Una premessa e una conclusione politica

Come si giustifica una divisione non privatistica del reddito e della ricchezza? Il ragionamento alla base di chi la pensa così asserisce che il reddito e la ricchezza hanno a che fare con gli sforzi degli antenati collettivi piuttosto che con qualsiasi cosa oggi si possa ottenere individualmente. Se uno costruisce un’impresa di successo, quest’ultimo dipende per una parte dal talento e dalla fortuna dell’imprenditore, ma dipende in larga parte dallo Stato, se è di diritto o meno, e dalla cultura diffusa, tutte cose che si sono accumulate nei secoli.

Se accettiamo il principio che l’eredità privata è un lascito che non ha troppo a che fare con il merito individuale, ma che, nonostante ciò, è lecito, allora dovremmo accettare anche l’eredità sociale. “Questo è il principio per cui le ineguaglianze immeritate richiedono una riparazione, e poiché le disuguaglianze di nascita e di doti naturali sono immeritate, richiedono di essere compensate in qualche modo.” (Rawls, Una teoria della giustizia). Sorge subito l’obiezione. Accettando il principio della riparazione per la fortuna che non hanno avuto alcuni, incorreremmo in un problema di rischio morale, perché in questo caso alcuni individui farebbero scelte collettive irresponsabili per poi chiedere di condividere un reddito da chi ha agito con maggiore prudenza o da chi ha preso decisioni migliori.

Come si vede, una conclusione convincente non la si trova. Quale che sia la conclusione, convincente o meno, si ha una premessa politica che legittima una qualche redistribuzione dei meriti e delle fortune.
Un sistema sanitario e scolastico che non erogasse i propri servizi a chi non è in grado di pagare le cure e l'istruzione perché non ha i mezzi, penalizzerebbe chi non sopravvive alla dinamicità dell'economia. Chi non sopravvivesse, per mancanza di protezioni, alla dinamicità dell'economia, potrebbe usare il diritto di voto per fermarla. E lo potrebbe usare, perché sorgerebbe subito un'offerta politica che dichiara di voler difendere chi è rimasto immeritatamente fuori dallo sviluppo. Ergo, per mantenere l’economia dinamica, conviene mettere in opera una protezione pubblica, uno stato sociale, che aiuta chi non riesce a star dietro ai mutamenti.

I diversi redditi di cittadinanza

Il complesso dei servizi che lo Stato offre ai cittadini in quanto tali è una erogazione di servizi e non un reddito che il ricevente può spendere come crede. Dall’ordine pubblico al sistema scolastico, si riceve il servizio ma non un reddito per acquistarlo. Si hanno due modalità di distribuzione del reddito che non è una erogazione di servizi.

—- Il reddito di cittadinanza è un reddito che può essere erogato senza che sia stabilito come spendere quanto si riceve. Questa tipologia di reddito, che è stato sperimentato, può essere dato solo a chi ne ha bisogno. In questo caso si ha un reddito detto “condizionato”.

—- Il reddito di cittadinanza può essere erogato anche senza alcun vincolo, una modalità per ora sperimentale, ed è un  reddito“incondizionato”. Un reddito di base incondizionato è definibile come un pagamento modesto e regolare a ogni residente legale. Un reddito pagato come diritto, che è indipendente dal reddito, dall’occupazione, dallo stato relazionale. Esiste anche, ma solo sulla carta, la modalità di ricevere un’eredità per tutti che è spendibile per ottenere alcuni scopi, come pagare gli studi o il mutuo.
Quale che sia il reddito di cittadinanza, resta da chiarire, ciò che di solito non avviene, quale posa essere la modalità del suo finanziamento.

Fonte: INPS - Report trimestrale RdC Aprile 2019-Dicembre 2023

La ricchezza va distribuita?

Da tempo negli Stati Uniti il dieci per cento della popolazione meglio retribuita ha il reddito che proviene per l’85 per cento dal proprio lavoro. Agli inizi del secolo scorso si aveva una situazione ribaltata, il grosso del reddito proveniva dal reddito prodotto dalla ricchezza. Se il dieci per cento molto retribuito risparmia abbastanza, allora questa fascia della popolazione può lasciare in eredità un patrimonio che potrebbe dar luogo alla rinascita del mondo dei rentier del secolo scorso.

La concentrazione della ricchezza e i suoi effetti sulla distribuzione delle opportunità è misurabile. In Francia si hanno delle serie statistiche lunghe e attendibili. Per gli altri Paesi europei i numeri sono simili. Si calcola quanta parte di ogni generazione riceva un flusso ereditario (la punta della piramide) che sia equivalente al reddito di tutta una vita del 50 per cento meno remunerato della popolazione (la base della piramide). Per esempio (i numeri sono di una decina di anni fa), se l'eredità è di 750 mila euro, essa equivale a cinquanta anni di lavoro del 50 per cento meno remunerato, il cui reddito è intorno ai 15 mila euro l'anno. Come si vede, si ha, grazie alla ricchezza cumulata negli ultimi decenni da un numero crescente di famiglie, un numero sempre maggiore di persone che eredita l'equivalente di 50 anni di lavoro dei meno abbienti.

Un primo effetto della concentrazione dei redditi e della ricchezza è questo. Un reddito elevato, oppure un elevato stock di ricchezza delle famiglie, consente a un numero significativo di giovani di avere degli orizzonti lunghi. Grazie alla ricchezza alcuni non hanno necessità immediata di lavorare. L'implicazione è che possono scegliere i lavori. Ossia, si può anche restare disoccupati, perché si hanno comunque i mezzi economici, anche per dei periodi lunghi, finché non si trova il lavoro che si desidera. Perciò si ha una piramide che al vertice ha le famiglie benestanti i cui figli possono studiare avendo orizzonti lunghi. Costoro, se sono disoccupati, lo sono da “volontari”. Si hanno quelli che, venendo da famiglie non benestanti, non possono scegliere con calma il lavoro che preferiscono, e dunque, se intanto non lavorano, sono dei disoccupati che possiamo definire come “involontari loro malgrado”.

Un secondo effetto della concentrazione dei redditi e della ricchezza è questo. Quelli nati, o meglio alcuni tra loro, dalla fine della Seconda Guerra fino agli anni Sessanta, i famigerati baby boomer, hanno accumulato, grazie allo sviluppo economico, un’enorme ricchezza. In gioco ci sono somme cospicue. Solo negli Stati Uniti la stima è di novanta mila miliardi di dollari. Pian piano, per poi accelerare, con l’avvicinarsi del quarto decennio di questo secolo i baby boomer passeranno tutti a “miglior vita”. La ricchezza, che oggi in Occidente è tassata pochissimo (il suo gettito è pari a meno dell’uno per cento delle imposte), non potrà che passare agli eredi.

Ed ecco il nodo politico. Le spese sociali degli Stati occidentali sono, in campo previdenziale e della salute, da tempo crescenti. Lo spazio per il loro finanziamento è molto modesto anche per effetto del peso crescente degli interessi da pagare sul gran debito cumulato. Tassare le eredità è per alcuni “una” oppure “la” soluzione. Si ha però il vincolo che le tasse sull’eredità sono mal viste anche da chi non è abbiente. Si può allora, per cercare il consenso, tassare solo le grandi fortune, ma queste possono sfuggire al fisco, sia per effetto della globalizzazione che consente di spostare ovunque i capitali come investimenti, sia come luoghi legali dove finire per approdare.

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