Alex Salmond, leader del Partito nazionalista scozzese, che si autodefinisce “premier di Scozia", ha deciso che questo è il momento giusto per vincere la scommessa sull’indipendenza (1). In un referendum che si terrà nel 2014, gli scozzesi dovranno rispondere alla domanda: “Siete d’accordo sul fatto che la Scozia debba essere un paese indipendente?”, ma dovranno anche dire se vogliono che Edinburgo abbia maggiori poteri, che è il piano B nel caso l’indipendenza non vada in porto.

Gli inglesi (soprattutto conservatori) si sono infuriati (2), mentre il premier, David Cameron, sta facendo di tutto (3) per evitare di passare alla storia come il primo ministro che ha assistito impotente alla dissoluzione del Regno Unito. Ma il problema – e anche la soluzione per chi è contrario all’indipendenza – è l’economia.

Pare scongiurata l’ipotesi che un neo stato scozzese debba entrare nell’euro, come minacciato dal governo conservatore (4) (ormai l’euro è uno spauracchio, altro che potere d’attrazione della monetaunica). Uno studio del National Institute of Economic and Social Research(5), spiega che la Scozia vorrebbe mantenere un’unione monetaria con il resto dell’Inghilterra, ma l’autore dello studio evidenzia anche le debolezze: “Con un trasferimento pro rata del debito pubblico attuale del Regno Unito, la Scozia comincerebbe la sua avventura di indipendenza pesantemente indebitata, senza la garanzia di una condivisione del rischio o di un meccanismo di condivisione fiscale con il resto del paese.

Anche con una base di partenza favorevole per quel che riguarda i ricavi da petrolio, gli equilibri fiscali sono volatili, con ampi deficit in pochi anni dovuti alla dipendenza dal petrolio”. Come vuole la retorica scozzese (“It’s Scotland’s oil” era lo slogan degli anni Settanta ritmato dai sostenitori dell’independenza), Salmond ha proposto un baratto a Londra: noi il petrolio, voi le banche.

Ma proprio sulle banche la faccenda non è così semplice. Il neostato sarebbe fondato su due banche, la Royal Bank of Scotland (Rbs) e l’Hbos, che hanno asset per 14 volte il pil scozzese e che sono tenute in vita dal governo di Londra (che ora, dopo averle salvate dalla bancarotta, ne controlla rispettivamente il 60 e il 40 per cento). Come ha spiegato il Financial Times (6), gli scozzesi impiegati nel settore finanziario sono i più contrari alla richiesta d’indipendenza (il consenso comunque in nessun sondaggio è sopra al 50 per cento).

Oltre al debito pro quota, i cinque milioni di cittadini scozzesi dovrebbero accollarsi una parte dei 1.250 miliardi di sterline sborsati dai contribuenti per salvare i due gioielli scozzesi. Come ha spiegato Brian Groom (7), ex direttore dello Scotland on Sunday e un analista imprescindibile per districarsi nel caos referendario, non ci sarà indipendenza ma più probabilmente devolution. I fattori economici pesano troppo sull’indipendenza, ma politicamente la “britishness” è già un concetto superato, nonostante le minacce e le teorie del complotto dei conservatori.

  1. http://www.bbc.co.uk/news/uk-scotland-scotland-politics-16702392

  2. http://www.telegraph.co.uk/news/politics/9035519/Alex-Salmonds-referendum-cover-up-revealed.html

  3. http://abcnews.go.com/International/wireStory/uks-cameron-scotland-snub-independence-15652247

  4. http://www.guardian.co.uk/politics/2012/jan/12/independent-scotland-euro-george-osborne

  5. http://www.niesr.ac.uk/pubs/searchdetail.php PublicationID=3179

  6. http://www.ft.com/intl/cms/s/0/893c2ce8-3bac-11e1-82d3-00144feabdc0.html#axzz1mxWrAPxC

  7. http://www.ft.com/intl/cms/s/0/a32c8662-4830-11e1-b1b4-00144feabdc0.html#axzz1mxWrAPxC