L’Italia è da anni fanalino di coda in Europa per il basso tasso di occupazione femminile e la bassa natalità. Il divario occupazionale tra uomini e donne è tra i più alti dei Paesi OCSE, attestandosi a 18 punti percentuali (Figura 1). Questo dato si inserisce in un contesto nazionale in cui il problema della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro continua a confermarsi più che mai attuale. Nei primi tre trimestri del 2024, l’Italia ha registrato il tasso di inattività femminile più alto tra i paesi UE, con una donna su tre che non lavora, né cerca lavoro.
Al contempo, il tasso di fecondità oscilla tra 1,3 e 1,4 figli per donna, ben al di sotto del tasso di sostituzione di 2,1 necessario per mantenere stabile la popolazione.
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Le differenze fra regioni in Italia
Analizzando il tasso di occupazione femminile e la natalità (definita come numero di nuovi nati ogni 1.000 abitanti) nelle diverse regioni italiane, emerge una correlazione negativa tra questi due valori (Figura 2): dove le donne lavorano di più, si fanno meno figli, e viceversa.
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Questa relazione negativa è confermata anche da altre fonti. Secondo un report dell’Osservatorio Con i Bambini, basato su dati del 2020, il divario occupazionale tra uomini e donne, entrambi con figli, nella fascia 20-49 anni è di 28 punti percentuali. Il divario tra uomini e donne senza figli si ferma invece a 10 punti percentuali. Questo aumento del divario in presenza di figli è dovuto a due fattori: per gli uomini la paternità è associata a un aumento significativo dell’occupazione, mentre per le donne ad una diminuzione. Nel 2020, il tasso di occupazione delle donne con figli nella fascia 20-49 anni era del 55,2%, il più basso tra i Paesi UE, inferiore di circa 7 punti percentuali rispetto alle donne senza figli (61,9%). Questa situazione si è mantenuta sostanzialmente invariata nel 2023 (Figura 3).
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Secondo uno studio pubblicato su Labour Economics, in Italia in media il 30% delle madri smette di lavorare per occuparsi dei figli o di altri parenti, e di queste solo il 12% torna a lavorare negli anni successivi. Ciò testimonia che in Italia per le donne è ancora difficile conciliare lavoro e famiglia: questa inconciliabilità potrebbe concorrere a spiegare perché i valori su occupazione femminile e natalità rimangano entrambi così bassi nel nostro Paese.
La difficile conciliazione tra carriera e famiglia
La difficoltà a conciliare carriera e famiglia è considerata dagli economisti una delle principali cause dell’inattività femminile. Questo fenomeno è noto come “motherhood penalty” o “child penalty”, termine che indica la riduzione del reddito e delle opportunità di carriera che le madri sperimentano dopo la nascita di un figlio.
L’economista Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia 2023, ha attribuito questa situazione al carico di lavoro domestico che pesa ancora prevalentemente sulle donne. La scarsa partecipazione al mercato del lavoro delle donne madri ha diversi effetti negativi: oltre a perpetuare le disparità economiche e sociali tra uomini e donne all’interno della famiglia, comporta anche minori possibilità economiche per la famiglia nel suo complesso, aumentando il rischio di povertà.
Questa inconciliabilità tra lavoro e famiglia contribuisce alla spirale negativa di bassa natalità e scarsa occupazione femminile, una dinamica confermata da studi economici e dal confronto con altri Paesi europei.
La letteratura sul rapporto tra natalità e occupazione
Storicamente, fino ai primi anni ‘90, si riteneva che la relazione tra fertilità totale e partecipazione femminile alla forza lavoro fosse negativa: più le donne lavoravano, meno figli facevano, per via delle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia.
Tuttavia, a partire dagli anni 2000, studi come quello degli economisti Namkee Ahn e Pedro Mira (2002) hanno evidenziato un’inversione di questa relazione nei Paesi OCSE. Secondo queste ricerche, con politiche di supporto adeguate e norme sociali più inclusive lavoro e famiglia possono coesistere positivamente. In particolare, secondo le analisi economiche di Engelhardt e Prskawetz (2002) e di Da Rocha e Fuster (2006), è stato fondamentale l’emergere di contesti più favorevoli alle donne in termini di flessibilità lavorativa e di servizi per l’infanzia. Più recentemente, i lavori dell’economista Takashi Oshio (2019) hanno fornito prove più robuste, concludendo che livelli più alti di partecipazione femminile al mercato del lavoro possono creare contesti socio-istituzionali che favoriscono la fertilità, rendendo il lavoro e la genitorialità compatibili. Autori come Goldscheider et al. (2015) e Doepke et al. (2023) parlano di una “rivoluzione di genere” in cui politiche pubbliche e cambiamenti culturali rendono il lavoro e la genitorialità compatibili.
La letteratura economica identifica quattro fattori chiave per conciliare la carriera delle donne e la famiglia: politiche familiari mirate (come congedi parentali e servizi per l’infanzia), coinvolgimento dei padri nel lavoro domestico, norme sociali cooperative e mercati del lavoro flessibili.
Cosa succede negli altri Paesi europei?
I dati Eurostat dal 2011 al 2019 mostrano una relazione positiva tra il tasso di occupazione femminile e la variazione del numero di nati in diversi paesi europei (Figura 4).
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Paesi con un'occupazione femminile superiore al 75%, come Svezia, Islanda e Germania, presentano una variazione della natalità prossima o superiore allo zero, con la Germania che registra un incremento di circa il +0,15. Al contrario, paesi con tassi di occupazione femminile inferiori al 60%, come Italia e Grecia, mostrano una diminuzione della natalità superiore al -0,2.
