Il livello d'istruzione in Italia è migliorato nel nuovo millennio, ma resta comunque inferiore a quello di quasi tutti i paesi dell'OCSE
Curiosamente, la diffusione a inizio settembre 2014 del rapporto La Buona Scuola, curato dal ministro dell'Istruzione Stefania Giannini insieme al presidente del consiglio Matteo Renzi, che anticipa le linee guida dell'ennesima riforma scolastica italiana, è coincisa con la pubblicazione del rapporto dell'OCSE Education at a Glance: OECD Indicators.
Quest'ultimo analizza con cura lo stato dell'istruzione nel mondo, fornendo dati sulla struttura, le finanze e i risultati dei sistemi d'istruzione di 34 Paesi membri dell'OCSE e di alcuni paesi partner, dedicando singole schede ad ognuno di essi, in genere riferite al periodo 2000-2012. Vediamo dunque come si è comportata l'Italia.
Nel complesso il livello d'istruzione è migliorato nel nuovo millennio: fra i 25-34enni solo il 28% non ha raggiunto il diploma d'istruzione secondario nel 2012, contro il 41% del 2000, un dato che comunque ci pone al terz'ultimo posto nell' EU21, dopo Portogallo (42%) e Spagna (35%) e che resta molto più alto della media dell'OCSE del 17,4% e di quella del 15,7% dell' EU21.
Benchè poi i laureati siano saliti dall'11% al 22%, in particolare grazie alle donne che ormai sono tre ogni due uomini fra i nuovi Dottori, i nostri livelli d'istruzione restano tristemente inferiori a quelli dei coetanei della maggior parte degli altri Paesi, visto che anche in questo caso ci poniamo al quartultimo posto fra i Paesi dell'OCSE e del G20 con dati disponibili (per i tassi di laureati l'Italia si colloca al 34° posto su 37 Paesi). In media gli altri paesi partivano da un livello più alto, ma hanno anche registrato un aumento maggiore del nostro. Siamo invece all'avanguardia per i nuovi laureati di sesso femminile, in particolare in ingegneria.
Il rapporto riconosce anche un netto miglioramento nella qualità della nostra istruzione di base, come indicano i risultati del programma OCSE per la valutazione internazionale degli studenti (noto con l'acronimo PISA), in cui l'Italia è stata (con la Polonia e il Portogallo) la nazione dove è maggiormente diminuita (circa il 25% dal 2003) la percentuale degli studenti quindicenni che hanno conseguito risultati nella fascia inferiore della scala di competenze in matematica e, allo stesso tempo, la percentuale di studenti che ottengono risultati nella fascia alta delle competenze è maggiormente aumentata.
Anche fra i 25-34enni la situazione è migliorata, ma il livello medio di competenza in comprensione dei testi scritti (lettura) e in matematica in Italia resta purtroppo basso rispetto ad altri Paesi e i risultati delle prove matematiche svolte ci pongono in penultima posizione davanti alla sola Spagna, mentre nella comprensione di un testo scritto (lettura), siamo stati addirittura i peggiori (Figura 1).
Il punteggio medio in matematica tra i 25-34enni in Italia con una laurea universitaria (289 punti della scala di competenze) è praticamente lo stesso rispetto a quello raggiunto dai loro coetanei che hanno conseguito solo un diploma del secondario superiore o del post secondario non terziario in Finlandia (292 punti), in Giappone e nei Paesi Bassi (286 punti)...
Inoltre, come noto, la difficile congiuntura economica e le forti difficoltà nella ricerca di un lavoro hanno contribuito a far scendere le motivazioni dei giovani italiani nei confronti dell'istruzione.
La percentuale dei 15-29enni senza attività lavorativa e che sono usciti dal sistema d'istruzione o non sono iscritti a corsi di formazione (i cosiddetti NEET – Neither employed nor in education or training) è aumentata di oltre 5 punti percentuali tra il 2008 e il 2012, dal 19,2% al 24,6% (Figura 2). Tale aumento è stato più marcato per gli uomini (7,1 punti percentuali) rispetto alle donne (3,8 punti percentuali). Tutte le fasce di età sono state colpite da questa realtà, ma l'aumento più marcato è stato osservato tra i 20-24enni (9,5 punti percentuali). Nel 2012, quasi un giovane su tre (31,5%) dai 20 ai 24 anni non lavorava e non era iscritto a nessun corso di studi.
Pertanto, i tassi d'iscrizione all'università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti rispetto al già deludente 51% del 2008 (inferiore alla media OCSE del 58%) e il numero di studenti che abbandonano precocemente gli studi, prima in calo, ha iniziato ad aumentare dopo il 2010 (Figura 3).
