1. La fondamentale questione storica del nostro tempo è posta. Era già stata formulata in vari modi nel discorso teorico degli ultimi trent’anni, ma non era mai stata sollevata in un luogo dove potesse essere resa actionable, ossia dove potesse divenire motivo di dibattito politico al più alto livello. In una lettera inviata la settimana scorsa dal commissario europeo per la giustizia Viviane Reding al procuratore generale statunitense Eric Holder vengono posti nove quesiti la cui risposta, assicura Reding, avrà un peso notevole sulla revisione dei trattati commerciali in discussione questa settimana ai margini del G8 di Enniskillen, nell’Irlanda del Nord.
Uno di questi quesiti, divulgato dall’International Herald Tribune (che ha potuto prendere visione della lettera), chiede conto di quali siano i canali a disposizione del cittadino europeo per chiedere alle autorità americane se i suoi dati personali sono stati esaminati dal «programma» PRISM, e se il cittadino europeo gode dello stesso accesso a queste informazioni del cittadino americano. In altre parole, prima di chiedere ai partner europei di abbattere ogni barriera commerciale tra le due macroaree nordatlantiche e armonizzare i loro sistemi commerciali, gli Stati Uniti devono assicurare “the highest standards of data privacy to all citizens,” siano essi americani o europei.
Given the gravity of the situation and the serious concerns expressed in public opinion on this side of the Atlantic, you will understand that I will expect swift and concrete answers, chiosa Reding facendo capire che un accordo sulle barriere commerciali non può ignorare questo fondamentale aspetto delle relazioni fra Stati Uniti e Unione Europea.
Il problema si riduce a questo: quando cittadini non americani usano i servizi di piattaforme telematiche di base negli Stati Uniti, godono essi delle stesse tutele legali dei cittadini americani? Analisi dei dati come quelle messe in atto dal governo americano mediante l’impiego del «programma» PRISM pongono un legittimo dubbio. Anzi, danno la relativa certezza che chi usa posta elettronica, social networks, e motori di ricerca con base negli Stati Uniti non gode delle stesse tutele di legge di un cittadino americano. Chi vive legalmente sul territorio americano ed entra in rete da quel paese è protetto dalla carta costituzionale americana. Chi opera all’estero, e non è cittadino americano, è privo per definizione di quelle tutele.
Questa domanda sulla disparità di trattamento dei dati riservati, che gli europei sottopongono agli americani come una questione di privacy, in realtà sottende molto di più. È la fondamentale questione storica del nostro tempo.
2. La questione posta da Reding sul tavolo dei negoziati che potrebbero portare alla formazione di un’area di libero scambio fra Europa e Stati Uniti non solo interroga un aspetto imprescindibile di quel negoziato – l’eguaglianza effettiva fra i contraenti di un patto commerciale – ma per la prima volta mette nell’agenda politica un problema ancora più fondamentale: il problema di che cosa sia occorso al carattere costitutivo della cittadinanza in un’epoca storica in cui una parte notevole delle attività umane vengono condotte nel non-luogo della comunicazione in rete.
Un tempo la cittadinanza era generalmente una categoria così stabile da poter fungere da fondamento del vivere sociale. In tempo di pace, chi nasceva maschio e libero da genitori ateniesi poteva ambire a condurre con il proprio agire politico il governo della città. La nascita e il luogo hanno continuato a coincidere anche quando l’ambito di questa categoria con i secoli si è ampliata a includere chi non è maschio e chi non è nato in quel luogo. Una volta stabilito un nesso primario e imprescindibile con un luogo, che sia per nascita o per naturalizzazione, la cittadinanza sancisce il carattere primario e imprescindibile della relazione fra quell’individuo e quel luogo. Solo a un numero ristretto, anche se via via sempre maggiore di individui è concessa la doppia cittadinanza. Ma si tratta di uno dei paradossi dell’intersezione fra jus soli e jus sanguinis che testimoniano di un mondo sempre più globalizzato. In ogni caso, ogni nazione agisce come se un portatore di doppia cittadinanza fosse solo ed esclusivamente un suo cittadino. Chi possiede due passaporti non può chiedere di essere giudicato secondo le leggi del paese di cui è cittadino ma in cui non risiede. A vincere sono le leggi del paese in cui si trova.
Oggi la cittadinanza è messa in crisi da un fatto semplice quanto indomabile. I confini fisici e quelli cibernetici di uno stato-nazione non coincidono più. Il luogo si è quindi aperto al non-luogo, e la cittadinanza ne soffre. Che cosa accade oggi alla sovranità popolare che governa un paese (da sola o in relazione con la sovranità del monarca costituzionale)? Se una gran parte dell’agire quotidiano dei cittadini avviene in un non-luogo avulso dal luogo, chi è sovrano oggi?
Carl Schmitt diceva che sovrano è colui che decide nello stato d’eccezione, ossia che sovrano è chi può sospendere le leggi ordinarie per meglio governare durante uno stato d’assedio. Molti sostengono – Giorgio Agamben, Judith Butler, e altri – che sia proprio questo il motivo per cui gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al terrorismo internazionale: per sospendere il diritto ordinario e agire in modo spregiudicato per garantire la sicurezza nazionale.
