Siamo tutti scossi per quanto è accaduto a Capitol Hill. Gravissima l’irresponsabilità di Donald Trump, ormai è più che evidente. È peggio della pandemia. È lo scempio della democrazia, per di più in un Paese considerato sacrario dei valori liberali della libertà. Lo sapevamo, ma un epilogo del genere non volevamo immaginarlo.

Il presidente sconfitto, anzi il sore loser, si è comportato non diversamente dallo sciamano con le corna a torso nudo immortalato durante l’assalto, istigato dal cinguettio presidenziale sulle impossibili elezioni rubate. Un furbo calcolatore che potrebbe aver previsto e addirittura preparato l’incidente, per riaffermare la sua personalità attraverso la bugia di un martirio, che invece ha lasciato sul terreno quattro morti.

Ecco: un primo elemento su cui vale la pena riflettere è la deriva dei media, il social dilemma. L’utilizzo da “persuasori occulti” (pensate: il famoso saggio di Vance Packard è del 1957) delle fake news ha una deriva che porta agli scontri di piazza. Non è refrattarietà alle nuove modalità di comunicazione: è la convinzione che un utilizzo spregiudicato e disintermediato del villaggio globale, senza alcuna etica, non può che avere questo esito. Perché si tratta di un doping delle ideologie. Vecchia storia, intendiamoci, già utilizzata durante la peste raccontata dal Manzoni, eppure dalla storia non impariamo mai.

L’alchimia pericolosa ed esplosiva è data dalla cattiva politica. Che si riproduce come una larva nella disinformazione e nella emotività, favorendo la confusione, incentivando i tornaconti personali. Mors tua, vita mea. Questo è il guaio enorme della incompetenza al potere, della approssimazione spudorata, del tutto e il contrario di tutto senza vergogna alcuna. Qualche decisore pubblico, che siede sugli scranni dei Palazzi romani, sta facendo adesso qualche autocritica su Trump. Tardi, ma le persone oneste esistono ancora.

L’Italia è migliore di quello che appare. Ma c’è bisogno di un sussulto democratico per chiamare alla corresponsabilità. Cominciando dalle piccole cose, la democrazia si costruisce così: dal pianerottolo, dal condominio, dal negozio, dal team di lavoro, dai colleghi, in azienda. Non c’è alternativa, si parte da qui: mettendo la mascherina quando serve, senza fare gli inutili spavaldi al Papeete. Soltanto in questa maniera, per induzione, potremo ritrovarci con una classe dirigente diversa. Capace di investire sul futuro, sulla scuola, evitando di perpetuare quel voto di scambio, servile e clientelare, su cui la sociologia ha scritto fitte pagine dedicate all’Italia. Il virus del reddito di cittadinanza è la mentalità assistenzialistica, il cancro della corresponsabilità e del bene comune, l’opposto della educazione alla cittadinanza, forse più diffusa tra le persone che tra chi decide per tutti.

Possiamo immaginare il meglio per il Belpaese? Dobbiamo.

Gli Stati Uniti hanno gli antidoti per archiviare Donald Trump, che lascia tuttavia un planisfero devastato (Repubblicani americani compresi). Siamo al fondo, ma dobbiamo rialzarci, per evitare Capitol Hill. Una annotazione va per Santa Romana Chiesa e il cattolicesimo d'oltre Oceano: l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, con i suoi messaggi urbi et orbi a sostegno del tycoon e delle mentalità complottiste del deep State, dovrebbe essere ufficialmente isolato dal Vaticano: non perché non abbia diritto alla libertà di espressione, ma perché dalla sua cattedra condiziona e danneggia le persone più fragili. La responsabilità di chi comunica cresce con l’autorità della istituzione che rappresenta. 

Tutto questo non significa che Joe Biden sia il bene assoluto e sia infallibile. Ma non esiste democrazia senza legittimazione degli avversari e senza riconoscimento e rispetto del risultato delle urne. Le fragilità – psicologica ed economica – sono da sempre il nido di tentazioni autoritarie e attraggono altre psicologie malate. 

Urlare non serve, indignarsi sì. Non perdiamoci d’animo, non perdiamo tempo. Come dire: il reddito di cittadinanza e l’assistenzialismo non sono un bene comune, la democrazia sì.