Confrontando le mappe dell’Europa, si vede come i dati sull’occupazione femminile e il numero medio di figli per donna seguono un andamento simile nelle regioni dell’Europa occidentale nel 2023 (Figura 5).
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Per esempio, la Svezia, che è da sempre in cima alle classifiche sulla parità di genere, ha un divario occupazionale tra uomini e donne di soli 4 punti percentuali e un saldo naturale positivo. La Svezia è stata pioniera nel 1974 nell’introdurre il congedo parentale retribuito per i padri, con il risultato che oggi, in oltre tre casi su quattro, le interruzioni lavorative per accudire i figli non gravano prevalentemente sulle donne.
Al contrario, la Spagna, un Paese più simile all’Italia, sia come contesto economico che socioculturale, registra bassi tassi di fertilità a causa delle difficoltà nel mercato del lavoro e delle restrizioni economiche sperimentate dalle donne. Per esempio, la difficoltà a trovare un impiego porta a ritardi nella maternità: le donne tendono a posticipare le nascite per non compromettere le prospettive di carriera e l’accumulazione di capitale umano. Inoltre, i redditi bassi nelle fasi iniziali della vita lavorativa spingono le donne a ritardare ulteriormente la maternità, che risulterebbe una scelta troppo costosa.
Se si riuscisse a ridurre l’incertezza lavorativa, questa dinamica potrebbe invertirsi: in un mercato del lavoro più stabile e accessibile, le donne potrebbero permettersi di avere figli senza compromettere le prospettive di carriera. Si otterrebbero così una maternità più precoce e tassi di fertilità più elevati. In un mercato del lavoro più fluido e inclusivo, l’occupazione femminile diventerebbe quindi un supporto per la natalità anziché un ostacolo. Per raggiungere risultati di questo genere, è necessario adottare interventi mirati a ridurre il conflitto tra lavoro e famiglia, che promuovano la parità di genere e sostengano le scelte delle donne, sia in ambito lavorativo che familiare.
Come agire?
Per affrontare in modo mirato le problematiche del nostro Paese è necessario comprendere le specificità del contesto italiano. In generale, nei Paesi sviluppati il calo della natalità sembra in parte inevitabile, in quanto legato ai processi di secolarizzazione e al cambiamento delle norme sociali e di genere, che hanno aumentato le aspettative di realizzazione personale per entrambi i sessi. Tuttavia, il doppio primato negativo dell’Italia su occupazione femminile e natalità suggerisce che i soli cambiamenti sociali non bastino a spiegare il calo demografico.
La decisione di avere figli è influenzata da diversi fattori, sia esterni, come le politiche familiari o le condizioni lavorative, che personali e culturali, come le preferenze individuali. Secondo un sondaggio dell’Eurobarometro del 2011, il numero medio ideale di figli per le donne italiane è circa 2: pur essendo un valore più basso rispetto alla media europea, è molto vicino al tasso di sostituzione e supera di gran lunga gli 1,3-1,4 figli per donna osservati nel nostro Paese. Questo valore è identico anche per gli uomini italiani: il divario tra desideri di fertilità e realtà non è quindi dovuto a diverse aspettative tra futuri padri e madri, ma ad altri elementi (Figura 6).
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La differenza tra intenzioni e realtà suggerisce l’esistenza di uno spazio di azione per politiche che sostengano la natalità e facilitino la genitorialità. In questo contesto, le misure più efficaci possono essere quelle che riducono il carico di cura per le donne, attraverso un potenziamento dei servizi per l’infanzia e un maggiore coinvolgimento dei padri nel lavoro domestico. Al contrario, i trasferimenti monetari hanno effetti solo temporanei, come individuato tra gli altri da uno studio norvegese del 2021. È perciò essenziale investire in misure strutturali per sostenere famiglie e genitorialità.
Il rafforzamento dei servizi per l’infanzia, come asili nido e scuole a tempo pieno, è cruciale per alleggerire il lavoro di cura, che altrimenti grava su genitori e nonni. In Italia, tuttavia, questi servizi sono carenti. Anche i congedi possono favorire la conciliazione tra lavoro e genitorialità, ma restano appannaggio delle madri, con effetti negativi sull’inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Congedi più equamente distribuiti tra madri e padri potrebbero migliorare sia l’occupazione femminile sia il tasso di natalità. In Italia, però, il congedo di paternità dura solo 10 giorni (contro i 5 mesi di quello di maternità) e, benché formalmente obbligatorio, è stato utilizzato nel 2022 solo dal 64% dei padri. Uno studio di Tortuga sull’estensione dei congedi di paternità a livello aziendale ha evidenziato che la metà dei neo-padri beneficiari di un congedo di paternità aggiuntivo fornito dall’azienda ritiene che questi congedi aiutino ad avere figli. Infine, il congedo parentale facoltativo, pur essendo teoricamente paritario e, dal 2022, supportato da incentivi per promuoverne una condivisione più equa, continua a essere sfruttato in larghissima parte dalle madri. Gli effetti degli incentivi potrebbero però emergere nel medio termine.
Investire in queste politiche strutturali è fondamentale per uscire dall’attuale situazione di bassa natalità e bassa occupazione femminile. Ridurre il carico di lavoro familiare per le donne e promuovere una vera parità di genere può innescare un circolo virtuoso tra occupazione femminile e natalità, aiutando le coppie italiane a formare la famiglia che desiderano e offrendo un futuro più equilibrato e prospero al Paese.
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