Giustamente si parla molto del flusso di risorse che attraverso il  Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sta arrivando in Italia, interessando comuni, regioni, enti pubblici, imprese. Da più parti si sollevano dubbi sulla capacità del nostro Paese di ricevere e utilizzare in modo efficiente un tale, insolito, flusso di denaro. Una enorme quantità di risorse è destinata a comuni, regioni, enti e da più parti si sollevano dubbi circa la loro capacità di concludere i progetti previsti nei tempi stretti previsti. Tali perplessità sono spesso condivisibili ma speriamo tutti che vengano smentite.

Molto si è scritto su questi aspetti. Io desidero qui concentrarmi sugli effetti delle risorse, anche qui di dimensione inusuale, riservate alla ricerca. Era ora, verrebbe da dire, in un Paese che destina alla ricerca risorse ben inferiori alla media europea. In effetti, grazie al Pnrr, Università e centri di ricerca sono i destinatari, nell’ambito della Missione 4, Istruzione e ricerca, Componente 2 di  quattro tipologie di interventi:

  1. partenariati estesi;
  2. centri nazionali;
  3. ecosistemi dell’innovazione;
  4. infrastrutture di ricerca e innovazione.

Con modalità diverse, questi interventi intendono incentivare al massimo la collaborazione tra pubblico e privato, ancora complicata, salvo eccezioni, nel nostro Paese, favorendo anche lo sviluppo di start-up che possano coinvolgere giovani laureati e dottori di ricerca.

Quali sono le criticità di un sistema

Quali sono le criticità in un sistema che, per sua natura, dovrebbe essere più attrezzato in ambito progettuale? Anche in questo caso ci sono difficoltà, legate alla necessità di espletare, in tempi rapidi, concorsi, bandi e appalti, indispensabili per reclutare il personale necessario per svolgere i progetti e acquisire le strumentazioni previste che, spesso, per il loro valore, richiedono procedure complesse. Si spera che la pressione esercitata dalla necessità di non perdere risorse importanti spinga il nostro sistema, complicato e lento di sua natura, a alleggerire un po’ la burocrazia che, contrariamente a quanto dovrebbe essere, negli ultimi anni è aumentata.

Un aspetto critico è anche la carenza di bravi project manager. Una attenzione esasperata a moltiplicare il numero delle cattedre, spesso, purtroppo, non pensando agli studenti ma soprattutto alle carriere dei docenti, ha portato negli anni a trascurare l’importanza della componente tecnico-amministrativa delle nostre università. Senza personale aggiornato, con competenze nuove, con stipendi competitivi con quelli di figure analoghe nel settore privato, non si preparano né gestiscono grandi progetti.

Purtroppo, il sistema della ricerca pubblica non ha sufficientemente investito nella formazione di bravi project manager, capaci di unire alle competenze tecniche quelle gestionali. Eppure sarebbero bastati percorsi speciali nei corsi di dottorato per prepararne di ottimi, con competenze settoriali specifiche. Purtroppo una visione ristretta dei percorsi di dottorato ha fatto perdere tempo utile. Speriamo che questa esperienza faccia recuperare il tempo perduto.

 

Occasione per recuperare il tempo perduto

Peraltro, i numeri spesso ridotti di aspiranti ai posti di dottorato e di ricercatori di tipo A banditi, ci fa capire la perdita di attrattività del sistema. Per finire, mi preme evidenziare ancora alcuni aspetti. Il primo è legato all’importanza di utilizzare le risorse del Pnrr,  che hanno un carattere del tutto straordinario, a migliorare le infrastrutture della ricerca, spesso obsolete, fornendo ai nostri ricercatori gli strumenti per essere più attrezzati per accedere a progetti competitivi, quali quelli europei.

Guai se i fondi del Pnrr, una volta acquisiti, venissero gestiti secondo le italiche dinamiche dei finanziamenti a pioggia, con equa distribuzione delle fettine di torta. Ancora peggio, per il futuro della nostra ricerca, sarebbe se la disponibilità di queste risorse straordinarie dovesse “drogare” i nostri ricercatori, addormentandoli e distogliendoli dalla preparazione di progetti europei che devono continuare a rappresentare il vero obiettivo.

Solo nell’ambito di grossi consorzi internazionali, infatti, si può crescere, imparare, migliorare. Molto presto capiremo, acquisendo e analizzando i dati definitivi sulla presentazione di progetti alle ultime call del Programma Horizon Europe, se i nostri ricercatori, soprattutto i giovani, abbiano scelto di vivacchiare o di crescere.