1. È l'uomo che Vladimir Putin teme di più, o almeno così dicono. Il suo nome non può venire pronunciato sui canali tv nazionali, se non in un contesto in cui lo si mostra sotto processo, o arrestato, pena la censura immediata del programma.
Metà dei russi ignora la sua esistenza. Dell'altra metà, molti sono convinti che Basti mostrarlo in tv per un mese per fargli vincere qualunque elezione a suffragio universale, mentre in tanti lo temono come una scommessa alla cieca che nasconde lati d'ombra più pericolosi del regime che combatte.
Su una cosa concordano tutti: Alexei Navalny è il personaggio più carismatico emerso dall'improvvisa protesta esplosa contro Putin dopo le elezioni alla Duma e la scoperta dei brogli, e da allora mai sopita nelle piazze di Mosca e nei social network. In una opposizione eterogenea e magmatica formalmente non esistono leader o candidati alla leadership, ma la posizione del trentacinquenne blogger è quella di un primus inter pares, e – in attesa delle primarie da svolgere un giorno a condizioni ancora da definire – di lui si parla come del futuro presidente della Russia, un po' per scherzo e molto sul serio.
2. A vederlo elettrizzare la piazza durante i comizi a Mosca, il ruolo dell'idolo della folla gli sembra cucito addosso alla perfezione. Giovane, alto, biondo, belloccio, con una “bella faccia russa” come recitavano i manualini della propaganda sovietica, che si presta bene ai manifesti e alle t-shirt, una moglie carina ma non troppo, due bei bambini biondi, una Toyota berlina e un bilocale alla estrema periferia di Mosca che tutti hanno visto nella recente perquisizione durante la quale la polizia per tredici ore ha messo sottosopra i mobili dozzinali e i libri dei bambini.
Sul palco è incisivo, qualche volta aggressivo, e i suoi slogan diventano immediatamente tormentoni nel mondo virtuale e reale. Nella vita quotidiana è pacato, preciso, ironico e autoironico, attento, tranquillo e tranquillizzante, totalmente privo di comportamenti da diva. Si fa fotografare con tutte le fan e si siede nella notte per terra in una piazza per spiegare pazientemente ai suoi sostenitori e rispondere con dovizia di particolari ai suoi detrattori. Si fa arrestare, sempre più spesso, e dal suo primo fermo, il 5 dicembre scorso, a oggi, il numero dei suoi seguaci su Twitter è quadruplicato, raggiungendo i duecentomila.
3. La piazza e internet sembrano le due dimensioni naturali di questo nuovo animale politico, spuntato fuori dal blog. è un personaggio molto atipico nel mondo dell'opposizione russa: non è un intellettuale (ha una laurea economica e una in legge, ha una licenza da avvocato), non è un ex esponente dell'élite politica o economica, non appartiene a cordate politiche o oligarchiche, non ha un passato “sovietico” né nostalgie particolari, ai dibattiti ideologici preferisce di gran lunga l'organizzazione di progetti concreti, come la serie di sue Ong che monitorano i fatti di corruzione grazie alle segnalazioni degli utenti Internet e le indagano grazie a un gruppo di legali.
Si è partiti da Rospil, dedicata agli appalti statali e che reclama di avere restituito alle casse dello Stato miliardi di rubli; si è proseguito con Rosyama, focalizzata sulle dissestate strade russe; poi Rosvybory, sul monitoraggio dei brogli elettorali; ora Rosuznik, assistenza ai prigionieri politici, tutti unificati sotto l'egida della Fondazione per la lotta alla corruzione, che sta anche per dotarsi di una sua carta di credito che, sul modello di Red di Bono, dovrebbe devolvere una percentuale dagli acquisti dei clienti alla sfida al regime.
E poi c'è la Macchina buona della propaganda, anche lei ovviamente dotata di una suo sito, dal quale pescare istruzioni, modelli di volantini, filmati, da diffondere con i metodi virali di internet anche nel mondo reale, grazie a un esercito di militanti atomizzati che decidono ciascuno automamente il grado e la modalità del proprio impegno.
4. Una macchina nata su internet e per quelli che abitano su internet, che intenzionalmente non si rivolge a un'utenza concreta. Il programma politico è estremamente vago e i migliori intervistatori non sono riusciti a capire cosa pensi Navalny dell'economia o delle relazioni internazionali.
