La Siria è da sempre la rappresentazione più articolata e genuina del Medioriente. Per capirla non è possibile procedere per “aut-aut”, elaborando modelli ermeneutici che progressivamente si escludono per confluire verso una soluzione univoca del problema. La Siria è un affastellarsi di “et-et”. Una sfaccettatura della sua identità non esclude l’altra, anche se all’apparenza l’una è l’opposto dell’altra.
In quello che segue cercheremo di fornire degli scenari proprio partendo da alcuni degli “et-et” più evidenti.
1. Partiamo da una prima dicotomia apparente. Se una guerra non finisce è perché o non si è ancora raggiunto l’obiettivo strategico, o perché l’obiettivo strategico è non farla finire. Ma in Siria i due sembrano convivere. Pur con tutte le sue atrocità, lo scontro tra lealisti e ribelli sembra non essersi ancora sfogato del tutto. Pare che il livello di disumanità possa aumentare. Forse perché nessuno vuole mettervi un freno. Quella che due anni fa si chiamava “primavera araba” resta una rivoluzione itinerante. Dove andrebbe a infrangersi l’onda delle rivolte se le armi dovessero tacere in Siria? In Giordania? E poi nel Golfo? Ovvero dove gli interessi economici globali – non solo dell’Occidente – sono più concreti.
Allo stesso modo, se credessimo di scorgere nei recenti raid dell’aviazione israeliana in territorio siriano un’eloquente dichiarazione di guerra contro l’agonizzante regime di Bashar el-Assad potremmo incorrere in un errore. In Siria diversi obiettivi strategici possono convivere senza che si giunga a una soluzione definita. Ogni fazione in gioco persegue i suoi.
Da un lato Damasco è la capitale della dittatura dalla famiglia Assad. Un sistema di potere mellifluo, ma al tempo stesso laico, di matrice occidentale e pronto a dar voce a tutte le istanze confessionali ed etniche che compongono l’identità nazionale siriana. Dall’altro la città è la cabina di regia delle agenzie di intelligence più doppiogiochiste del Medioriente. Ma Damasco è anche la città più antica del mondo, crocevia di culture, tradizioni ed epicentro di messaggi corali per la pace, come è avvenuto quando Giovanni Paolo II visitò l a capitale siriana nel 2001.
Ma cosa c’è sul tavolo? Qual è la posta in gioco? Dopo due anni di massacri da ambo le parti (oltre 70mila morti, fonte Onu), e l’irrimediabile compromissione di un patrimonio storico-archeologico di inestimabile valore, una prima risposta potrebbe essere che ormai il mondo si è giocato tutto.
L’intervento israeliano ha fatto tremare i polsi alle cancellerie di tutto il mondo. Per un istante è sembrato che la Siria fosse prossima a trasformarsi nella Armageddon del Medioriente. Tecnicamente, a una provocazione di Israele contro Damasco e contro le milizie libanesi di Hezbollah, dovrebbe seguire una reazione da parte dell’Iran. Questa tuttavia non si è ancora fatta concreta. Perché? È possibile che i nemici di Israele abbiano preferito non raccogliere il guanto di sfida. Può essere che lo facciano in un futuro prossimo. Può anche darsi che il governo Netanyahu abbia calcolato alla precisione chi, quando e dove colpire. Al punto che le vittime del raid non abbiano la forza di replicare. Questo è l’”et-et” della Siria. Gli scenari futuri sono tutti plausibili. Nessuno è certo.
Con la guerra civile, Assad si è giocato la carta delle riforme. Avrebbe potuto realizzarle, salvando così il paese dalla rivoluzione e garantendo al clan alawita potere, onore e gloria per i decenni a venire. Due anni fa, scelse la strada del muso contro muso. Al lievitare della primavera araba, diede ascolto alle frange più reazionarie del suo establishment. Frange rappresentate dai suoi stessi familiari. Prima ancora – perché Assad è al potere dal 2000, questo va ricordato – si dimostrò timido nell’archiviare l’eredità del padre. I cascami del regime di Hafez el-Assad vennero lasciati marcire alla luce del sole. La vecchia guardia del regime, quella più inflessibile, rimase al potere.
