Falso allarme Niente da fare, falso allarme. Neppure questa volta la class action nei confronti delle pubbliche amministrazioni ce l'ha fatta: il Consiglio dei ministri dello scorso 15 maggio l'ha stralciata dalla bozza del decreto attuativo della legge delega n. 15/2009, il cosiddetto decreto Brunetta. Il quale ministro su questa azione per la tutela giudiziale nei confronti delle inefficienze degli enti pubblici e dei concessionari di pubblici servizi ha puntato molto, così tanto che l'opposizione ne ha (invano) addirittura invocato le dimissioni. Non c'è lavoro per Erin Brockovich se l'avversario è una p.a. L'istituto in questione è complesso e, per la verità, dal punto di vista tecnico non può definirsi una vera e propria class action. Tipica del diritto statunitense (si pensi al filmErin Brockovich), questa è l'azione proposta da uno o più soggetti appartenenti a una «classe» per ottenere dal giudice una pronuncia (di solito risarcitoria), su una questione comune, i cui effetti sono goduti da tutti gli appartenenti alla classe estranei al processo, a meno che il singolo non dichiari di non volersene avvantaggiare, agendo in proprio. Il rimedio previsto dalla legge 15/2009 è invece un'azione a sé, che potremmo definire «azione di efficienza contro la p.a.». È un ricorso, che può essere proposto da «ogni interessato» come pure dalle associazioni e comitati (i cosiddetti «enti esponenziali»), nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che ledono «interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti e consumatori», violando: - gli standard qualitativi ed economici fissati dalle authorities; - i diritti degli utenti posti nelle carte dei servizi; - le regole sull'esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori; - i termini procedimentali o il dovere di adottare atti amministrativi generali. Il fine di questa azione non è ottenere il risarcimento del danno (espressamente vietato), bensì ripristinare il corretto svolgimento/erogazione della funzione/servizio richiesto. In tal senso, è previsto che il ricorso debba essere preceduto dalla diffida rivolta all'ente inadempiente ad assumere, entro il termine di 30 giorni, le iniziative utili alla soddisfazione degli interessati. Se in questo termine e comunque entro un anno dalla diffida l'inadempimento permane, si potrà proporre il ricorso, a cui l'ente resistente dovrà dare «adeguata pubblicità» sul proprio sito internet, su quello del Ministero per la Pubblica amministrazione e l'innovazione e sui mezzi di informazione. Il giudice è quello amministrativo, con competenza esclusiva e di merito. In un giudizio abbreviato (si seguono le regole dell'art. 23 bis della legge 1034/1971), i Tar e il Consiglio di Stato hanno cioè il potere di sindacare anche l'opportunità delle scelte amministrative e di ordinare l'adozione delle misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti. In caso di perdurante inottemperanza, il giudice può nominare un commissario che provvederà al posto dell'ente inadempiente. Oltre a essere pubblicata (unitamente alle misure adottate) sui giornali e sui siti istituzionali, la sentenza di accoglimento del ricorso deve anche essere comunicata, per l'adozione dei provvedimenti di loro competenza, all'Autorità indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita ex novo dal decreto Brunetta), alla Corte dei conti, agli organi preposti all'avvio del giudizio disciplinare e a quelli deputati alla valutazione dei dirigenti coinvolti. Un'azione utile, ma che da qui a gennaio 2010 può migliorare L'azione di efficienza è da salutare con favore laddove cerca di adeguare il nostro ordinamento giuridico alle reali necessità dei cittadini, pregiudicate non solo dagli atti illegittimi, ma anche e soprattutto dalle inefficienze degli enti e concessionari pubblici e da tutti i tristemente noti episodi di malamministrazione che riempiono le cronache. Tuttavia, essa desta alcune perplessità. La prima riguarda la limitazione dei soggetti passivi dell'azione che non siano amministrazioni ai soli «concessionari di servizi pubblici». Se strettamente intesa, questa locuzione rischia di ridurre in modo irragionevole la più ampia categoria dei «gestori di servizi pubblici», ossia delle società, pubbliche e private, con cui tutti i giorni i cittadini entrano in contatto e dal cui operato dipendono il rispetto e la soddisfazione dei loro diritti e bisogni fondamentali. La seconda ragione di perplessità è che, pur contenendo numerose norme sulla meritocrazia nelle amministrazioni, il decreto non le collega all'azione di efficienza. Manca, ad esempio, uno specifico sistema di incentivi economici per i funzionari e i dirigenti che non abbiano mai provocato tale azione, da tradursi anche in «titoli» per le progressioni orizzontali e verticali, o per ottenere gli incarichi dirigenziali, oppure ancora per vedersi assegnati speciali riconoscimenti da parte del Dipartimento della Funzione pubblica. Il terzo aspetto critico è che manca pure l'incentivo diretto e immediato per il ricorrente. Avrebbe dovuto prevedersi un processo gratuito (invece, in quanto rientrante tra i giudiziex art. 23 bis, l. Tar, costerà 1.000 euro). Inoltre, anziché aspettare l'inottemperanza della sentenza per poi commissariare l'ente, era meglio dare al giudice il potere di sostituirsi subito all'amministrazione inefficiente, adottando il provvedimento richiesto dal cittadino ricorrente o indicando il diverso ente o servizio/struttura dello stesso ente obbligato a erogare la prestazione dovuta. A fronte dei costi e della tenue tutela dell'interesse individuale che dà l'azione di efficienza, non è chiaro perché il singolo dovrebbe avvalersene. È allora facile prevedere che il nuovo rimedio sarà per lo più utilizzato dalle associazioni e dai comitati che, viste le loro finalità, organizzazioni e professionalità, agiranno per la tutela degli interessi collettivi di cui sono titolari. Ora come ora, il vero problema dell'azione di efficienza è però quello di riuscire a superare le resistenze politiche e di lobby che di fatto ne impediscono da circa un anno l'entrata in vigore. Tanto che sorge spontaneo chiedersi se vedrà mai la luce. Il ministro Brunetta giura di sì e ha indicato la prossima deadline nel gennaio 2010. Un rinvio che, tra l'altro, potrebbe giovare all'istituto, posto che in questi sei mesi c'è tutto il tempo per migliorarlo, ad esempio modificando i punti indicati in precedenza. Nel frattempo, non resta che segnare la data sull'agenda e fiduciosamente aspettare. |
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