Il Nicaragua è un Paese centro americano che ha avuto la sventura di passare più volte dalla padella nella brace.

La padella ha cominciato a friggere i poveri nicaraguensi nel 1912, quando il Presidente americano Taft mandò in Nicaragua un contingente di marines. Ci restarono due decenni, con il compito di mantenere al potere personaggi graditi a quello che i disgraziati nicaraguensi battezzarono, non senza ragione, “l’imperialismo yanqui”. L’ escalation del conflitto civile nel quale erano coinvolti i duemila marines condannò i nicaraguensi alla brace di una lunga e sanguinosa tirannia, quella dei Somoza.

Tutto inizia nel 1927, quando lo Special Commissioner americano nel Nicaragua consegna il governo del Paese a Juan Bautista Sacasa. Contro questa decisione si forma un fronte di opposizione attorno alla figura di un patriota nazionalista, Augusto Cesar Sandino, che raduna una piccola forza armata nelle montagne del nord del Paese e lancia una efficace guerriglia contro i marines e la Guardia Nazionale. La Guardia era stata formata nel 1927 come unità apolitica sotto il controllo dei marines: una messa in scena che aveva lo scopo di sconfiggere le unità ribelli di Sandino e proteggere gli interessi americani.

Quando i marines lasciano il Nicaragua il primo gennaio 1933, Juan Bautista Sacasa diventa Presidente della Repubblica e suo nipote Anastasio Somoza Garcia assume il comando della Guardia Nazionale. Il nuovo atto della tragedia del Nicaragua si compie quando Somoza ordina l’assassinio di Sandino. Questi aveva infatti deposto le armi e si disponeva a trattare con il Presidente Sacasa. Invitato da Somoza a pranzo il 21 febbraio 1934, all’uscita veniva però ucciso da agenti della Guardia Nazionale. Il giovane e baldanzoso Somoza non perse così tempo nel deporre lo zio e il 1 gennaio 1937 si installò come Presidente. Da quel giorno, per quattro decenni, il Nicaragua fu governato dalla brutale e corrotta dinastia dei Somoza, appoggiata dagli Stati Uniti. A proposito di Somoza è rimasto famoso un commento del presidente Roosevelt: “è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.

Il 21 settembre 1956, un giovane poeta, Rigoberto Lopex Perez, spara contro Somoza. Questi muore pochi giorni dopo nella zona del canale di Panama. Gli succede il figlio Luis Somoza Debayle. Nel 1961 nasce lo FSLN, il Fronte di Liberazione Nazionale. Il FSLN ha come padre intellettuale Carlos Fonseca e come ideologia rivoluzionaria il sandinismo, che assorbe elementi di marxismo e la carica nazionalista e anti-imperialista di Sandino, un personaggio dalla personalità complessa, insieme autodidatta e massone. Ben presto, però, il movimento sandinista è sconvolto dalla perdita dei suoi leader e dalle lotte intestine tra le fazioni che intendevano principalmente raccogliere consensi nelle zone rurali ed quelle che favorivano la rivolta urbana.

Agli inizi del 1978 una nuova insurrezione nazionale fa traballare la dittatura instaurata da un altro Somoza, Anastasio Somoza Debayle. La rivolta sandinista è ormai incontenibile e la lotta è più che mai cruenta. I sandinisti occupano i centri principali ed assaltano il palazzo nazionale a Managua. Somoza resta abbarbicato al potere ma i suoi giorni sono contati. Nel luglio 1979 fugge a Miami ed raggiunge il Paraguay. Un anno dopo viene assassinato da un commando argentino.

Trentamila nicaraguensi sono morti nella guerra sandinista contro la dinastia dei Somoza, oltre un milione sono senza casa. Ma la pace non è in vista. Il Nicaragua passa ancora una volta dalla padella nella brace, perché il Presidente statunitense Reagan viene convinto ad agire contro il governo sandinista in quanto appoggiato dalla Russia e da Cuba. Poco importa che, di fatto, il comunismo sia una componente esigua del nazionalismo sandinista e che il pensiero politico di Sandino sia antitetico al comunismo in quanto ispirato all’eredità di Bolivar ed alla sua idea di una “union hispanoamerica oceanica”.

