Il tempo sociale è sempre una cosa bizzarra, ma oggi ci viene chiesto di imparare a vivere in un tempo ancora più incomprensibile di altri. In questo momento storico i processi nei diversi settori della società moderna hanno assunto direzioni e velocità estremamente diverse: questa disarmonia è caratterizzata da un proprio ordine temporale e da una propria topografia. Che il progresso segua percorsi temporali oscillanti e non lineari e che i processi di modernizzazione e demodernizzazione si dispieghino anche nello spazio sono eventi concomitanti. La modernità è diventata un tempo che Shakespeare avrebbe chiamato «out of joint».
Lo sviluppo della modernità prende forma dalla coesistenza tra la realtà in divenire e la pratica dell'auto-riflessione permanente, che interagiscono costantemente senza tuttavia fondersi mai. Il mondo moderno è davvero, come diceva Wittgenstein «tutto ciò che accade». Si manifesta sia come uno stato materiale, sia come un ordine immaginario. Nei tempi moderni, il caos incessante delle trasformazioni materiali viene sempre immaginato e reimmaginato come uno sviluppo, un lume nel buio e un progresso ordinante.
Lo sguardo del cambiamento
Alla base dell’idea di progresso c’è l’immaginazione del cambiamento e del volto che questo deve assumere: un percorso di miglioramento o un percorso di declino. Il miglioramento significa maggior ordine, maggior ragione e maggior perfezionamento dell’esistenza umana, mentre il declino si manifesta come la sua interruzione, il suo rallentamento e il suo peggioramento.
Nella modernità, le trasformazioni materiali producono i cambiamenti delle idee, e i pensieri moderni trasformano le condizioni materiali e sociali. Ecco perché nell’epoca moderna è così importante l’intricato legame tra pensiero e pratica. Sapere aude, il concetto principale dell'illuminismo, esorta ad avere il «coraggio di servirsi della propria intelligenza» e spinge verso un agire ponderato.
I due stadi della storia
È per questa ragione che il pensiero della modernità fa costantemente appello a se stesso, alla sua esperienza e alla sua storia. In fondo, il pensiero della modernità è basato sulla visione della très longue durée. Nell’immaginario moderno, tutta la storia umana si divide in due stadi.
Il primo è l’età arcaica: in questo periodo non ci sono l’individuo e la società. Esiste invece l’individualità delle collettività arcaiche: la tribù, il clan e la famiglia. L’ordine comune è fondato su una tradizione inalterabile che vincola le esistenze dei vivi e dei morti. Indipendentemente dalla crisi attraversata dalla comunità arcaica, il «cristallo della tradizione» ha resistito per millenni alla pressione del caos. Zygmunt Bauman usa questa metafora per riferirsi alla tradizione, perché la struttura del cristallo è assoluta, solida e quasi permanente. I cambiamenti non sono possibili, e l’eroe è colui che è disposto a morire per ripristinare la tradizione quando qualcosa ne mette a repentaglio l’esistenza. Il principio fondante di questa età è la consuetudine, la norma basata sull’esistenza di un precedente: l'ordine giusto delle cose è identificato con il passato e con il mantenimento dello status quo.
Dentro la modernità
La seconda fase della storia umana coincide con la modernità. È l’età in cui ci si immagina che regni la ragione, dove esistono gli individui e la società e dove il progresso avanza. E con questo immaginario, la solidità della tradizione non funziona più: la modernità è guidata dall'innovazione e dalla creatività umana. Colombo, Gutenberg, Cartesio, Lutero e Newton sono i nuovi eroi: irriverenti, sognatori razionali e creatori distruttivi. Distruttivi per la tradizione, e creativi per le nuove forme di vita: vita sociale, tecnologica, politica, economica e individuale.
Nella modernità, il progresso si identifica con il processo della modernizzazione della cultura, della società e dell’individuo. Dall’età di Colombo e Gutenberg ad oggi, la modernizzazione si è diffusa, con la scienza e l’educazione, attraverso le rivoluzioni politiche e tecnologiche, con il progresso scientifico e sociale, con i mass media e le reti bancarie, in tutto il pianeta, raggiungendo, sebbene in forme e modi diversi, sia le grandi società, sia le piccole comunità.
La modernità ha raggiunto il suo culmine nel XX secolo, quando la sfera privata e quella pubblica si sono nettamente separate; quando lo Stato è diventato un sistema permanente e onnipresente; quando l’industrialismo è diventato il principio basilare dell’organizzazione della vita sociale, politica e economica; quando la scienza ha cominciato a determinare la durata della vita e il comfort quotidiano. È innegabile, da questo punto di vista, che, in tutta la storia dell’umanità, la modernità è l’epoca in cui la popolazione ha cominciato a vivere più a lungo, in modo più confortevole, più civile e con più possibilità di scelta.
Il progresso è una minaccia?