La sua opposizione non è politica, ma morale: nasce come un fustigatore della corruzione e lo slogan coniato da lui su Russia Unita “partito dei ladri e dei cialtroni” è diventato un must della campagna elettorale 2011-2012, superando di gran lunga i confini di internet. Per dirla in termini italiani, le sue rivendicazioni sono anti-casta e finora si è rifiutato categoricamente di fondare un partito e dare forma alle sue idee, mentre invita nella sua rete di oppositori chiunque, “da quelli che odiano Putin perché ci ha venduto agli occidentali a quelli che lo criticano perché ha rovinato le relazioni con gli occidentali”. Circostanza che spaventa molti analisti e potenziali elettori, complice anche una certa simpatia di Navalny per i nazionalisti russi, e il timore che diventi – come lo chiamano ironicamente molti suoi sostenitori – “un simpatico fuhrer”.
L'incubo del nazionalismo xenofobo, dopo il nazionalismo “moderato” di Putin, è sempre presente nei timori dell'intellighenzia liberale russa. Ma anche qui Navalny appare atipico: le sue prediche sulla necessità di controllare l'immigrazione clandestina e di far accettare ai migranti dell'ex Urss, soprattutto musulmani, i valori della maggioranza, non appare tanto colorata di retoriche razziste quanto ispirata a un'idea di Stato nazionale che in Russia appare inedita quanto appare superata ai liberal europei. E non è un caso che gli americani, molto meno soggetti al multiculturalismo, non se ne siano fatti minimamente spaventare, invitando il giovane blogger a un corso per i “leader del domani” a Princeton, circostanza che è valsa a Navalny l'accusa del Cremlino di essere al soldo di Hillary Clinton.
5. Insomma, un “leader 2.0”, che usa un linguaggio accessibile, si espone in prima persona, rifugge l'ideologia e le etichette anteponendo ad esse la morale e il mito dell'organizzazione. Nella quale senz'altro eccelle: dopo le grandi retate per la cerimonia dell'investitura di Putin, è riuscito con poche parole e regole chiare a trasformare gli sparuti avanzi dei manifestanti nei campi Occupy che hanno funzionato secondo i comandamenti di Navalny anche durante la sua permanenza dietro le sbarre. Senza contare la sua marcata decentralizzazione orizzontale: “un bottone off verrà premuto, un leader verrà arrestato, non ci deve essere un centro di coordinamento, la Macchina non è di nessuno, è di tutti”.
Un po' Obama e un po' Grillo, da collocare però con attenzione nel contesto di un regime autoritario, e di una confusione ideologica post-sovietica, dove la vita politica e parlamentare non è mai stata strutturata e dove – come già accaduto in altre realtà di regimi, dall'Est Europa all'Asia – in assenza di partiti veri e spazi parlamentari si creano ampie coalizioni tenute insieme dalla contestazione morale del governo, e dall'obiettivo comune di creare un ambiente più favorevole.
E dietro c'è una scuola politica di tutto rispetto: contrariamente alla maggioranza degli oppositori russi, Alexei Navalny è un politico di professione, con alle spalle una lunga gavetta nello Yabloko di Grigory Yavlinsky, il partito liberale più strutturato della Russia post-comunista, e una rete di sostenitori illustri tra i big dell'economia russa che – a condizione di rendere pubblica la loro donazione – finanziano i suoi progetti anti-corruzione accanto a migliaia di micro-donazioni da internet. L'alleanza con il grande e medio business si sta anche manifestando nelle crociate che, in qualità di avvocato degli azionisti minoritari, Navalny ha ingaggiato contro alcune major petrolifere vicine al Cremlino, e nel tentativo – per ora bloccato dal governo – di farlo rientrare nei cda di alcune grosse aziende.
In questo momento il suo destino potrebbe essere quello di un Grillo, o – se Putin decidesse per un giro di vite finale – di una Aung Sang Su Kyi.
Ma potrebbe anche essere quello di un Walesa russo, e in molti sembrano scommettere su questa opzione. Navalny è stato l'unico tra gli oppositori russi a venire convocato a una riunione di banche d'investimento, ansione di farsi rassicurare sulle sue idee nell'ipotesi di un regime change improvviso e rovinoso.
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