Anche se la teologia politica di Schmitt dialoga molto male o per nulla con il discorso giuridico degli Stati Uniti (che quasi non menziona la sovranità nei propri testi formativi) il concetto di “stato d’eccezione” può aiutare a capire quel è il problema nel caso in cui in rete agli Stati Uniti venga concesso un doppio regime di protezioni che distingua fra cittadini posti sotto la tutela della Costituzione americana (i cittadini e residenti permanenti di quel paese) e tutti gli altri. In questo modo si instaurerebbe di fatto una cripto-sovranità planetaria di cui solo i cittadini americani sarebbero in pieno beneficiari. Tutti gli altri dipenderebbero dalle decisioni prese negli Stati Uniti ma non sarebbero in alcun modo dei decisori. Ecco quindi realizzata una forma di colonialismo imperiale ottenuta con altri mezzi. (Dello stesso parere sono Antonio Negri e Michael Hardt, che però vedono gli stessi americani assoggettati alla logica del capitalismo tardomoderno).
3. La difficoltà in cui incorre il pianeta in questa prima fase di globalizzazione cibernetica non è né di facile formulazione, né tanto meno di facile soluzione.
Vediamo quello che chiede il commissario Reding. Godono delle stesse prerogative e protezioni i cittadini europei che agiscono in rete su piattaforme nominalmente domiciliate negli Stati Uniti? Rivelazioni come quelle della settimana scorsa dimostrano che qualche dubbio c'è. Ma è l’identità di diritti la soluzione? Se questa identità vi fosse, allora cadremmo tutti sotto la giurisdizione della Costituzione americana, e ciò non è pensabile. Chiedere agli Stati Uniti di agire in rete come se fossero cittadini europei, quando fra l'altro non esiste neppure una costituzione europea, è ugualmente impossibile. Molte delle cose che gli europei considerano questioni di privacy cadono beatamente sotto la protezione del Primo Emendamento che difende la libertà di parola. In nessun paese europeo esiste una copertura così ampia di questo diritto fondamentale. Gli americnai possono dire cose in rete che in Europa comporterebbero sanzioni e censure. Chiedere la sospensione on-line di un emendamento costituzionale, parte del Bill of Rights americano, non pare una strategia di negoziato percorribile ai fini di un trattato commerciale. Allo stesso modo, garantire le stesse protezioni on-line ai cittadini americani ed europei pare una questione di buon senso. Ma come tracciare una via mediana fra coperture costituzionali legate al luogo e protezioni di legge per chi agisce quotidianamente nel non-luogo della rete? Perché ormai è ovvio: l’agire in rete scardina il concetto fondamentale su cui si basa il costituzionalismo moderno: lo spazio. Senza uno spazio circoscritto non esiste sovranità. Come ricondurre quindi lo spazio cibernetico allo spazio territoriale? Ritornando agli stati-nazione fortificati o elaborando norme transnazionali capaci di armonizzare le differenze fra gli stati le cui differenze possono essere armonizzate?
È questa la domanda delle domande. La soluzione, se arriverà, non sarà né semplice né indolore. La rete è nata come una propaggine del territorio statunitense. Vive della cultura (e della contro-cultura) americana (come ben dimostra Snowden, che patecipa ad entrambe) e soffre quando a prendere il sopravvento è una logica antitetica a questa. Ma una soluzione va trovata, prima che ad avere il sopravvento siano quelli che, con Schmitt, credono nella legittimità dello stato d’eccezione, ossia nella legittimità di sospendere le leggi ordinarie per garantire in guerra la sopravvivenza di spazi fortificati. Schmitt era il teorico dei ‘grandi spazi’ del Terzo Reich, delle aree irriconducibili le une in equilibrio militare con le altre. Secondo la sua teoria queste aree sarebbero dovute diventare con il tempo (e il domino nazista in Eurasia) perfettamente omogenee. Se dovessimo dare ragione a Schmitt dovremmo esser portati a concludere che le differenze che sono la ricchezza dell’area nord atlantica dovrebbero essere ridotte ad una sola identità, magari da contrapporsi alla macroarea della ‘Cindia’, o del Sud America. Se dovessimo davvero andare in questa direzione – se non riuscissimo a trovare un compromesso che consenta di ridurre, ma insimeme di preservare le differenze fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea – non ci muoveremmo nella direzione della pace e della cooperazione ma ci prepareremmo a una tregua armata planetaria dalle tristi conseguenze.
Questa settimana ai margini del G8 di Enniskillen i capi di governo dall’area nord atlantica hanno l’opportunità di parlare di questo problema in una prospettiva che non sia solo quella della sicurezza americana e che includa anche le istanze delle altre aree del pianeta. Speriamo solo che si sappia cogliere l’occasione per compiere i primi passi verso una soluzione condivisa di un problema che non potrà se non crescere negli anni a venire.
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