Le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018 e il loro numero continua a crescere tanto che nel 2022 il 44% presenta una mappatura dei rischi a livello di Cda. Così come continua ad evidenziarsi una correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% Return on Investment, ROI e +39% di Return on Equity, ROE) per le aziende attente ai rischi.

Inoltre, nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6% e il numero oggi si avvicina sempre più allo zero.

I numeri dell'Anra

I dati emergono dal seminario annuale dell'Anra, l’Associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali, che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma intorno al tema, di estrema attualità, dei rischi della supply chain in presenza di fattori di discontinuità globale. Anra ad oggi conta oltre 700 associati e rappresenta le maggiori imprese del panorama italiano che generano un fatturato complessivo di circa 300 miliardi di euro; con le proprie attività Anra mette a disposizione occasioni di aggiornamento professionale, di contatto e di scambio di esperienze nell'ambito del risk management.

Il momento socio-economico che stiamo vivendo mette in luce tutta l’importanza, e la difficoltà, della gestione del rischio in impresa.

«La pandemia – sottolinea il presidente dell'Anra Carlo Cosimi – ci ha insegnato che si possono verificare scenari inattesi che causano conseguenze importanti sulle nostre comunità e imprese. Ad essa si è aggiunta l’interruzione delle attività aziendali e delle supply chain, dovute sia alla carenza di materie prime che al conflitto in corso tra Russia e Ucraina. La mappatura dei rischi è diventata di importanza critica e fondamentale per la vita delle aziende con una funzione che riporta al Ceo quando non direttamente al Cda».

Il problema dei rischi sistemici

Un fronte di attenzione sul quale le grandi aziende sono pronte e molto attive mentre molto lavoro resta da svolgere sul vasto tessuto delle Pmi in cui spesso manca una figura dedicata interna e ci si serve per la gran parte di consulenti e broker assicurativi. Quel che sta cambiando nella mappa dei rischi è che rispetto a una situazione in cui ciascuna impresa valutava i rischi in relazione all’attività che svolgeva, ora i rischi sono sistemici e trasversali, talvolta fuori controllo rispetto alla normale gestione d’impresa.

«Stiamo vivendo un momento – spiega Cosimi – in cui la coperta assicurativa è molto ristretta. Siamo in una fase di cosiddetto hard market ossia di alti prezzi delle polizze a fronte di coperture più ridotte rispetto al passato. Ragion per cui, la polizza è solo una piccola “pezza” al problema e serve un approccio più integrato di risk management che passa da forti investimenti nel trattamento e prevenzione dei rischi».

Il tutto ovviamente a fronte di analisi corrette e puntuali dei rischi d’impresa. «La richiesta di professionalità adeguate al compito della valutazione dei rischi sta facendo emergere con sempre maggiore forza la necessità di professionalità preparate nel campo della gestione del rischio d’impresa – incalza il presidente dell'Anra –. Come associazione prepariamo ogni anno circa 200 professionisti all’esame per la certificazione europea Rimap. Stiamo notando una notevole crescita di interesse nei confronti del tema del risk management anche sul mercato del lavoro».

Cambia il profilo del risk manager

Di fatto è in atto una trasformazione della figura del risk manager a cui si richiede una maggiore integrazione con il board aziendale e lo sviluppo di soft skills comunicative per poter scambiare informazioni in modo efficace a tutti i livelli, oltre alla conoscenza delle  metodologie in tema di gestione dei rischi, tra le quali i  sistemi di misurazione della resilienza tramite l’analisi dei processi, l’anticipatory risk management per i rischi emergenti e nuovi approcci di risk engineering.

Come mostrano i dati del nono Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, la ricerca annuale realizzata da Cineas, presentata al Politecnico di Milano, per le imprese italiane la gestione dei rischi è una componente dello sviluppo sostenibile. Inoltre, un’impresa su 4 ha dichiarato che è diventato prioritario introdurre un sistema di gestione e controllo dei rischi (26,5%) e quasi la metà delle aziende prevedeva il rischio di guerra prima del conflitto russo-ucraino.

L'indagine campionaria sulle aziende

L’edizione del 2022, realizzata in collaborazione con IPSOS, ha analizzato le risposte di 350 aziende manifatturiere attive nei settori: alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico. Il fatturato delle aziende del campione d’indagine è compreso tra 20 milioni di euro e i 355 milioni di euro. Sono il 44% le aziende che presentano una mappatura dei rischi a livello di CdA, un numero ancora ridotto; tuttavia oltre il 50% delle aziende risponde che la responsabilità di supervisione dei rischi ricade sulle figure apicali dell’impresa (a seguire il direttore finanziario e solo per circa il 14% delle imprese sulla figura specialistica del risk manager).

Gli approcci e la differenza

«La presenza di una governance dei rischi è importante in un modello evoluto di gestione del rischio, pertanto esiste una sostanziale differenza di approccio tra le imprese che portano i temi del risk management al livello dei Consiglio di amministrazione e quelle che gestiscono il rischio come componente tecnica – commenta Massimo Michaud, presidente di Cineas – e una gestione più sofisticata del rischio (integrato o segmentato) è adottata dall’82% delle prime contro il 33% delle seconde».

Inoltre, le aziende in cui il board è coinvolto vedono la gestione del rischio come un investimento strategico, mirato anzitutto a consentire migliori decisioni. Nelle aziende dove la funzione di risk management non arriva a dialogare con il board invece, lo scopo principale della mappatura dei rischi è difensiva (assicurare la conformità normativa e la business continuity), e l’investimento viene visto come secondario.

Il caso delle piccole imprese

Anche le Pmi sono costrette ad allinearsi a queste misure di comportamento: del resto, per loro rappresenta un valore aggiunto al fine di ottenere finanziamenti e sostenere la crescita aziendale. Negli ultimi anni gli eventi che hanno contribuito all’interruzione delle catene della fornitura sono numerosi. Le aziende non hanno sperimentato solo la pandemia, ma anche l’interruzione delle catene logistiche, incluso il blocco del Canale di Suez, la crisi energetica cinese, la carenza di chips, l’impennata dei costi energetici e infine la recente guerra Ucraina-Russia, che hanno impegnato le imprese in una continua lotta per la resilienza.

Infatti, la diffusione di pratiche di risk management anche nelle compagnie medio-piccole giova all’intero sistema economico; i temi relativi alla sostenibilità come quella ambientale, sociale, personale, rispetto per i diritti umani e la lotto contro la corruzione sono diventati una priorità per le aziende che devono valutarne il potenziale impatto. E poi oggi le compagnie stanno diventando sempre più digitalizzate, la componente tecnologica è pervasiva e con IoT e machine learning, la digitalizzazione promette semplificazione ed efficienza che potrebbe portare a sottostimare i rischi annessi.