2. Oggi Assad paga il pegno per non essersi emancipato dalla memoria paterna. Legato a filo doppio con chi di riforme non vuole sentirne parlare, combatte contro nemici sempre più forti, eterogenei e votati al martirio. Il suo destino è sopravvivere scappando. Senza però sapere dove rifugiarsi. Oppure attendere di dover combattere stanza per stanza nel suo palazzo presidenziale. Assad avrebbe potuto fare la fine di Franco: caudillo poco raccomandabile, al quale però la storia concesse di morire nel proprio letto. Questo perché – magari obtorto collo – el generalísimo seppe consegnare la Spagna alla modernità. Hitler, Mussolini, o anche Mubarak e Bel Ali. Sono questi gli esempi con cui si dovrà confrontare prima o poi il leader siriano. Ma la sua resistenza non potrà durare all’infinito.
C’è chi suppone che le elezioni presidenziali in Iran saranno il giro di boa anche per la Siria. A Teheran il voto è fissato per giugno. Dopodiché, se il regime degli ayatollah vorrà sopravvivere e raggiungere il gotha delle potenze nucleari d’Asia, dovrà scendere a patti. Gli verrà chiesto di rivedere le proprie posizioni negazioniste circa l’Olocausto e di rinunciare all’alleanza con il dead man walking Assad.
In Siria anche i nemici di Assad si sono giocati male le carte. La spontaneità iniziale della rivoluzione è stata schiacciata da fondamentalismi e interessi stranieri monchi di qualunque lungimiranza. I paesi del Golfo e con loro la Turchia hanno finanziato, sostenuto e armato la rivolta in nome della libertà e della democrazia. Emiri di foggia moresco-bizantina si sono fatti alfieri di messaggi di progresso politico. Ma la loro ambizione di bagnarsi i piedi nel Mediterraneo non è stata celata dalla coperta della democrazia.
Nel momento dell’ingresso in Siria di guerriglieri giordani, libici e ceceni, nonché dei rappresentati di ogni risma di fanatismo religioso – giunti anche dall’Europa – il progetto di cambiare il paese, di modernizzarlo, si è rivelato essere un paravento di carta velina. Così, mentre i giovani siriani muoiono per il loro futuro, al loro fianco i mujaheddin nominano Allah invano e sognano l’instaurarsi di califfati.
Anche per Hezbollah e l’Iran la Siria è stata un’occasione mancata. Dialogo politico con l’auspicio di un rilancio economico. La roccaforte sciita dell’Asse del male è punteggiata di germogli di buona volontà ignoti ai più. Eppure da Teheran e dai sobborghi sciiti di Beirut sud non è giunta chiara la voce di fermare il massacro. Se davvero questa anima moderata avesse prevalso, oggi Hezbollah non conterebbe i morti tra i suoi miliziani. Non li conterebbe perché non li avrebbe mandati a morire. Se si vuole spegnere un fuoco, non lo si alimenta con la benzina.
Il governo iraniano all’inizio dell’anno aveva proposto una road map di pace. Il progetto è rimasto a stagnare non solo per la mancata replica delle altre parti – in particolare gli Stati Uniti e l’Europa – ma anche perché le stesse autorità iraniane non hanno continuato a premere. In politica non basta un gesto per arrivare all’obiettivo. Ne servono dieci, cento, alle volte mille. Si chiama perseveranza. Con un gesto ci si mette a posto la coscienza, ma il più delle volte non si ottiene alcun risultato.
Infine Israele. La sola democrazia del Medioriente è talmente vittima delle intransigenze e dei contrasti culturali interni che preferisce seguire una politica estera aggressiva e quindi pericolosa, anziché concentrarsi su se stessa. Israele: ne parlano sempre più come di una etnocrazia, soggetta a una classe dirigente frustrata e abitata da un elettorato indurito da decenni di sterili tentativi di pace.
3. Si dice che in Siria si stia consumando un nuovo scontro bipolare, tra Occidente e Russia. Perché solo bipolare? Occidentali, turchi, arabi, iraniani, russi, cinesi e poi sunniti, sciiti e tutte le confessioni minoritarie, per esempio i cristiani, che in Siria, prima della guerra, godevano di una dignità giuridica. La battaglia è fra tutti contro tutti.
La lista degli scenari potrebbe proseguire. Questi sono solo alcuni “et-et” abbozzati. Il Medioriente è un mosaico bizantino le cui tessere, una diversa dall’altra, si intersecano fra loro e compongono una figura di chiara comprensione solo con il passare del tempo. Per il momento, con i massacri in corso, la sola consapevolezza è la mancata volontà di far finire questa guerra. Perché a nessuno conviene la pace in Siria.
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