Le diverse fasi del conflitto siriano sembrano aver causato danni ingenti al settore degli idrocarburi

Un nano energetico, rispetto ad altri Paesi arabi, la Siria tuttavia rimaneva, fino al 2011, il solo produttore significativo di petrolio nella costa del Mediterraneo Orientale.
Nel 2010, la Siria possedeva riserve provate di petrolio per 2,5 miliardi di barili, lo 0,2% delle riserve mondiali, e produceva una media di 385.000 barili di petrolio al giorno.
Sebbene la Siria non fosse tra i maggiori produttori al mondo, il settore oil era fondamentale nella composizione della struttura economica e commerciale del Paese.
I dati della Divisione Statistiche delle Nazioni Unite raccontano come nel periodo 2008-2010 il petrolio componesse il 41,25% del totale dell'export siriano, attestandosi come il bene più esportato (Figura 1).
L'Unione Europea era, fino al 2011, uno degli acquirenti più importanti per le merci siriane: i dati Eurostat mostrano come le importazioni dell'UE di beni siriani nel 2010 raggiungessero un valore di 3,5 miliardi di euro, contro i 2,1 miliardi dell'anno precedente: una tendenza in crescita bruscamente interrotta l'anno successivo. Nel triennio 2008-2010, le tre principali destinazioni delle merci siriane erano, nell'ordine, Iraq (21,4% sul totale dell'export siriano), Germania (11,5%) e Italia (9,3%). Sui beni importati in Europa dalla Siria, la percentuale dei prodotti del settore oil era alta: circa il 60% nel biennio 2007-2008, circa il 30% per il 2009-2010, con evidenti cali delle importazioni, a causa della crisi diffusasi nel nostro Continente (Figura 2). Nel caso del solo greggio, poi, si può dire che quasi l'intero export siriano fosse acquistato da Paesi dell'Unione Europea (Figura 3).
Malgrado questi numeri, la Siria utilizzava la maggior parte delle proprie risorse per il consumo interno. I dati della Information Energy Administration (IEA) per il 2010 indicano che su 19,8 milioni di tonnellate di greggio prodotto, soltanto 8,1 milioni fossero destinati all'esportazione (meno del 41%), mentre il resto andasse a costituire fornitura domestica.


Nel caso del gas naturale, poi, l'intera produzione siriana, che la IEA stima per il 2010 in 9,05 miliardi di metri cubi, veniva utilizzata per il consumo interno. Era questo il risultato di una politica che concedeva priorità commerciale al petrolio, utilizzando invece il gas naturale come carburante per gli impianti di corrente elettrica e per le fornaci industriali del Paese. Un'industria, quella del gas, mai pienamente sviluppata fino a qualche anno prima della guerra attuale, quando già si parlava di piani per un aumento della produzione. E in effetti, la quota prodotta fino al 2010 era in continuo aumento, rispetto agli anni precedenti, per poi tornare a calare in seguito agli scontri del 2011 (Figura 4).
E proprio il 2011 segna una cesura nella storia contemporanea, anche commerciale, della Siria: da quell'anno, infatti, diverse ondate di crisi hanno flagellato il Paese. Innanzitutto, le sanzioni economiche e commerciali euro-statunitensi contro il Governo del Presidente Bashar al Assad, che a partire da settembre 2011 hanno interessato le esportazioni siriane di petrolio. Da allora l'export siriano di greggio in Europa si è interrotto, con perdite per Damasco che già pochi mesi dopo, nel gennaio del 2012, il Ministro del Petrolio siriano Sufian Alao stimava in 2 miliardi di dollari.
Alle sanzioni seguono poi gli scontri sul campo tra il Governo e i diversi gruppi anti-governativi, che ben presto mettono a ferro e fuoco gran parte del Paese, provocando una situazione di stallo per l'intero settore: il direttore della General Petroluem Company siriana dichiarava, all'inizio del 2014, che la maggior parte della produzione di petrolio in Siria era stata interrotta nel 2013 e che il Paese stesse producendo, allora, soltanto 15.000 barili di petrolio al giorno (Figura 5).
Da luglio 2014, poi, il cosiddetto Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS) prende possesso dell'intero governatorato di Deir az Zor, nella Siria orientale, di quello di Raqqa, nel centro del Paese e di parti di quello di Hasakah, al nord-est. Regioni che il gruppo fondamentalista unisce a parte del territorio iracheno, autoproclamando un nuovo Stato Islamico.
Nella regione di Deir ez Zor è presente il 70% delle riserve di petrolio e gas siriane, mentre in quella di Hasakah veniva prodotto più del 50% del petrolio del Paese, prima del 2011. A differenza di Deir ez Zor, tuttavia, la regione di Hasakah è solo in parte nelle mani dell'ISIS, mentre il resto del territorio è controllato delle milizie curde siriane, che già a metà del 2012 avevano scalzato le stesse forze governative (Figura 6).
Nell'estate del 2014, tuttavia, lo Stato Islamico controllava centinaia di trivelle e diversi giacimenti nel Paese, tra i quali, nella regione di Deir ez Zor, al Omar, uno dei maggiori in Siria, con una produzione a regime di circa 32.000 barili al giorno, Tenak, con una produzione di 27.000 barili al giorno, Shadad e Ward, questi ultimi giacimenti minori: in totale, si stima che i giacimenti e le strutture controllate dall'ISIS abbiano una capacità di produzione complessiva di 130.000 barili di petrolio al giorno.
Nella pratica, diversi analisti sottolineano come le scarse competenze tecniche degli uomini dell'ISIS permetterebbero lo sfruttamento di una minima parte di questo potenziale, per lo più contrabbandato in Turchia o in altre zone della Siria al prezzo "stracciato" di 18 dollari al barile.
Si tratta comunque di un danno pesante per Damasco: il Governo infatti stima che dall'inizio del conflitto siano andate perdute risorse petrolifere per un valore di 3,8 miliardi di dollari.
A questo disastro, infine, si sono aggiunti, da settembre, i bombardamenti internazionali su diverse roccaforti dell'ISIS in Siria: diversi attacchi hanno colpito i giacimenti e le strutture produttive controllate dal gruppo fondamentalista, localizzate per lo più nella parte orientale del Paese. Tra queste, quelle di al Mayadin, al Hasakah, e Abu Kamal, al confine con l'Iraq.
Sebbene sia ancora presto per poter tracciare una stima dei danni, non c'è dubbio che i bombardamenti, oltre ad annichilire la produzione di petrolio e gas dell'ISIS, stiano distruggendo l'infrastruttura produttiva siriana. Una situazione drammatica per Damasco, che si trova a dover ricorrere sempre più all'importazione di petrolio e gas dall'estero: secondo una stima ufficiale siriana, il conto per l'importazione di greggio e prodotti raffinati a fine 2013 ammontava a 400 milioni di dollari al mese.
La stratificazione delle diverse fasi del conflitto siriano sembra aver causato danni ingenti al settore degli idrocarburi. Le risorse del Paese erano parte fondante non soltanto della composizione dell'export, soprattutto il petrolio, ma anche del sistema di alimentazione degli impianti elettrici e industriali, funzionanti a gas. Un disastro che, se sommato al debito che Damasco sta contraendo per importare le risorse necessarie, impedirà un ritorno rapido alla normalità anche qualora in Siria cessassero gli scontri.