Tuttavia, se spingiamo il nostro sguardo più in profondità, è facile vedere che il progresso moderno non è stato così omogeneamente positivo. Più che un percorso lineare, l’avanzare della modernità è un incessante alternarsi di conquiste e fallimenti, dove per ogni nuovo bene acquisito c’è quasi sempre un prezzo da pagare. Il progresso ha portato i diritti umani e la guerra totale, la sanità pubblica e l'inquinamento globale, la democrazia sociale e il totalitarismo, lo sviluppo scientifico e il disincanto del mondo. L’illuminismo ha portato non solo il lume, ma anche le tenebre.
Ci sono volute generazioni, da Kant e Rousseau ad Horkheimer e Habermas, prima che, nell'immaginario moderno, si facessero strada delle teorie che prendessero in esame i pericoli del progresso. All'inizio, sembrava che la modernità fosse il frutto “positivo” di una sintesi, che a trainarne l’evoluzione fosse la contraddizione tra il progresso e la reazione, l’illuminismo e l’oscurantismo, le rivoluzioni progressiste e quelle conservatrici. Ma le due guerre mondiali hanno dimostrato che il progresso stesso può essere una minaccia per la vita umana. Perché il progresso si è manifestato anche nelle armi di distruzione di massa, nei campi di concentramento e nei Gulag, nei sistemi di tracciamento della popolazione e nel controllo politico della scienza e degli scienziati. La tragica esperienza del XX secolo ha cambiato l’immaginario della modernità e il linguaggio della sua autorappresentazione. Filosofi e sociologi come Weber, Horkheimer e Habermas hanno parlato della “disumanizzazione” (Entmenschlichung) che si verifica con l’aumento della razionalità, dell’eclisse della ragione e della colonizzazione del “mondo della vita” (Lebenswelt) da parte della razionalità e delle forze di mercato.
La reazione alla modernità
Il linguaggio e l’immaginario della ‘reazione alla modernità’ hanno acquistato nuova forza tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. L'esperienza del socialismo autoritario, del capitalismo consumistico, della globalizzazione neoliberale e dei disastri ecologici causati dall'uomo ha posto una sfida enorme per l'immaginazione e la materialità moderna. Le teorie del postmoderno, dell’agire comunicativo e della modernità multipla nascono come risposta a quella sfida e a quella esperienza.
In particolare, la teoria del postmoderno ha provato a creare un’alternativa, immaginaria e pratica, alle grandi narrazioni monodimensionali, soggettivo-razionali e fallologocentriche che sono proprie della modernità e della metafisica occidentale. La teoria habermasiana dell’agire comunicativo ha proposto un’altra versione della pratica moderna: si basa sulla dinamica che porta ad un consenso, il cui scopo non è il dominio dell’altro, ma la ricerca reciproca della verità. E infine, la teoria della modernità multipla ha cercato di trovare una sintesi tra la modernità occidentale e il suo programma solo apparentemente ‘universale’ e le sue peculiarità nazionali e regionali, soprattutto per quanto riguarda le sue manifestazioni in popoli diversi da quelli occidentali.
Il ripensamento
Questi tre approcci critici gettano le fondamenta per un ripensamento globale della modernità – un progetto “incompiuto”, come la definì Habermas – e fanno sperare che non sia ancora giunto il momento di decretarne la fine. La modernità, infatti, non smette mai di stupire, e lo fa nonostante la ricchezza di pratiche e idee alternative che caratterizzano la nostra epoca.
Oggi, sono sempre di più gli studiosi – filosofi, storici, economisti, giuristi, sociologi, e politologi – che hanno cominciato a descrivere un altro tipo di “progresso interrotto”.
Il percorso inverso
Stiamo parlando della demodernizzazione, di un processo di abbandono delle conquiste della modernità nel tentativo di risalire alle sue fasi precedenti. Si tratta di un percorso inverso rispetto alla modernità, che può nascere come reazione alla modernità, ma può essere anche il risultato di un adattamento a diversi fattori politici, economici e sociali.
Questo “percorso inverso” infatti ha luogo in diverse società: nelle ex-metropoli o nelle colonie imperiali, nelle vecchie democrazie o nelle autocrazie sopravvissute ai cambi di regime, nelle società capitaliste o in quelle (post)socialiste. A una modernità multipla corrisponde, in una maniera in un certo senso speculare, una “demodernizzazione multipla”.
Ci sono domande tutt’altro banali a cui rispondere. Che cosa succede alle persone, alle comunità e alle società quando, per esempio, un governo iper-moderno collabora con i capi tribù per minare le elezioni democratiche? Che succede a una società che, dopo un esperimento socialista fallito, cerca di inventare la democrazia, lo Stato nazionale e il libero mercato su modelli neoliberali? Come fa la natura a tornare nelle città post-industriali? E ancora, in che modo la guerra delle democrazie illuminate contro i dittatori laici riporta la società moderna al tribalismo e alla religiosità arcaica?
L’età moderna non smette davvero di meravigliarci.
Questo contributo di Mikhail Minakov è l’introduzione all’edizione italiana del volume “Demodernizzazione. Un futuro nel passato”, a cura di Mikhail Minakov e Yakov M. Rabkin, Ledizioni, 2021. Il libro raccoglie i contributi di un gruppo di studiosi internazionali chiamati a riflettere sulla diversità dei processi di demodernizzazione.
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