Anche i tassi d'iscrizione scolastici dei 15-19enni sono scesi all'80,8%, tasso inferiore alla media OCSE dell'83,5%, e nel 2012, solo l'86% dei 17enni erano ancora iscritti nel sistema scolastico, una delle percentuali più basse dei Paesi dell'OCSE.
Tutto ciò mentre, in media, i tassi di disoccupazione dei giovani adulti in tutti i paesi OCSE sono aumentati notevolmente durante l'ultima recessione tra il 2008 e il 2012, in Italia soprattutto per i giovani che non hanno raggiunto un livello d'istruzione secondario superiore (il 19% nel 2012, con un aumento di 7,7% punti percentuali dal 2008).
Ma il tasto più dolente sembra essere quello della spesa pubblica.
Nel 2011, la spesa per studente (Figura 4) nella scuola primaria, secondaria e post secondaria non terziaria è stata inferiore del 4% rispetto al 1995. Nell'insieme, la spesa pubblica e privata per studente è lentamente aumentata in termini reali tra il 1995 e il 2008 (+8%), per poi registrare una netta diminuzione tra il 2008 e il 2011 (-12%), in parte a causa di un ribilanciamento verso le università (+ 17% tra il 2005 e il 2011).
Nonostante questo cambiamento, l'Italia mostra ancora uno dei profili più deludenti nella spesa dedicata al percorso di studi di uno studente secondo i dati del 2012 : se la spesa per la scuola primaria e pre-primaria è in linea con la media dell'OCSE (8448 dollari statunitensi in Italia rispetto alla media dell'OCSE di 8296 dollari statunitensi), quella per la secondaria è inferiore del 7% rispetto alla media stessa (8585 contro 9280 dollari statunitensi) mentre per il ciclo superiore è inferiore addirittura del 28% rispetto alla media (9990 contro 13958 dollari statunitensi per studente).
Tra i 34 Paesi esaminati con dati disponibili, l'Italia è il solo Paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è il Paese con la riduzione più marcata (5%) del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011. Le risorse pubbliche investite nelle istituzioni scolastiche e nelle università erano inferiori del 3% nel 2011 rispetto al 2000. Comparativamente, durante lo stesso periodo, la spesa pubblica media dell'OCSE destinata alle istituzioni del sistema d'istruzione è aumentata del 38%. Se la diminuzione della spesa pubblica non fosse stata parzialmente compensata dal finanziamento privato, la diminuzione delle risorse disponibili per le istituzioni del sistema d'istruzione italiano sarebbe stata ancora più importante. La percentuale del finanziamento totale per le scuole e le università che proviene da fonti private è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2011. In termini relativi, nel 2000, il 94% del finanziamento per le istituzioni proveniva da fonti pubbliche. Entro il 2011, il finanziamento pubblico è stato ridimensionato al 89%.
La riduzione di spesa ha comportato un aumento del numero medio di studenti per docente, che si è avvicinato alla media OCSE, 12 studenti per 1 insegnante nel primario e secondario inferiore, rispetto alla media dell'OCSE di 15 studenti nella scuola primaria e 14 studenti nella scuola secondaria inferiore (Figura 5).
Perché aumentasse il rapporto numero di studenti per insegnante, è stato necessario ridurre il numero di insegnanti. Tale riduzione è stata raggiunto principalmente con la decisione di non compensare i pensionamenti con nuove assunzioni. La mancanza di assunzioni si è tramutata in un invecchiamento della forza lavoro insegnante; nel 2012 il 62% dell'insieme degli insegnanti della scuola secondaria aveva più di 50 anni di età, la più alta percentuale di insegnanti di questa fascia d'età di tutti i Paesi dell'OCSE.
La correlazione ormai certa fra la crescita dell'indice di scolarità di una popolazione e la crescita dei redditi e di conseguenza del Pil di un paese dovrebbe insomma spingerci a seguire quella strada che sembra essersi smarrita dal dopoguerra, come descriveva anni fa il linguista Tullio De Mauro:
"Nel 1950 il 60% degli italiani era privo della licenza elementare. [...] Nel 1870 in parallelo con noi c'era il Giappone, altrettanto povero e analfabeta. La classe dirigente giapponese fece una grande scommessa. I governi e il popolo si dissanguarono per mandare a scuola anziani, adulti e bambini. La nostra classe dirigente invece scelse di investire nelle infrastrutture che poi avrebbero portato all'industrializzazione o nelle infrastrutture militari. [..] La classe dirigente italiana è molto più ignorante che in altri paesi europei e siamo molto meno acculturati anche di Canada e Stati Uniti, forse per la scarsissima dimestichezza con le lingue straniere e per la drammatica scarsità di letture di libri. Cultura, insegnamento e lettura sono argomenti quasi invisi e impopolari fra gli italiani".
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