Studio il rapporto tra etica e web. In questo tempo inatteso - tra le polemiche su Donald Trump escluso dai social media e lo tsunami del Coronavirus - credo sia importante condividere conoscenze, idee ed istruzioni sulla nostra morte. Un tema da affrontare con serenità civile. Ma come?
La nostra morte è un evento certo, ma ne possiamo fare un atto significativo di trasmissione di valori. Cioè un momento esemplare per l’esercizio di diritti antichi, di diritti nuovi ed appena emergenti quali quello alla eredità digitale. Per chi ha vissuto difendendo i valori civili è una nuova opportunità per dare un esempio. Questa non è una buona notizia?
Il trasferimento della ricchezza
Ogni anno, in Italia, muoiono circa 650mila persone (che saranno il 10% in più circa, causa Covid). In media, comunque, decede poco più di una persona ogni cento abitanti. Considerando che gli italiani hanno una ricchezza (tra immobiliare e mobiliare finanziaria) di 10mila miliardi, si avrebbe un trasferimento di 100 miliardi ogni anno. Insomma: 150 mila euro/per deceduto in media, il che dà una bella idea della disuguaglianza. Ma il rapporto tra il capitale trasferendo e il bacino ricevente sta aumentando per una duplice ragione: i morituri attuali, nati dopo gli anni 30 del secolo scorso, non hanno subito perdite economiche causa guerre, per cui il numeratore cresce; il calo demografico riduce il bacino ricevente, cosicché il denominatore si riduce.
Non si può poi non osservare infine che: i riceventi sono spesso adulti in età compresa tra i 50 e i 60 anni, cioè in età post-primo lavoro e primi figli; i donatori sono e saranno sempre più spesso parenti lontani.
Le medie sono solo indicatori. La realtà è ancora meno giusta.
In breve: la pera demografica su cui si è accasciata la pre-esistente piramide già obesa, con le “zie d’America” senza figli, sono causa del fatto che in media i pochi riceveranno molto, da parenti lontani, in tarda età.
Questo deve farci pensare. Noi nati nel dopoguerra abbiamo l’occasione ideale per fare qualcosa di buono e significativo.
D’altra parte, sia detto con benevola ironia, soprattutto nei confronti dei fratelli maggiori veri 68ini: abbiamo occupato le scene da ventenni incazzati, poi da quarantenni da bere, e ora da nonni “adulescenti” vorremo mica lasciare il palcoscenico senza fare casino?
Ecco le istruzioni per tutti noi.
- In primo luogo, mentre siamo in vita dovremmo pensare che è meglio lasciare qualcosa ai figli quando ne hanno più bisogno: tra i 20 e i 30 anni, nel momento in cui si incamminano oppure in modo che si incamminino verso una vita indipendente. Io ho avuto la ventura di ereditare dal babbo a 30 anni, e quella è stata la mia opportunità di investire in ciò in cui credevo. L’eredità di mamma, ricevuta dopo i 60, non mi è servita a molto. E ho capito che era una ottima idea passarla appunto ai figli 30enni.
- In secondo luogo: è importante che agli eredi, soprattutto se figli, non lasciamo troppo, e soprattutto non lasciamo due, o addirittura tre case. Lasciamo un esempio su cui riflettere, su cui pensare: doniamo le seconde e terze case a organizzazioni umanitarie perché ne siano fatte bende e matite, ridistribuendo oneri e valori – sia economici sia culturali – secondo miglior giustizia.
- In terzo luogo, badiamo al nostro patrimonio digitale. Come per gli organi ed il resto, questo avrà valore se destinato e manutenuto bene: fotografie professionali e opere d’ingegno, cripto valute e ciò che ha valore economico vanno in asse ereditario e in successione. Il resto può e deve essere destinato. Le mie raccomandazioni: manteniamo un inventario aggiornato e possibilmente dis-iscriviamoci da tutto il possibile mentre siamo in vita, riconquistando tempo che vale sempre di più, riducendo il nostro impatto ambientale digitale.
- Agli amici e ai colleghi di lavoro lasciamo una selezione (sì, solo qualcosa, cerchiamo di essere cortesi) di ricordi e di memorie. A un esecutore testamentario diamo il compito di cancellare segreti e tracce che sono nostre e devono venire via con noi.
- Il resto sia consegnato all’oblìo. Oppure doniamo alla ricerca di antropologi e altri studiosi di bestie umane i profili social, le tracce più varie, la polvere digitale da cui non siamo certo nati, ma che rischiamo di lasciare per sempre su questo mondo, sporcandolo.
Viviamo e andiamo via leggeri, facciamo il nostro decluttering materiale e digitale. Il mondo e chi ci segue ce ne sarà molto grato. E ci perdonerà il protagonismo immarcescibile da 68ini.
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