Gli Stati Uniti riversano così armi e fondi nelle fila dei Contra nel tentativo di distruggere la scarsa infrastruttura del Nicaragua. La campagna a favore dei Contra prosegue attraverso operazioni clandestine che culminano nel Contra Affair, a seguito del quale gli Stati Uniti destinano ai Contra una parte del ricavato della vendita di missili all’Iran. L’intesa segreta Iran-Contra – che includeva la liberazione di tre ostaggi americani nelle mani di Hezbollah – doveva portare al rinvio a giudizio e alla condanna di vari membri dell’amministrazione Reagan, incluso l’ineffabile colonnello North. Fu il Congresso, in particolare il cosiddetto “Emendamento Boland”, a porre fine all’intervento americano in appoggio ai Contra: un’accozzaglia di ex membri della Guardia Nazionale e di elementi indigeni che il Presidente Reagan era però giunto ad descrivere come “l’equivalente dei Padri Fondatori”.

Il 23 Marzo 1988, come risultato della fine del ruolo americano e della mediazione di alcuni paesi latino americani, vengono firmati gli accordi di pace di Sapoá. Il Nicaragua si accingeva così a diventare una democrazia attraverso elezioni indette per il febbraio del 1990. In aggiunta, l’esercito sandinista iniziava un processo di riduzione della sua struttura, dell’armamento e delle installazioni militari.

Le elezioni segnano la fine dei sandinisti, guidati dall’ex presidente Daniel Ortega Saavedra, eletto nel 1984 all’apice della guerra civile. Ortega si era fatto largo senza titoli particolari nella lotta contro la dittatura ed aveva trascorso parecchi mesi a Cuba per essere addestrato nella guerriglia. Tanto bastava a farne l’obiettivo di una nuova politica intervenzionista del Presidente Reagan che vedeva in lui un agente del comunismo cubano. Nelle prime libere elezioni del Nicaragua è eletta Violeta Barrios de Chamorro, abile nel raccogliere i consensi di una popolazione resa esausta da decenni di spargimento di sangue e di pesante povertà.

Nei sedici anni successivi il potere è gestito da tre amministrazioni conservatrici finché nel novembre 2006 Ortega viene eletto presidente. Da allora, il Nicaragua cade nuovamente dalla padella nella brace. Inizia una nuova dittatura, più sfumata e meno violenta rispetto a quella dei Somoza, ma non meno infausta per la nazione nicaraguense. Ortega assume un ruolo familiare a tanti stati latino americani, quello di caudillo. Dopo la sua rielezione nel 2007, favorita da una grave crisi economica, Ortega è rieletto altre due volte, l’ultima nel 2016. Da perfetto caudillo, modifica la costituzione nel 2014 eliminando il limite ai mandati presidenziali, impedendo la candidatura di un forte candidato di opposizione, assumendo completo controllo sui media e elargendo incarichi e prebende di ogni genere ai suoi familiari e ai membri del suo seguito.

La moglie Rosario Murillo è nominata vice presidente nel 2016 e ci si aspetta che succederà al marito. Dopo di lei, dicono sottovoce i nicaraguensi, toccherà ai figli. In poche parole, ai sanguinari Somoza si è sostituita una “dictablanda” che non ha nulla da invidiare a quella di Pinochet nel Cile. I metodi utilizzati per soffocare le proteste di opposizione e la stampa libera sono gli stessi che hanno per lungo tempo logorato leggi e diritti nell’America Latina.

Il 10 febbraio 2014, accade che un noto giornalista, Carlos Guadamuz, dissidente sandinista, venga assassinato mentre si recava in uno studio televisivo per presentare il suo programma “Dardos al Centro”, in cui solitamente attaccava il presidente Ortega. Il colpevole dell’assassinio, un ex agente dei servizi segreti, prontamente definito un “fanatico”, viene catturato e incarcerato con una pena minima, e il caso rimane insoluto. I nicaraguensi sono convinti che si sia trattato di terrorismo politico, volto a soffocare la libera espressione di critiche al governo di Daniel Ortega.

Nel Nicaragua, una terra che per secoli ha patito fame, ingiustizie, repressioni e odio di etnie in conflitto, regna oggi un clima di sottomissione e di rinuncia ai diritti di una società nazionale. Dopo secoli di sangue, vige una forma di pace e di accettazione di un futuro incerto. La “dictablanda” è come un sonnifero che pervade fazioni politiche ed etnie un tempo in lotta, riducendo fortemente la violenza che un tempo era endemica. Il Nicaragua dei nostri giorni ha indici di criminalità decisamente inferiori a quelli di Paesi circostanti come Honduras, El Salvador e Guatemala dove si registrano 60 omicidi per 100.000 abitanti. Persino il Costa Rica, additato come paese civile, sta precipitando nel crimine con un tasso di 12 morti per 100.000 abitanti nel 2017.

