Il documento con cui Telecom Italia ha ufficializzato il progetto di separare la rete telefonica dal resto della società apre diversi scenari potenzialmente importanti e diverse questioni ancora da approfondire. Il progetto, approvato dal Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia il 30 maggio, prevede la separazione volontaria attraverso la nascita di una nuova società della rete che attualmente è di proprietà della stessa Telecom Italia.

In questo modo esisteranno due società provvisoriamente chiamate OPAC (Open Access, la società della rete aperta a tutti gli operatori del settore) e TI ServiceCo, la società comprendente tutte le restanti attività di Telecom Italia. OPAC sarebbe proprietaria di tutti gli elementi passivi del network: la rete di rame, la nuova rete in fibra ottica (in buona parte ancora da costruire) ed i collegamenti tra queste reti ed i singoli utenti.

Le attività di Telecom Italia attualmente si costituiscono come quelle di una impresa verticalmente integrata, cioè diversi "passaggi intermedi" sono sotto il controllo della stessa Telecom per la produzione del servizio finale. Ad esempio l’azienda integra la commercializzazione dei propri servizi telefonici che passano sulla sua stessa rete telefonica. Le altre imprese telefoniche nate nell’ultimo quindicennio accanto alla commercializzazione dei propri servizi possono non avere la proprietà della rete (o di una rete estesa) e quindi devono acquistare l’accesso ad essa da Telecom Italia. Il motivo per cui non tutte le imprese telefoniche si dotano di una rete di proprietà è che essa è un monopolio naturale, cioè è estremamente costoso creare una rete simile a quella già esistente e “riempirla” di traffico voce e dati. Di solito i nuovi entranti si sono dotati di reti autonome nelle zone dove c’è la maggiore concentrazione di consumatori affittando, per raggiungere gli altri, la rete di Telecom Italia.

Possedere la rete offre diversi vantaggi all’impresa verticalmente integrata: ha accesso alle informazioni sulla operazioni delle imprese che affittano la rete e che quindi può utilizzare questo tipo di informazioni per meglio costruire le proprie offerte commerciali, può ritardare l’offerta dei suoi servizi alle nuove imprese telefoniche e quindi diminuire la concorrenza, almeno temporaneamente, ecc. Per questo motivo, in quanto soggetto con rilevante potere di mercato, l’accesso alla rete di Telecom Italia è regolamentato dal 2002 mediante la cosiddetta equivalence of output: i prodotti che Telecom Italia offre alle altre imprese telefoniche devono essere gli stessi che essa stessa offre alle sue unità operative, indipendentemente dalle procedure utilizzare per realizzare detti servizi. Questo tipo di regolamentazione ha creato un forte contenzioso tra Telecom Italia ed i nuovi entranti.

Con la separazione societaria la regolamentazione cambierebbe verso la equivalence of input, nella quale la nuova società offre gli stessi processi devono essere utilizzati nella fornitura di servizi all’ingrosso a tutte le imprese telefoniche, alle stesse condizioni ed ai medesimi prezzi, utilizzando gli stessi sistemi, mediante l’accesso agli stessi dati ed alle stesse informazioni commerciali.

Per valutare questa decisione di Telecom Italia vanno analizzati diversi aspetti. In primo luogo l’ex monopolista della telefonia è una società con un consistente debito e questa manovra permetterebbe di spostare parte del debito verso questa nuova società, riducendone il peso per la stessa Telecom Italia. Non ci sono cifre definite su quanto debito verrebbe spostato su OPAC, ma stime ragionevoli sostengono che le verranno accollati 8-10 miliardi di euro. Insieme alla maggiore libertà commerciale che Telecom otterrebbe, questa divisione potrebbe avere effetti positivi sulla redditività dell’impresa e quindi sui suoi corsi di borsa, attualmente ben al di sotto del valore di carico ai quali Telco (l’azionista di maggioranza relativa di Telecom, partecipata da Generali, Intesa San Paolo, Mediobanca e Telefonica) ha acquistato quelle azioni.

Non va dimenticato che qualche settimana fa, quando si era cominciato a parlare con maggiore insistenza della separazione della rete, era stata fatta anche l’ipotesi che Telecom si fondesse con Tre in modo da dare un azionista del settore (Hutchinson Wampoa) alla nuova impresa e di ridurre la concorrenza nel settore della telefonia mobile, con la conseguenza – nuovamente - di aumentare i margini di profitto dell’azienda.

Letta attraverso queste situazioni aziendali, una decisione straordinaria come la “societarizzazione” della rete (attualmente c’è una situazione simile solo in Nuova Zelanda) sembra più dettata da motivazioni contingenti piuttosto che da un piano strategico.

Un’importante questione aperta è quella della proprietà di OPAC. Telecom Italia ritiene di mantenere il 51% della nuova società e di garantirne l’indipendenza rispetto a sé stessa attraverso un appropriato disegno della corporate governance. In realtà il mantenimento della maggioranza assoluta lascerebbe all’impresa telefonica dei diritti di gestione rilevanti che potrebbero sbilanciare la sua indipendenza da tutte le società telefoniche. Qualcosa di simile è successo prima con Terna (la società della rete elettrica controllata da Enel) e poi con Snam Rete Gas (la società controllata da Eni proprietaria della rete dei metanodotti): dapprima erano verticalmente integrate con le rispettive controllanti poi, per garantire l’uguaglianza di tutte le imprese che utilizzavano le loro infrastrutture, si è deciso di venderle alla Cassa Depositi e Prestiti. Da questo punto di vista sarebbe meglio evitare il passaggio intermedio della proprietà di Telecom Italia per poi procedere alla definitiva separazione.

Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti è comunque centrale in questo progetto: la Cassa dovrebbe essere un azionista di OPAC insieme ad altre società telefoniche che dovrebbero apportare le proprie infrastrutture. Sembra ormai questo il suo ruolo di investitore di lungo periodo destinato a barcamenarsi tra investimenti infrastrutturali che devono garantire una certa redditività al Ministero del Tesoro ed alle fondazioni bancarie sue azioniste ed il rischio che la politica spinga per una nuova stagione di salvataggi pubblici. D’altra parte OPAC deve realizzare notevoli investimenti nelle reti di nuova generazione, investimenti attualmente incompatibili con l’indebitamento di Telecom Italia, e che invece sono necessari per dotare l’Italia di un’adeguata infrastruttura telefonica.