Pubblichiamo l'ennesima versione del ragionamento sull'Austerità e la Crescita in Europa (1). Nel tempo è stata ritoccata per tener conto delle novità, anche se l'impianto è rimasto invariato. La sua conclusione? La politica preme, ed ha dei tempi stretti rispetto a un dibattito economico che convinca tutti. Si deve perciò cercare una soluzione “pratica”. L''Austerità con una politica di investimenti in infrastrutture (non necessariamente solo ponti e ferrovie, ma anche ospedali e asili nido) portata avanti anche livello europeo sembra essere una via d'uscita dalla crisi.
Prima delle elezioni in Francia e in Grecia prevaleva l'idea del “rigore statico”. Dopo le elezioni, incomincia a prevalere l'idea del “rigore dinamico”. Con la prima espressione evoco il famigerato “Fiscal Compact” (FC), con la seconda il neonato “Growth Compact” (GC). Li contrappongo per vedere le differenze, e poi cerco una riconciliazione.
Il FC è l'idea che i saldi del bilancio pubblico vadano portati in pareggio (quasi) in qualsiasi contesto economico. A saldi fra uscite e entrate pari a zero (ossia con deficit di bilancio nulli) il debito pubblico non è più emesso. A quel punto, il debito non può che decrescere il rapporto all'andamento dell'economia (come misurata dal PIL), perché questa, per quanto possa crescere poco, alla fine comunque cresce. Per rendere credibile il “vincolo di bilancio” (i deficit nulli), esso va accolto come regola costituzionale.
Bene, quali sono i lati oscuri del FC? Intanto, la definizione di spesa. Quella per i salari delle pubbliche amministrazioni è spesa corrente e va contata nell'esercizio. Le spese per investimenti, invece, hanno degli effetti di di lungo termine e dunque andrebbero contate su più esercizi (ogni anno si ha una quota ammortamento). Se così non si facesse si avrebbe una grande spesa il primo anno e poi il nulla. Ma la grande spesa del primo anno sarebbe impossibile da sostenere per i succitati vincoli di bilancio. Si può però cambiare la regola non contando in un solo esercio la spesa per investimenti (come propone Mario Monti), senza alterare il FC.
Gli altri lati sono quelli importanti. Il FC sostiene che, una volta che i debiti pubblici non crescono più, torna “la fiducia”. Come fa a tornare la fiducia? Secondo questo schema. 1) i cittadini tendono a spalmare i propri consumi nel tempo, se hanno un reddito maggiore (della media del proprio reddito) spendono meno e risparmiano, mentre, se hanno un reddito inferiore, spendono di più e de cumulano il risparmio. 2) se sospettano che il maggior debito pubblico in futuro – per essere ripagato - “comanderà” più imposte, ecco che spenderanno meno oggi. Se, invece, prevedono che le imposte saranno inferiori, perché i debiti pubblici saranno sotto controllo, ecco che oggi spenderanno di più.
In breve, se il FC è convincente torna la fiducia. Si assume che i cittadini siano lungimiranti, perché il FC funzioni. Essi devono fare dei conti minuziosi in cui il presente è “risucchiato” nel futuro. Anche se il taglio delle spese e il rialzo delle imposte – il frutto delle manovre in corso - abbatte il reddito, i consumi restano costanti (si de cumula il risparmio), perché si conta in un futuro migliore.
Quanto detto sembra una stramberia, ma nel Documento di Economia e Finanza (DEF-2012) si hanno due simulazioni, a pagina 6. La prima non tiene conto del salto della fiducia, la seconda si. Nel primo caso, le manovre di correzione dei conti pubblici italiani del 2011 peggiorano l'andamento tendenziale (l'andamento che si avrebbe non facendo nulla) dei consumi (in termini reali) nel 2012, 2013, 2014 del -0,9%, -1,4%, -1,2%. Nel secondo caso, i numeri sono, invece, nel 2012, 2013, 2014 del -1,1%, -0,7%, -0,1%. Una differenza importante, ma non un balzo quantico.
Non possiamo affermare che le elezioni in Francia e in Grecia abbiano mostrato una gran maggioranza a favore del FC. Anzi, il contrario. Il Fiscal Compact è stato rigettato dalla Sinistra (estrema e non) francese e greca, nonché dalla Destra estrema francese e greca. Da qui l'arrivo del GC, ossia l'idea di un rilancio dell'economia attraverso una politica fiscale attiva.