Quello che il Nicaragua ha in abbondanza è la corruzione che lo FSLN, il nucleo del sandinismo rivoluzionario, ha creato col tempo appropriandosi delle risorse dello Stato che sono ben presto finite nelle mani di pochi, primo fra tutti Ortega. Il risultato è che oggi il Nicaragua non ha un partito di governo né opposizione. Ci fu un momento, dopo il trionfo della rivoluzione, in cui le organizzazioni popolari e l’unione dei lavoratori rurali apparvero in grado di collaborare per la creazione di un sistema multipartitico. Ma il fronte sandinista non lo permise, per quanto nella fase successiva alla guerra con i Contra vennero adottate norme elettorali e principi istituzionali propri del liberalismo. Questo processo fu però controllato dalla leadership di Ortega che in pochi anni creò una leadership autocratica sottraendo ogni legittimità alla stessa Assemblea sandinista.

Paradossalmente, l’adozione di pratiche democratiche sul modello occidentale finì col rendere il Paese meno democratico. Oggi, una massa di convinti sandinisti è ammutolita dinanzi alla minaccia di ritorsioni ed al timore di perdere quel che la rivoluzione aveva portato a molti di essi. È stato detto che il sandinismo tentasse di trovare una “terza via” tra capitalismo e socialismo. Come in altri luoghi, quello della “terza via” è però uno scenario irrealizzabile. L’ironia politica del Nicaragua post-rivoluzionario è che Ortega ha consolidato la sua posizione attraverso un’intesa con il nemico di un tempo, i Contra, con la chiesa cattolica e con l’aristocrazia del business capitalista.

Oggi la popolazione del Nicaragua non è più oppressa dalla dinastia Somoza, gli americani hanno scarso interesse nel Paese e tre quarti dei posti di lavoro sono nell’economia informale. Di conseguenza l’economia ha registrato una discreta crescita,  ma la mancanza di riforme, il predominio delle imprese statali e la perdita dell’assistenza del regime chavista del Venezuela rendono problematica la prospettiva di sviluppo economico e sociale del Nicaragua.

Il piano escogitato dal governo sandinista per sollevare gli umori della nazione depressa dalla autocrazia di Ortega e compagni è  quello di realizzare un canale tra i due oceani, finanziato dai cinesi. Ma i nicaraguensi sono i primi a non crederci. A parte il fatto che il progetto comporterebbe un disastro ecologico di vasta portata, il costo spropositato dell’opera e le resistenze politiche interne ed esterne escludono che verrà mai a compimento. Le comunità indigene che vennero trasferite con la forza dalla costa atlantica non hanno dimenticato. Nel 1987 la costa ha ricevuto una certa autonomia ma gli indigeni non hanno mai ricevuto l’accesso alle risorse che era stato loro promesso.

La popolazione del Nicaragua non è più oppressa dalla dinastia Somoza, gli americani hanno scarso interesse nel Paese e tre quarti dei posti di lavoro sono nell’economia informale. Il sandinismo è un mito nato dal sacrificio di un leader eccezionale, Augusto Sandino, e dalla cruenta lotta per l’indipendenza che in un particolare momento storico ebbe ragione anche di un mercenario americano, William Walker, sbarcato nel Nicaragua nel luglio 1855. Walker riuscì a farsi nominare Direttore Provvisorio del governo ma la conquista del completo potere gli sfuggì, fu sconfitto dalle forze nazionali finché venne catturato e fucilato nel 1860 nell’Honduras. Walker è solo un capitolo nella storia tragica di una nazione che per lungo tempo ha lottato per conseguire l’indipendenza politica ed economica respingendo le invasioni militari e il pesante interventismo degli Stati Uniti.

Oggi, gli Stati Uniti hanno rinunciato alla loro protratta presenza nel Nicaragua, la Russia comunista non esiste più e lo stesso fidelismo è fuori della scena. Chi la domina è un caudillo, fondatore di una dinastia che non mollerà facilmente a favore di una democrazia liberale.