New York.  La ricetta per partire dall’Italia e farcela negli Stati Uniti è più chiara dagli undici piani di altezza di un ottovolante o dagli schermi di un bar dello sport virtuale. L’idea, a quanto pare, è la stessa: prendere il meglio delle due culture per coniugare efficienza organizzativa, innovazione e creatività. 

Fabrizio Capobianco ha già applicato il metodo per creare due imprese nella Silicon Valley e non esclude di gettarsi ancora nella mischia, mentre medita di fondare un’università a distanza che sproni i talenti italiani a fare il salto verso l’imprenditoria a stelle e strisce. Alberto Zamperla è sbarcato giovanissimo in New Jersey da dove ha conquistato la Disney con le giostre di famiglia. E a chi gli chiede che cosa ha imparato in oltre 40 anni negli States risponde mescolando l’importanza dell’assistenza post-produzione, di cercare sempre il bello e di divertirsi. 

Due generazione oltre Atlantico

Pur dal punto di vista di due generazioni (50 anni il primo, 68 il secondo) e di due industrie diverse (internet e divertimento), i due imprenditori italiani hanno imparato la stessa lezione dal loro trapianto negli States. Gli americani sanno come vendersi, hanno i capitali, sono aperti al rischio, sono organizzati e rispettano le regole. Ma gli ingegneri italiani sono i migliori al mondo. «In Italia se sei giovane nessuno ti dà fiducia. Nella Silicon Valley se hai più di 40 anni i soldi non te li dà più nessuno», spiega il valtellinese Capobianco. Lui di dollari di venture capital ne ha raccolti oltre 35 milioni in California, dove è sbarcato da Pavia con un dottorato in ingegneria, scoprendo a sorpresa di conoscere Internet meglio di molti coetanei.

Dopo aver trovato un lavoro e un visto, ha fondato Funambol, che sviluppa soluzioni cloud su misura, e ha cominciato a fare Robin Hood: «Prendo i soldi qui e li porto in Italia», sorride. Funambol infatti ha capitale americano e quartier generale a Foster City, ma l’ingegneria è a Pavia, nel rispetto di quella che Capobianco chiama la teoria del pomodoro. «Se devi piantarne uno e puoi scegliere fra Campania a Norvegia dove vai? Per un’impresa di tecnologia in Silicon Valley ci sono i partner, i capitali e le aziende che ti comprano». Nel 2010 Capobianco ha fatto il bis: ha attinto dalla sua passione per il calcio per dare vita a Tok TV, una piattaforma che permette di commentare una partita a distanza insieme agli amici.

 

Fabrizio Capobianco

«La Juventus ha adottato la nostra piattaforma, poi Real Madrid e Barcellona. Siamo arrivati a 40 milioni di utenti», dice. Ancora una volta, la parte creativa del progetto è rimasta in Italia. «L’Italia è posizionata in modo straordinario per il lavoro tecnologico a distanza — spiega —: è un bel posto, con una bella cultura e una bella voglia di fare. Il mio impegno è di portarvi modi di fare business diversi, di creare aziende liquide come le mie». La chiave, per Capobianco, è valorizzare di più la nostra creatività: «Nessun ingegnere italiano vuole fare il programmatore perché è considerato un lavoro di basso livello. Invece negli Usa i lavori creativi sono ben pagati. In Italia, inoltre, i giovani si scontrano con chi dice loro che è inutile provare a mettersi in proprio. Io dico il contrario». In tanti gli hanno già creduto. Dal 2002, Funambol ha dato il via a tantissime startup, incubando programmatori che si sono buttati a fare qualcosa di loro.

Lo shock degli States

Anche Alberto Zamperla non si stanca mai di incoraggiare i giovani italiani a credere nel loro talento. Il giostraio alla testa dell’azienda vicentina che realizza il 95% dei suoi 120 milioni di euro di fatturato all’estero è arrivato in America a 24 anni ed è rimasto sconvolto dalla sfrontatezza con la quale gli americani esibiscono il loro successo. «Per me gli Usa sono stati uno shock — spiega —. Poi ho capito che non c’è nulla di male a mettere in mostra le proprie forze e i propri risultati. Se la gente vede che sei bravo, ha voglia di lavorare con te». La prova è arrivata abbastanza rapidamente. La Zamperla Incorporated ha preso il volo nel 1988 grazie a un contratto con i parchi dei divertimenti della Disney. E nel 2010 ha vinto l’appalto per ricostruire lo storico parco dei divertimenti di Coney Island, il Luna Park che ha dato il nome a tutti i Luna Park del mondo. «Sono cose belle, che parlano di una nazione senza favoritismi», sottolinea Zamperla, che pure ha sempre lasciato la parte creativa del business in Italia. «È indispensabile — dice —. Un mio ingegnere cercherà sempre di fare qualcosa che sia in armonia, che sia bello».

Alberto Zamperla

Le disuguaglianze dopo la campagna elettorale

Anche la sua capacità di trovare soluzioni, aggiunge, è ineguagliabile. «Siamo i maggiori fornitori di attrazioni della Disney, eppure hanno una divisione che costruisce giostre. Perché si rivolgono a noi? Perché risolviamo i loro problemi». Le disuguaglianze portate a galla dalla campagna elettorale statunitense gli fanno temere che oggi l’America non sia più la terra delle opportunità che ha trovato 40 anni fa.

Eppure, Zamperla resta convinto che il sistema di giustizia efficiente e l’organizzazione americane creano condizioni dove gli imprenditori italiani possono brillare: «Me ne accorgo quando passeggio per il centro di Vicenza e vedo che ogni casa ha finestre diverse: abbiamo un grande individualismo e senso del bello questo è un capitale che non scadrà mai. Io dico ai giovani, come ho detto ai miei figli più grandi, Antonio e Alessandro: studiate filosofia per sapere quello che succederà con l’intelligenza artificiale e per poter innovare. E fate qualcosa che vi piace. Guardi la mia famiglia: mio nonno era un saltimbanco e io sono un giostraio e amo far divertire la gente. Quando una nuova attrazione viene aperta al pubblico, vado sempre a controllare le facce di chi scende. Se sono felici, ho fatto bene il mio lavoro».