Dal boom economico all'Intelligenza artificiale. I sessant'anni di Expocasa – la fiera che ogni anno riunisce a Torino espositori e professionisti da tutta Italia per progettare la casa e immaginare il futuro come recita il claim di questa edizione al via il 30 settembre all'Oval sotto la regia di Gl events Italia – può essere l'occasione per raccontare anche com'è cambiata la casa in più di mezzo secolo. Dalla cultura pop e i colori audaci degli anni Sessanta, contrassegnati dall'uso poliedrico della plastica al design più semplice e minimalista degli anni Novanta. Fino ad arrivare all'uso di materiali sostenibili che contraddistinguono questo primo scorcio di nuovo millennio. Insomma, un cambio di pelle per uno dei motori dell'economia italiana: l'industria del mobile conta 26mila aziende, 125 mila occupati e un fatturato che quest'anno dovrebbe raggiungere i 32 miliardi. Con una spiccata vocazione all'export. L'architetto Davide Alaimo, insegnante di design e arredamento allo Ied di Torino e collezionista che ha fornito alcuni pezzi della mostra "60 anni di oggetti dell'abitare e di Expocasa", che racconta l'evoluzione del mondo domestico dal 1963 a oggi, può essere la persona giusta per raccontare la metamorfosi dell'arredamento. E i suoi componenti.

L'architetto Davide Alaimo

Ecco, architetto, in una virtuale top five degli oggetti, quali include tra gli indimenticabili?

«Di sicuro il sacco poltrona di Zanotta che Fantozzi ha contribuito a rendere popolare. E' stata progettata nel 1968 da tre architetti torinesi, Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro come idea di adattamento degli oggetti alle esigenze del corpo. Peraltro realizzato nella versione originale con materiali semplici: un pezzo di stoffa e pallini di polistirolo. A ruota, sempre nel filone delle sedute, metterei il pratone che ha davvero segnato un'epoca nella storia del design tanto che lo si ritrova esposto in diversi musei, dal Mart di Rovereto al Plat di Napoli al Museo del design di Milano. L'hanno ideato nel 1971 Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso. E a produrla è stata l'azienda torinese Gufram, la stessa che un anno dopo ha prodotto l'appendiabiti a forma di cactus disegnato da Guido Drocco e Franco Mello».

La poltrona sacco diventata famosa grazie anche al ragionier Fracchia ideato e interpretato da Paolo Villaggio

Chi altro merita spazio in questa insolita galleria?

«Senza dubbio due opere che si sono aggiudicate il Compasso d'oro che è l'Oscar del design. Innanzitutto Delfina, la sedia progettata da Giuseppe Raimondi, a lungo direttore creativo della Gufram. Oggi la si trova esposta al museo Victoria e Albert di Londra. Dall'87 è diventata una sorta di must nelle sale da pranzo italiane. E poi la piastra elettrica dei fratelli Adriano, premiata, l'anno scorso, che rappresenta un innovativo elemento cottura con due piastre, flessibile e salvaspazio, che si appende alla parete».

Cos'è cambiato in questi 60 anni?

«Mi verrebbe da dire tutto. Ma inizierei ricordando che proprio a Torino c'è stata nel 1946 un'esposizione che è diventata il modello cui hanno attinto poi tutti gli eventi legati al mobile, compreso il Salone di Milano. Si chiamava "Il mobile standard" e puntava con l'aiuto degli architetti a immaginare la ricostruzione delle case dopo la guerra. Una sola edizione, ma di grande successo. In quell'occasione nacque il mobile moderno, funzionale. Adattabile a qualsiasi standard».

Cos'altro è cambiato?

«Di sicuro è cambiato il modo di vendere mobili. Expocasa, che all'inizio si chiamava "Salone internazionale delle arti domestiche" è stata per anni una vetrina importante dell'artigianato. I mobili venivano fatti a mano ed emergeva l'abilità dei falegnami. Diciamo che si potevano distinguere tre categorie. Il superlusso dove chi disponeva di molte possibilità economiche si faceva disegnare i mobili da un architetto e un maestro ebanista li realizzava. Poi c'era il bravo mobiliere con ufficio tecnico che realizzava mobili su misura e, ultimo ma non meno importante, il rivenditore di camere da letto e sale da pranzo già pronte».

Poi cos'è successo?

«Negli anni Settanta c'è stata la stagione dei mobili prodotti in serie che venivano ospitati in grandi magazzini. Soprattutto nelle periferie delle città c'erano queste fabbriche dell'arredo, negozi sterminati. Gli anni di Aizzone per ricordare uno dei mobilifici più conosciuti grazie agli spot tv. Oggi anche quel mondo è del tutto archiviato. I negozi si sono ridimensionati e trasformati, c sono i flag store e gli e-commerce. Soprattutto gli arredi si scelgono sul catalogo e non più girando tra gli allestimenti di un negozio. La casa viene costruita con l'assistenza di un interior designer al computer: tutto molto virtuale. In questo Expocasa rappresenta un'eccezione, l'occasione per vedere dal vivo, fisicamente le ultime novità nel campo dell'arredamento».

Quanto il Covid ha inciso sulla casa?

«Direi che ha contribuito a una riscoperta. La casa nel nuovo millennio aveva perso il ruolo centrale di un tempo. L'abitudine di ricevere in casa era diventata una moda sorpassata, ci si ritrovava fuori. Così si è finito per trascurarla un po'. Ce ne siamo resi conto quando la pandemia ci ha costretti a convivere a lungo tra le pareti domestiche. E così è nata la voglia di ripensare lo spazio, anche in chiave smart working e migliorare le cose. In altre parole di riappropriarci della casa».