Riprendiamo la nota sulle pensioni in Italia (1). Esse sono inique perché alcuni percepiscono più di quanto abbiano versato. Ossia la loro pensione è maggiore dei versamenti effettuati nel corso della vita lavorativa e rivalutati con la crescita del PIL intercorsa nel periodo. Alla curiosità “scientifica” di avere una misura dell'iniquità, si aggiunge il sospetto di una qualche demagogia.

Le pensioni sono poco inique (iniquità = distanza della pensione effettiva dalla pensione di soli contributi) per chi riceve una pensione modesta, molto inique per chi ne riceve una media, e tornano ad essere poco inique per chi ne riceve una alta. La demagogia è perciò nel mettere giornalmente alla berlina le “pensioni d'oro”, e di non mettere mai alla berlina le pensioni del “ceto medio”. Non è fuori luogo il sospetto che, poiché riformare i redditi del “ceto medio” è molto difficile, ci si rifugi nell'alzare il fumo dello sdegno morale sulle “pensioni d'oro”.

Il grafico (2) mostra – per il periodo dal 2008 al 2012 - sull'asse verticale la differenza percentuale fra la pensione effettiva e quella che si sarebbe avuta sulla base dei soli versamenti. Sull'asse orizzontale si ha il reddito lordo mensile che si è avuto negli ultimi anni della vita lavorativa. Come si vede la distribuzione assomiglia a una gaussiana: i poveri prendono una pensione quasi equa come peraltro i ricchi, mentre chi sta in mezzo ha una pensione superiore del 30% ai contributi versati.

 

Pensioni italiani
Pensioni italiani

 

(1) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3472-le-pensioni-degli-italiani.html

(2) http://www.lavoce.info/il-contributo-di-solidarieta/

 

Ecco la prima parte del vecchio lavoro sulle pensioni:

Immaginate un sistema nel quale si riceve una pensione legata al reddito degli ultimi anni. Il reddito degli ultimi anni è quasi sempre maggiore del reddito medio, ossia è maggiore a quanto si è guadagnato facendo la media dei redditi da quando si è iniziato a lavorare. In questo modo ovviamente si va in pensione ricevendo un reddito maggiore dei contributi versati. Insomma, si riceve un “premio”. Come è sostenibile questo “premio”?

Si deve innanzi tutto avere un'economia dove è facile lavorare fino a un certa età, perciò un'economia con scosse modeste, dove l'occupazione non evapora, perché si ha un mutamento continuo delle tecnologie e l'arrivo improvviso di crisi importanti. Si deve poi avere una dinamica demografica favorevole: la popolazione giovane trova lavoro, con la popolazione giovane occupata che cresce più di quanto crescano quelli che escono dal mercato del lavoro e ricevono la pensione. Grazie a questa combinazione le pensioni superiori alla media dei contributi non pesano sul bilancio del sistema pensionistico, perché i giovani - sempre più numerosi che per di più lavorano in un'economia in forte crescita - trasferiscono parte del loro reddito agli anziani.

Questo sistema – detto delle pensioni di “anzianità” - non è puntualmente equo (si riceve più di quanto si versi) e non è nemmeno equo da un punto di vista intergenerazionale (i giovani che pagano le pensioni maggiori dei versamenti ai pensionati di oggi un giorno potranno essere “risarciti” solo se le condizioni economiche e demografiche saranno le stesse).

Questo era il sistema prevalente in Italia. Quando le cose si sono capovolte – allora più per effetto della demografia che per effetto della bassa crescita – ecco che si sono tentate le prime riforme, a partire dal governo Amato del 1992. Le riforme successive, quelle di Dini del 1995, lasciavano intatto il sistema iniquo delle pensioni di anzianità per chi era già in pensione, mentre per chi lavorava ancora il sistema delle pensioni di anzianità valeva se aveva già maturato un certo numero di anni (poco meno di venti). Da Dini in poi la pensione che sta maturando è perciò per alcuni per una parte di anzianità e per un'altra contributiva, mentre per altri, quelli che non avevano maturato i poco meno di venti anni di versamenti, è tutta contributiva.

Il sistema “misto” (anzianità e “contribuzione”, con questo secondo termine si intende dire che la pensione è calcolata su quanto si è effettivamente versato nel corso degli anni e non negli ultimi anni, quando si guadagna di più) sarebbe scomparso nei decenni per essere sostituito da un sistema tutto contributivo. Infatti, col tempo muoiono sia quelli che avevano la pensione tutta di anzianità sia quelli che la avevano mista, e dunque il sistema pensionistico nei decenni diventa tutto contributivo.

Col sistema di anzianità “puro” la pensione ammonta al 80% circa del reddito degli ultimi anni, con sistema contributivo si ha una pensione che ammonta a circa il 50% del reddito degli ultimi anni. L'iniquità – l'ottenere una pensione maggiore dei versamenti - è dunque pari a un 30% del reddito da pensione. La pensione di anzianità era un modo “improprio” per redistribuire il reddito – la redistribuzione era a carico dei giovani ed era quasi invisibile. Il modo “proprio”, infatti, è quello visibile delle aliquote IRPEF progressive.

Il sistema che molto lentamente (e quindi con un basso costo politico – il sistema cambiato da Dini nel 1995 diventava totalmente contributivo addirittura nel 2040) sarebbe diventato tutto contributivo non ha retto l'urto della bassa crescita economica e della demografia negativa. Con la riforma Fornero si è provveduto ad accelerare la sua messa a punto. I dettagli li trovate qui: http://www.economy2050.it/riforma-previdenziale-fornero/

Le pensioni contributive sono pari ai versamenti, ma, con la riforma Fornero, con alcuni cambiamenti. Se l'economia decresce, le pensioni vengono ritoccate (poco) all'ingiù, se la speranza di vita si allunga, esse vengono ritoccate (poco) all'ingiù. Insomma chi oggi si trova agli inizi della propria attività di lavoro sa che la sua pensione, che otterrà a quasi settanta anni, sarà pari al 50% del reddito degli ultimi anni, e che questo 50% potrà essere leggermente ritoccato all'ingiù se l'economia andasse male e se la popolazione diventasse più longeva.

Si noti quanto il sistema vigente – quello “equo” - sia molto diverso da quello inventato nel secondo dopoguerra – quello “iniquo” -, quando si aveva una pensione di molto maggiore ai versamenti per di più ottenibile a quasi sessanta anni. L'Italia delle pensioni di anzianità era una “pacchia” per i pensionati, quella delle pensioni contributive chiede ai giovani, se vogliono avere un reddito maggiore da anziani, una previdenza aggiuntiva (nella forma di assicurazioni, fondi pensione, ecc), ossia chiede loro - per alzare il tenore di vita quando saranno anziani - un maggior risparmio, che è come dire una minore propensione al consumo.