di più. Sono certo che in particolare il modello mutualistico ci aiuterà a conciliare le esigenze degli uni e degli altri e a far crescere l'importanza e il ruolo sociale dell'assicurazione nel nostro Paese».