Si parte dall'assunto che la compressione della domanda in deficit di origine pubblica - in assenza di un livello adeguato di consumi e investimenti del settore privato – possa spingere l'economia nella trappola della mancanza di crescita. Non si sa con chiarezza se un debito pubblico cospicuo sia o meno un freno alla crescita. Potrebbe, infatti, essere vero il contrario, ossia che è la modesta crescita ad alimentare il debito. E questo potrebbe essere il cavallo di battaglia di quelli che vogliono ridiscutere il Fiscal Compact. Come si vede dalla premessa, siamo agli antipodi del FC. Per quanto appiccicare le etichette delle scuole economiche sia rischioso, possiamo affermare che il FC si basa sull'”equivalenza ricardiana”, mentre il GC ha una matrice “keynesiana”.
Attenzione, la gran spesa pubblica in deficit per sé non porta automaticamente ad una grande crescita, altrimenti la Grecia sarebbe da tempo molto ricca (la battuta è dell'economista keynesiano Paul Krugman). La spesa pubblica in deficit funziona, infatti, solo sotto certe condizioni. Per sapere quali, chiediamo lumi a due economisti dichiaratamente keynesiani (De Long e Summers, Fiscal Policy in a Depressed Economy, marzo 2012, pagina 9).
Secondo loro, l'espansione dell'economia (purché sia in partenza depressa, ossia con una sotto occupazione degli impianti e della manodopera) attraverso un maggior deficit pubblico senza per questo avere un aumento del debito pubblico (in percentuale del PIL) è possibile. Ciò avviene se il deficit pubblico alimenta la domanda aggregata per una somma maggiore della spesa iniziale in deficit (ossia, se il moltiplicatore della spesa è significativo), a condizione che il costo del debito sia inferiore al tasso di crescita dell'economia. Si assume, infine, che la politica monetaria sia fuori gioco, ossia che i tassi stiano per qualche tempo intorno allo zero.
In Italia il costo del debito è pari - sulla media delle scadenze delle obbligazioni dai tre mesi ai trenta anni - al 4% circa. Poniamo che resti invariato a fronte della ripresa della spesa pubblica in deficit. La crescita economica (reale e nominale) che riduca il peso (percentuale) del debito pubblico che si dovrebbe avere deve perciò essere superiore al 4%. La crescita economica si compone di un tasso di inflazione (precisamente il deflatore del PIL) che è pari al 2% (il valore corrente) e di una crescita reale che deve essere pari al 3% (la crescita negli ultimi anni è stata pari alla metà). Il 5% è perciò un numero molto alto per l'Italia. Negli Stati Uniti, invece, il costo del debito è decisamente inferiore al nostro, e una crescita elevata di un'economia così elastica è sempre possibile, ragion per cui De Long e Summers sostengono che negli Stati Uniti si possa avere una spesa pubblica in maggior deficit senza un aumento (in percentuale del PIL) del debito.
Potremmo tentare una prima sintesi. Nel caso del FC sono troppe le assunzioni che debbono incastrarsi per avere un ritorno non troppo distante nel tempo della fiducia. Nel caso del GC i numeri non girano facilmente, come si sarebbe potuto sperare. Insomma, se la ricostruzione delle due opzioni fatta fino a qui è valida, non ci si riesce a “schierare” facilmente. Perlomeno, io non riesco ad abbracciare una opzione che mi convinca davvero. La politica però preme, ed ha dei tempi stretti rispetto a un dibattito economico che convinca tutti. Si deve perciò cercare una soluzione “pratica” (un termine orribile, ma che rende l'idea).
In due parole, si può affiancare al FC un GC composto non di spesa pubblica che torna in deficit, ma di spesa pubblica in infrastrutture attuata anche attraverso degli enti appositi di livello europeo. Il FC va mantenuto per ragioni di prudenza. Se, infatti, i mercati finanziari cambiassero opinione sul debito di un paese solvente, ma che non cresce nonostante il ritorno ai deficit di bilancio, ecco che potrebbero chiedere dei rendimenti così alti da spingere sul sentiero dell'insolvenza. In questo caso, la domanda di titoli del debito pubblico si riduce anche in presenza di rendimenti maggiori. Per attirare la domanda i rendimenti debbono diventare ancora più elevati, perciò premendo sui conti del Tesoro. Per evitare che si precipiti nell'”avvitamento” si deve allora avere un intervento della Banca Centrale, del Fondo “salva stati”, e del Fondo Monetario. Insomma, una riedizione del 2011. In conclusione, il FC con una politica di investimenti in infrastrutture portata avanti anche livello europeo sembra essere una via d'uscita dalla crisi.
(1) http://temi.repubblica.it/limes/come-conciliare-austerita-e-crescita-in-europa/35074
© Riproduzione riservata